7 agosto 1941

 

Dai diari di Gaetano Pinna, artigliere paracadutista della 3^, poi 2^ btr, del I° Gruppo, la vita di una giornata particolare, il 7 agosto,  è la sedicesima giornata dall’arrivo in Africa della batteria – 22 luglio – ma è anche il suo onomastico, di mattina sarà sotto un bombardamento aereo, incontrerà Rommel, di pomeriggio andrà di pattuglia giù nella infernale Depressione di Qattara, starà in agguato, nella nebbia e nel freddo della notte, a quota -20 s.l.m., osservando il nemico vicinissimo. Ed il ritorno nella mattina seguente, con il sole che colpisce implacabile, l’acqua che termina, in marcia nel deserto, senza punti di riferimento, solo due piccoli tumuli di sabbia con sopra una croce di legno.

 

 E’ la storia di una giornata d’agosto 1942 sul fronte di El Alamein.

 

Quarant’anni dopo, all’uscita del libro che raccoglieva le memorie di Tano, l’allora S.Ten. Alberto Carnevale, comandante della Batteria, ormai Generale e M.A.V.M., disse che rileggendo quelle pagine si rivedeva ancora nella sabbia, con il sole implacabile, il pensiero di interpretare bene quelle carte sommarie, con solo  la bussola per orientarsi nella distesa sabbiosa e pietrosa, una descrizione terribile e precisa, che lo riportava indietro nel tempo. Lui, così sempre sereno, calmo, imperturbabile, segnato dalla disciplina dell’Accademia di Modena, disse a Tano che leggendo si era slacciato il colletto della camicia, automaticamente.

 

Leggetela, e pensate all’attuale erede del vecchio Gruppo di Artiglieria, il 185° R.A.O., alle loro attrezzature, al loro addestramento, alle loro attuali “pattuglie ricognitive” in altre sabbie, anche ora, come allora,  “videre nec videri”

Tano, a Livorno il 22 ottobre del 2005, due mesi esatti prima della scomparsa, si aggirava tra i tavoli del 185° in mostra all’Ardenza, osservando binocoli, visori notturni, bussole, i viveri liofilizzati, le scarpe e le tute,  e tutte le altre diavolerie.

Rimase silenzioso, guardando i nuovi “ragazzi” in divisa, pensando all’antico primo pattugliamento notturno nella Depressione di Qattara.

Sentendo le spiegazioni di un giovane artigliere paracadutista sulle attrezzature date ad un gruppo di ragazze, rimase silenzioso, ascoltò, poi, andando via, disse una sola parola, sottovoce, nel suo dolce dialetto istriano, commento amaro ed ironico, sintetico, non tecnologico ma esistenziale, sulla antica loro “attrezzatura” e sull’odierno  progresso tecnologico ad usum belli: “Mona!”.

 

 

 

 

 

 

7 agosto 1941 – San Gaetano

 

Passo del Cammello

 

E’ il giorno del mio onomastico, Mamma mi ha già inviato gli auguri, mi ricorderà nella sua quotidiana Comunione e quest’anno, come mi ha scritto, farà celebrare due Messe, la prima in Duomo, la seconda nella cappellina dell’asilo “S.Gaetano”. Mamma è una roccia di fede, crede fermamente, non ha dubbi, tutto ciò che fa, ogni pensiero, è sempre nella luce della Fede.

Sono le nove, il S.Ten Carnevale va al Comando di Battaglione, è stato convocato dal ten. col. Bechi.

Verso le undici una telefonata: Carnevale dal Comando mi dice di raggiungerlo, Bergami, in fureria, ha bisogno del mio aiuto. Mi faccio indicare il percorso da Mocciola e vado.

Il Comando è a q. 164 del Passo del Cammello, in una conca, a ridosso di un costone, ci sono costruzioni in muratura non ultimate dagli inglesi.

Ci sono muti perimetrali e divisori, i locali sono ampi, coperti con teloni e reti mimetiche.

C’è un gran movimento di ufficiali, molti sono tedeschi. Bergami mi spiega subito il perché: “E’ arrivato Rommel!”

