PRIMA
GIORNATA AL 305
”Rossi o neri?”
14
febbraio ‘45
L’alba
ci inonda di sole.
Comincia
la vita nelle gabbie.
I
fischietti della sveglia trillano all’unisono.
Attraverso
i reticolati vediamo il movimento nelle gabbie.
Da
lontano e da più parti arrivano le note di canti fascisti, arriva forte il
grido “A noi!”, arrivano note di canti che non conosciamo, in qualche recinto
cantano ”Bandiera rossa”.
Vengono
un ufficiale, un sergente ed un plotone di soldati.
Circondano
il recinto, l’ufficiale ed il sergente con qualche soldato entra.
Il
sergente ci chiama in base all’elenco che ha tra le mani, ci fa spogliare nudi,
fa la rivista del vestiario, ci fa alzare le braccia, ci ordina di metterci a
..novanta gradi, ispezione visiva al…culo.
Ci
viene tolto tutto ciò che non fa parte del corredo.
Sono
le nove, nel corridoio centrale avanza una colonna di prigionieri.
Cantano,
cantano “Vincere”
Possiamo
ascolare in silenzio?
Cantiamo
anche noi.
Quando
passano davanti qualcuno ci chiede:”Siete
fascisti?”
“Si” rispondiamo ad una voce
“Venite alla venti”
Altre
compagne passano cantando.
Passa
poi una compagnia di soldati tedeschi, ordinatissimi, marziali, passo
cadenzato, cantano “Lilì Marlene”.
Salutiamo
con il saluto fascista, il capo colonna risponde con il saluto militare.
Quelli
che sono passati ci hanno chiesto se siamo fasciti, vuol dire che nel campo ci
sono gabbie di non fascisti, ecco spiegato il canto di “Bandiera rossa”.
Le
guardie non ci lasciano, sono quattro neri che ordinatamente, con il fucile in spall’arm,
marciano ai quattro lati del recinto, senza mai fermarsi.
Comincia
a fare caldo, non c’è un riparo, non un filo d’ombra.
Cerchiamo
di parlare con le guardie, nemmeno ci degnano di uno sguardo.
Non un
inglese che passi qui vicino.
Si
sono dimenticati di noi?.
A
mezzogiorno ci portano da mangiare.
“Quando in gabbia con amici?” chiediamo
al caporale
“Today, tomorrow, may be”.
Risposta cretina.
“Il sole scotta perchè non dare tende?”.
“Questa sera, forse domani sera” è la
risposta cattiva.
Verso
le diciassette entrano due caporali inglesi.
“Prepararsi, prendere tutto” ordinano.
Scortati
dalle guardie ci avviamo ai recinti.
Ci
fanno fermare davanti al recinto n.4.
Davanti
al cancello si sono assiepati molti prigionieri, tutte facce nuove.
Appena
entrati, un sergente maggiore, che sapremo poi essere il capo campo, ci chiede
bruscamente:”Rossi o neri?”.
Uno di
noi risponde immediatamente:”Neri!”.
Ci
subissano di urla, fischi, minacce.
Ci
circondano, noi facciamo quadrato.
Il
sergente inglese interviene, parla minacciosamente con il serg. magg., che
ordina poi a tutti di allontanarsi. Raccomanda la cala ed aggiunge:”…dopo il rancio andranno via…”.
Ci
portiamo vicino ai reticolati della gabbia accanto, la 5, con la speranza di
non parlare con altri rossi.
Vedo
un amico bresciano, incontrato a Tobruk, lo chiamo:”Bossoni, Bossoni, ehi, sono Pinna”.
L’amico
si avvicina e mi urla :”Ma che ci fai lì?”
“Mi hanno infilato qui dentro, ci sono altri
con me, vedi di farci uscire, ma subito” rispondo.
“Va bene, state uniti, non andate a prendere
il rancio, correte il rischio di essere linciati, state vicino al cancello,
faremo avvisare il comando…” ci dice tutto eccitato.
Togliamo
i picchetti della tenda vicina, sono lunghi e robusti, non andiamo a prendere
il rancio e rimaniamo uniti vicino al cancello.
Qualcuno
ci ronza attorno con curiosità, ma c’è chi, insultandoci, cerca la provocazione
ed una nostra reazione.
Non
rispondiamo agli insulti.
Il
tempo non passa mai.
Finalmente
verso le venti arrivano due inglesi.
Ci ordinano
di seguirli fuori.
A
questo punto due dei nostri chiedono di rimanere.
Perché,
non saprei come spiegare.
Mentre
usciamo un tizio, con una faccia da vizioso, ci urla con una voce gutturale da
avvinazzato:”porchi fascisti”
Ed
allunga un calcio al più vicino di noi.
La
reazione è immediata, un pugno in faccia.
Ci
accompagnano fischi ed il canto di “Bandiera rossa”.
Entriamo
nella 5.
Cento
braccia si protendono per salutarci.
Mi
vengono incontro Bossoni, Marchi, Monchiero, Fanfani, Craighero, Rodighero,
Tumiatti ed altri vecchi amici.
Ci
viene assegnata la tenda, andiamo a prendere il rancio, ci hann0olasciato una
razione doppia: grazie amici!
Finalmente
siamo tra amici.
Ci
descrivevano il campo 305 come un concentramento terribile, senza acqua, dove
le punizioni singole e collettive erano all’ordine del giorno.
Non è
il 305 un campo normale, ma non è neanche come dicevano.
E’ un
campo misto, ci sono italiani e Tedeschi.
I
Tedeschi sono ammirati da noi, ammirati e temuti dagli inglesi.
Trentacinque
sono i recinti, la maggioranza occupati da italiani.
Una
distinzione è necessaria: ci sono recinti di ufficiali, di truppa e di civili,
recinti con ufficiali dichiarati fascisti, recinti con ufficiali non
cooperatori ma non fascisti, recinti di soldati dichiarati fascisti, recinti
con cooperatori puniti, recinti di comunisti, recinti di non cooperatori,
recinti con internati civili.
Qui
non si sente il peso opprimente dei primi campi: là il tempo non passava mai,
non si rovava una forza interna tale da vincere l’ansia, l’incubo ossessivo del
tempo e dello spazio.
Qui,
nell’aria stessa, c’è una specie di energia che elettrizza gli spiriti, che
scuote, che non permette di cadere nell’abulia, nell’apatia.
Qui la
maggioranza non impigrisce.”