Da un corridoio avanza un gruppo di ufficiali, c’è Rommel con il ten.col. Bechi, poi il cap. Curti ed altri, tra cui Rossi e Zingales, molti i tedeschi.

Ci passano davanti, salutiamo.

 Nel gruppo di coda c’è il S.Ten Carnevale, mi chiama e mi dice di aspettarlo.

Rommel mi passa vicino, non è alto, è scuro in viso, lo sguardo è freddo, gli occhi freddi, sul berretto porta i famosi occhiali trasparenti inglesi.

Ha tenuto un rapporto, ora se ne và..

 

 

                       

  7 agosto 1942 – Q. 164 del Passo del Cammello, Comando del IV° Btg,  Ecco Rommel, avanti il ten. Col. Bechi, con in mano delle mappe ed il bastone, ritratto anche da altre foto, di lato il cap. De Cristofori. Il rapporto del Feldmaresciallo è appena terminato. Sono le 11.30 del mattino. La foto è tratta dal libro autobiografico postumo di Rommel  “Guerra senza odio”. Ricordando in una lettera a Wilfried Armbruster, Rittmaister, ossia capitano di cavalleria, nonché ufficiale aiutante personale e traduttore personale di Rommel durante tutta la Campagna d’Africa, Tano si domandò: “Perché quel bombardamento isolato, su una postazione di nessuna importanza? Perché tanta precisione nel colpire l’edificio più grande, che poi era l’infermeria, era forse un attacco indirizzato a far fuori Rommel e d il suo stato maggiore? Spionaggio o casualità? Solo venti minuti  prima e l’attacco avrebbe colpito Rommel in pieno. Ci furono tre morti. Dopo il rapporto, veloce, il Feldmaresciallo visitò la postazione e  riprese la strada verso nord, la c.d. Pista Rommel o Pista dell’Acqua.”

 

 

 

Sono passato dall’infermeria. E’ situata in un grande stanzone, coperto da una rete mimetica, teloni dividono i reparti.

Ci sono molti ricoverati, pochi per ferite, i più sono sofferenti di intercolite, hanno diarrea continua con sangue e muco intestinale: si può anche crepare!

Le cause? Chi dice la carne in scatola, chi accusa l’acqua.

C’erano delle pratiche urgenti da sbrigare in fureria, perciò Bergami mi ha fatto chiamare, lui detta ed io batto a macchina.

Manca poco alle dodici. Siamo in un corridoio, a ridosso di un muro.

Passa un aereo. Deve essere basso, si ode distintamente il rumore del motore. Interrompo il ticchettio, sembra il caratteristico motore di un nostro S 79.

Non ho fatto però ancora l’orecchio per distinguere a distanza l’aereo inglese, questo ha un rumore intermittente, quasi singhiozzante, i nostri invece fanno un rumore continuo.

“E’ nostro” dico a Bergami. Non ho ancora finito di dire quando una serie di scoppi mi fanno saltare in piedi, mi tuffo a terra vicino al muro.

Non ho fatto un passo, semplicemente mi sono tuffato.

Pochi secondi, pochi scoppi, poche bombe.

Il Comando è stato colpito in pieno. Schegge e sassi volano nell’aria che diventa irrespirabile per il polverone che si è alzato.

In quel caos sento le prime urla dei feriti. Scatto in piedi là da dove provengono le invocazioni di aiuto. Bergami è sparito, dove è andato? La nube di polvere non mi permette di vedere che a pochi metri, Inciampo in qualcuno che sta ancora a terra.

Penso: non si muove, avrà paura per un secondo passaggio.

“Alzati” gli grido, “se ne sono andati”.

Corro verso l’infermeria. E’ stata colpita in pieno, tutto è crollato.

Aiuto a liberare i feriti che vengono portati fuori. Ripassando per il corridoio vedo l’ignoto soldato di prima ancora a terra, bocconi. Deve essere ferito grave se non si è alzato.

Mi fermo, cerco di girarlo, passandogli la mano sotto il corpo.

Ho l’immediata impressione del caldo, del viscido, ritirala mano, è sporca di sangue, l’ho infilata tra i visceri. Chiamo l’infermiere ed intanto lo giro. Vengono due portaferiti, non so come trattenere i visceri fuoriusciti, che ricadono da una parte. Il poveretto ha il volto imbrattato di polvere, gli occhi sbarrati, muove lentamente le labbra, cosa vorrà dire?

Forse mamma!

Gli infermieri lo portano fuori. Ecco Bergami.

 I feriti sono tutti messi all’aperto, chi su brandine, chi a terra. Mi avvicino, un ferito chiede acqua, non ho la borraccia, mi guardo attorno. Da una parte c’è il S.Ten Carnevale, ha uno sguardo smarrito, porta a tracolla la borraccia, ma non si muove. Mi avvicino, non gli dico niente, gli tolgo la borraccia, è piena d’acqua, Carnevale non reagisce, muove le labbra ma non gli esce alcuna parola. Sollevo la testa del ferito, avvicinandogli la borraccia alle labbra. Giovanissimo, ha spesse fasce sulla testa e sulla coscia destra, molto magro, ha due occhini neri, al mento una parvenza di barba, non ha conosciuto ancora il filo della lametta.

Mi chiama Carnevale, si è ripreso subito, “Adesso mangiamo, poi ritorniamo” mi dice.

Salutiamo il cap. Curti e riprendiamo la strada del ritorno. Sono le due del pomeriggio, il sole acceca, brucia.

Sole, sabbia, roccia. Affonda il sole nelle nostre carni secche, affondano i piedi calzati da scarpe pesanti nella sabbia fine, bianca, urtano contro i sassi bianchi, duri.

“Pinna vieni di pattuglia questa sera?” mi dice Carnevale.

“Me lo chiede? Ci conti” rispondo.

“Bene, sarà qualche ora di marcia, ritorneremo domattina”.

“Dove si va?”.

“Giù nella Depressione”.

Si continua la strada in silenzio, cerco di sapere qualcosa, ma Carnevale sembra diventato muto, alle mie domande accenna affermativamente con la testa o negativamente, o risponde asciutto asciutto.

Mi sembra che sia con la mente lontana, assorto in pensieri forse non inerenti alla vicina azione di pattugliamento. Non si sente bene? Pensa alla morosa lontana?

Arrivati alla postazione si combina la squadra, siamo tutti volontari: S.Ten Carnevale, Cagliani, Pinna, Iop, Bergami, Flamini, Leccese, Missiora e Bianchini.

Il nostro compito è quello di sorvegliare i varchi, osservare eventuali movimenti di pattuglie nemiche, non attaccare se non attaccati.

Speriamo di poter menare le mani, altrimenti che facciamo!

La partenza è verso le diciotto. Indossiamo pantaloncini. Giacca, portiamo le armi personali, una decina di bombe a mano, bottiglie incendiarie, caricatori di riserva.

Carnevale porta la pistola Very per eventuali segnalazioni se avremo bisogno dell’intervento dell’artiglieria. Ci mettiamo in marcia, direzione sud; in due ore dovremmo raggiungere il posto stabilito, salvo errori di marcia. Ci aiutano la bussola, due punti, un po’ vaghi, di riferimento, una certa cadenza, l’orologio, un tempo studiato sulla carta, un po’ vago….

Il terreno, a mano a mano che si scende, è apocalittico.

Ci lasciamo dietro il Passo del Cammello, alla destra quello del Carro. Incontriamo qualche tratto di terreno sabbioso, di una sabbia fine, bianca, tratti di terreno duro, formato da massi calcarei.

Spettacolari sono certi scavi di origine eolica, sembrano ponti sospesi, ponti di una pietra strana, tarlata. Non c’è segno di vita animale o vegetale, il silenzio incombe pauroso: tutto è infinito.

Alla nostra destra, verso occidente, il sole cala. Come un’immensa palla di fuoco il sole si staglia igneo sulla infinita distesa desertica.

Di gradone in gradone scendiamo sempre.

Il terreno diventa sempre più ciottoloso, solo brevi tratti sono sabbiosi. Sembrano ciottoli di fiume, tanto sono rotondi, levigati. Ma lo strano è che sono multicolori, non sono, a prima vista, calcarei. Sono di una pietra compatta, di un colore nero lucente, altri sono di un giallo ocra, altri sono perfettamente di color ruggine. Camminando ne raccolgo alcuni.

Con Carnevale cerco di parlare della probabile origine dei sassi, della Depressione, delle ere geologiche, dell’erosone eolica, della fauna e della flora desertica.

Non sembra molto interessato alle re geologiche. Qualche parola, qualche precisazione.

Ogni tanto si ferma, cerca di fare il punto con l’aiuto della carta e ella bussola, non parla, si guarda attorno, poi riprende a camminare  …e noi dietro.

Ad n tratto si presenta un quadro geologico di stupenda bellezza: un enorme tronco fossilizzato, lungo 8\10 metri, dal diametro di quasi un metro.

Presenta monconi dirami laterali di varie grandezze. Il colore è scuro, lucente, con fasce più chiare longitudinali. Ci fermiamo un momento, tutti incantati.

Dovrebbe essere il prodotto di un processo di fossilizzazione per pietrificazione. Battendolo, dà un suono metallico, ma non si rompe.

Raccolgo alcuni spezzoni a terra, camminando, continuo ad osservarli, Esternamente nulla si vede del preistorico ramo, nel punto spezzato si nota la caratteristica del legno e la sua struttura interna.

Carnevale si ferma: Ragazzi, siamo arrivati a quota livello del mare, ora entriamo nella vera depressione”.

Ha parlato, i riprende il cammino.

Il tronco fossilizzato, quegli strani sassi lucenti, levigati, si trovano spra il livello del mare, dunque ….da qui si sprofonda. Però anche al Passo del Cammello ho trovato conchiglie fossili, impronte su sassi calcarei…

Bianchini ascolta, sorride, azzarda:” In Valcamonica si trovano molti fossili, sulle pietre si trovano le impronte di pesci, di foglie…allora Darfo era un gran porto di mare…”  E’ una sagoma il nostro Bianchini!

“Quelle sono impronte di fossili – gli rispondo – questi sono vegetali fossilizzati a seguito di pietrificazione per sicilizzazione, dovrebbero risalire alla quarta era geologica, quando ci fu una regressione dei mari, cioè nel periodo Oligocenico ed Eocenico, qualcosa come cinquanta, sessanta milioni di anni fa…allora Darfo era un porto di mare, e se tu c’eri facevi il pescatore…”

Entriamo in una zona sabbiosa, si sprofonda tanto è fine. Si alterna un terreno duro, è quasi un lastrone di pietra calcarea, rima liscio, poi spugnoso. Sarebbe bello ed interessante poter stare sul posto per molto tempo, girare, esplorare …quale sarà la temperatura a mezzogiorno? Quale l’escursione notturna?

Il sole è tramontato.

Il S.Ten Carnevale si guarda attorno, si dovrebbe essere sulla pista che ad est s’innesta con la Palificata.

Ci dovrebbero essere dei segni lasciati dalle pattuglie precedenti del IV° Battaglione.

Ci fermiamo, ci siamo, “quota meno venti”, ci dice Carnevale.

L’ufficiale, dopo aver osservato la zona e la carta, ci fa sistemare a semicerchio, si ripete:” osservare, che nessuno si muova senza ordine, se attaccati, attaccheremo, ma nessun inglese dovrà sfuggire, ci siamo capiti?”

E’ quasi buio. Il terreno è formato da piccoli rilievi sabbiosi. Ci sistemiamo sui rilievi. Siamo in coppia, cono con Bergami. <dopo qualche ora scatta l’allarme.

“Allarma, davanti a noi, in profondità, luci in movimento…”.

Osserviamo muti, devono essere blinde nemiche, si muovono da sinistra a destra, in diagonale nei nostri confronti. Quante sono? Dalle luci sembrano non più di tre.

Blinde o bren cars? Quanti uomini? Pensiamo dodici, quindici al massimo Possono pure venire, benvenuti!

Dovrebbero venire da El Magra, procedono sulla pista. Potrebbero mettere in pera delle fasce minate o cercare eventuali nostre mine ed aprire un varco, potrebbero avere il compito di cercare nostre pattuglie….ci siamo, avanti|

Le coppie sono distanziate di 8, 10 metri:

Carnevale ci ha raccomandato di appiattirsi l più possibile, di coprire le parti luccicanti, di tenere le bombe e le bottiglie a portata di mano, togliere la sicura al mitra.

Le coppie sono scomparse, inghiottite dalle tenebre. Vediamo benissimo le luci dei mezzi nemici.

Sono cingolati? E’ il rumore caratteristico.

Si fermano, sentiamo le voci dei soldati, saranno da noi a 50 metri o poco più.

Due mezzi sono fermi, il terzo si muove come stesse a cercare qualcosa. Si sposta in avanti, poi gira a destra, gira su stesso, continua verso sinistra, ritorna nel gruppo.

Spengono le luci. Parlano, ridono, peccato che tra noi nessuno conosce la oro lingua. Aspetteranno l’ora del ritorno?

Al ritorno riferiranno: Pattuglia compiuta, nessuna novità.!

E se attaccassimo? Lo dico a Bergami. Sarebbe un bel colpo, l’esito certamente positivo. Ma come si fa ad avvisare Carnevale? L’iniziativa dovrebbe essere la sua. Il nostro compito non è di attaccare, ma, davanti alla certezza di catturare uomini e cingolati, non ci dovrebbero essere dubbi.

Scatterebbe però l’allarme in campo nemico.

Siamo avvolti da una nebbia fittissima, non si vede ad un metro. Dove sarà Carnevale? E se provo a cercarlo? Dovrei chiamarlo…è troppo pericoloso.

E se qualche gruppo nemico si è mosso in perlustrazione? Non parlerebbero così ad alta voce se solo pensassero ad una eventuale nostra presenza.

Sono certi di essere soli.

Fosse per me attaccherei strisciando in avvicinamento e poi addosso senza sparare… Carnevale è responsabile di tutti noi e dell’esito della pattuglia, sia attiene agli ordini ricevuti. Deve essere così, inutile fantasticare…

Sbaglierebbe facendoci attaccare? Chi attacca ha sempre maggiore probabilità di vincere. E’ una occasione difficilmente ripetibile.

“… se attaccati, attaccheremo…” ci disse, questa situazione però non era prevista.

Forse se eravamo più uniti….

Fa freddo, siamo venuti con i pantaloncini, nessuno ha pensato al freddo notturno, all’escursione notturna.

Ecco, le luci si sono riaccese, si vedono appena dietro la fitta coltre di nebbia.

Partono i motori, le luci si muovono in colonna, verso est.

Pericolo allontanato, ma sicuro bottino sfumato… peccato!

Alla mia sinistra vedo muoversi due ombre, incerto il passo, insicuro, chi sono?

Punto il mira pronto a far fuoco.

Non ci siamo dati una parola d’ordine. Parlate…coglioni!

Una bestemmia ed una frase in friulano: è Iop.

Gran risata, stava cercandoci. Ci si riunisce, ci scambiamo le impressioni, tutti hanno seguito l fatto e tutti hanno sperato in un ordine di attacco.

Carnevale tace, Avrà pensato come noi? Gli ordini sono tassativi.

Vengono disposti i turni di guardia, gli altri, in qualche modo, cercheranno di riposare. Monto di guardia alle tre, assieme a Bergami. Dormire? E’ impossibile, fa freddo anche se mi sono infilato sotto la sabbia, sotto è calda.

L’alba porta via questa maledetta nebbia.

Riprendiamo armi e bagagli e ci mettiamo sulla via del ritorno. Il primo sole ci ristora: benvenuto.

Si consulta la carta e la bussola.

Ieri sera pensavamo di lasciare qualche segno lungo il percorso, mucchi di sassi o sassi in fila sulla direttiva di marcia, ma non abbiamo fatto più nulla per paura di lasciare segni troppo evidenti.

Ben presto la strada si fa pesante, cominciano il caldo e l’afa.

Procediamo bene?

Bianchini dice di no, secondo lui ci stiamo spostando verso sinistra. E’ un uomo di montagna che ha spiccato il senso dell’orientamento.

Si procede in colonna. Osservo la serie di costoni che partono da El Taqa, in fondo, a destra, si nota la “montagnola” isolata di Haret el Heimamat, quota 220, si scorge la lunga serie di pali della Palificata.

Ad un tratto Bianchi si ferma, retrocede di un passo, estrae la rivoltella e spara per terra. Ci avviciniamo. Da un piccolo foro nella sabbia occhieggiava un serpentello. Bianchini è stato veloce e preciso. Vipera di Cleopatra? Vipera del deserto?, Naja? Non si può capire, non importa, è bene che sia stato ucciso. Il serpentello ha la testa piatta, il corpo tozzo, il colore della sabbia, è lungo circa 50 centimetri. Bianchini parla delle vipere con estrema sicurezza ed ampia competenza.

L’uomo della montagna aveva ragione, arriviamo nei pressi del Passo del Carro.

Ci siamo spostati di circa 4 chilometri. Si piega a destra, ci vorrà ancora un’ora di ….strada, con questo sole ci voleva proprio!

L’orientamento nel deserto è difficile, sono rari i punti di riferimento, è tuto piatto, uniforme.

Le carte in dotazione sono riproduzioni di quelle prese agli inglesi, ma le carte delle Depressioni sono molto imprecise.

Attraversiamo una zona valliva.

Ci vengono incontro due croci: sono i caduti di ieri. Ci fermiamo un momento, guardo i due tumuli, penso a quel ragazzo che ieri era ancora vivo, lo rivedo, vedo quegli occhi sbarrati, quelle labbra che si muovevano debolmente, quello squarcio mortale al fianco destro.

Requiem aeternam dona eis Domine…

Si continua verso il Comando, nessuno parla.

Quelle due croci fanno meditare …sono le prime…La vita? Una nuvoletta più o meno grande, destinata a sparire, altre si formeranno…spariranno anche loro.

Mentre il S.Ten Carnevale va a rapporto, noi facciamo quattro chiacchiere con i ragazzi della 12^ Cp, naturalmente l’argomento è la pattuglia.

Ci danno dell’acqua, che nei comandi non manca mai, qualche sigaretta, delle caramelle. Verso le 10 rientriamo al caposaldo.

Sono stanco, ho sonno, andiamo a riposare al fresco, nella cisterna  sotterranea, nel favoloso nostro dormitorio. Dicono che domani o dopodomani ci trasferiamo ad El Taqa.

 

Fine.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ricordo fin da ragazzino il buon S.Ten. Carnevale, amicissimo di mio Padre, con Tabelli, Provini, Massoni, Pulini, Alessandrini, tutti ufficiali del I° Gruppo Artiglieria Paracadutisti.

Oggi sopravvive solo il s.ten Tabelli, a Roma, immobilizzato da una dolorosa malattia.

In particolare ricordo il Raduno di Viterbo, 1967 se non ricordo male, quando venne inaugurato il Monumento al Paracadutista, opera di Caccia Dominioni.

Con emozione e gioia di tutti i vecchi artiglieri paracadutisti, tra cui mio padre, erano ritornati a vedere la vecchia Rocca, che li aveva accolti nell’autunno del 1941, la loro prima “caserma”, ed il buon Carnevale, che era di servizio a Viterbo, accoglieva tutti con un sorriso dolcissimo, commosso dietro le lenti dei suoi occhiali, felice di riveder i suoi vecchi artiglieri.

 

Ricordi di quarant’anni fa.

 

Ritornando l’altro anno a Viterbo, sulle mura Rocca vidi la targa a ricordo dei Granatieri, antica loro caserma, non una targa che ricordasse gli Artiglieri Paracadutisti.

 

Poche settimane prima a Corte, in Corsica, avevo fotografato sul vecchio forte della Citadelle che all’inizio degli anno ’60 era la Caserma della Legione, la bella targa del 1^er Battaillon  Parachutiste de Choc, ricordando che da lì erano partiti per la guerra.

 

 

Che differenza con l’Italietta odierna!

 

Forza Artiglieri, forza Viterbesi, forza ANPDI, basta poco !

 

Maurizio PINNA