Dai diari di Tano Pinna, di
Umago d’Istria.
art.
parac. della 3^, poi 2^ btr. \ I°
Gruppo
TRE GIORNI AL 305
27 FEBBRAIO 1945:
28 FEBBRAIO 1945:
1° MARZO 1945: LO SCONTRO CON I ROSSI
Gli avvenimenti di tre giorni consecutivi al 305 POW CAMP nel
diario di Tano Pinna, “ospite” della gabbia 5, uno
spaccato del microcosmo che ad El Kassasine, sotto il
sole, giorno dopo giorno, altro non è che la vetrina sulle ideologie, sugli
uomini, su quello che ancora oggi esiste: l’animo così detto umano.
La foto è attuale, ma il “grugno” degli
odierni Red Cap non è
dissimile da quello dei loro predecessori di El Kassasine
“27
febbraio ‘45
E’
proprio vero, gli inglesi sono perfidi…alla larga!.
Non
conoscono limiti nei loro atti di dominio.
Perfido
albionico! Hai un recinto di ufficiali tutti anziani,
nessuno di loro ti ha dato un solo grattacapo, non fanno politica di sorta, non
tentano fughe, non hanno fatto combutta con altri recinti colorati o no,
chiedono solo di vivere in pace in attesa della fine
della prigionia.
Certamente
tu li vorresti fuori dal campo di concentramento a
comandare le squadre dei prigionieri lavoratori; vorresti il signor capitano
dell’esercito italiano prendere gli ordini dal tuo cornamusiero
caporale; vorresti, perfido albionico, sentire la
voce di un tuo selvaggio schiavo africano che comanda l’ufficiale italiano,
meglio se nobile.
Certo, gli ufficiali
della gabbia 3 non hanno sottoscritto la collaborazione, non per questo tu li
devi odiare.
Sciocco
che sono! Non si sono piegati al tuo orgoglio, quindi devono essere puniti.
Avevano
sistemato il loro recinto, le loro tende, tutto era ordinato, tutto era pulito,
come tu vuoi.
Il
colonnello inglese pensò, buttandoli fuori, che almeno per un certo periodo
avrebbero dovuto affrontare delle difficoltà…
Gli
ufficiali sapevano dell’ordine di trasferimento, però la maggioranza decise per
il …gran rifiuto.
Verso
le 9, lungo il viale centrale, avanza uno squadrone di guardie a cavallo, sono
i “red cap” i famigerati
berretti rossi, dietro viene una compagnia di soldati di colore.
In
tutti i recinti serpeggia l’allarme, i prigionieri sono allineati lungo il lato
che dà sul viale, si alzano già urla, fischi.
Gli
ufficiali della 3 non si sono mossi dalle tende.
Entrano
nel recinto un capitano ed un plotone di soldati.
Il
capitano, attraverso l’interprete, ordina agli ufficiali di uscire dalle tende,
con tutti gli effetti personali, e di mettersi in ordine per compagnie.
Dalle
tende non esce una sola persona.
Il
capitano dà l’ordine di “sbatterli fuori”.
Comanda
alla cavalleria di entrare.
Entrano
come andassero alla carica, entrano i soldati
appiedati come andassero all’assalto.
I
primi hanno sguainate le sciabole, i secondi hanno inastato le baionette.
Confusamente
si vede il carosello dei cavalli tra le tende che cadono, gli ufficiali, prese
a piattonate, corrono, urlano.
Alle
11 escono inquadrati: sotto scorta armata vengono
accompagnati nel nuovo recinto.
I
valorosi red cap dovranno
passare al ritorno davanti a molti recinti, compreso il nostro.
Qualcuno
propone:”…rompiamo
la massicciata del lavatoio, mattoni ce ne sono in giro, …quando ripassano li
prendiamo a mattonate…se cominciamo a battere le
lamiere ondulate dei gabinetti, vedrete che salti faranno i cavalli!”
Ci
mettiamo tutti al lavoro, bisogna far presto.
Poco
dopo ecco lo squadrone trionfante ritornare al passo.
Dalle
gabbie, di qualsiasi colore, si fischia, si urla.
Passano
indifferenti nel grande schiamazzo.
Eccoli,
sono davanti alla 6.
“...Pronti?”.
Magnifico!
uno schianto improvviso di lamiere battute ed un
grandinata di sassi e pezzi di mattone.
I
cavalli hanno uno scatto: chi si mette al galoppo, molti si drizzano in
pericolose impennate che disarcionano i cavalieri, l’ordine si rompe, è il
caos, continuano a volare sassi e mattoni e le raffiche metalliche sulle
lamiere ondulate.
Pochi minuti dura
il tafferuglio, l’intento è raggiunto, i poliziotti sono a terra, disarcionati,
umiliati, impotenti.
Certo,
avrebbero potuto spararci, qualcuno ha temuto e non ha voluto
intervenire, ma noi volevamo umiliare quelle teste di legno a qualsiasi costo.
Da
notare: nella tenda comando del recinto c’era il sergente inglese, ha visto i
preparativi, ha seguito l’azione.
Ci
diranno poi che non ha pronunciato una parola, anzi, nel vedere più di un red cap a terra, ha fatto una gran
risata.
Ritornata
la calma, esce dalla tenda, esce dal campo.
E’
ritornato per la conta della sera, prima del rancio, ci informa che una decina
di poliziotti sono dovuti ricorrere alle cure mediche per ferite alla testa e
contusioni per caduta da cavallo.
Lo si direbbe
contento.
I
berretti rossi non gli sono amici?
Per il
momento non c’è nessuna reazione da parte del comando.
Il fregio del 1942 dei Red
Cap,
Le iniziali sono G. R. ossia George
VI, l’allora sovrano inglese, e Regnum
28
febbraio ‘45
Verso
sera notiamo lungo il viale una colonna di prigionieri, con tutti i bagagli
personali.
Chi
sono?
Dove
vanno?
Il
sergente scozzese ci informa: sono ex cooperatori puniti, tutti comunisti,
vanno nel recinto 3.
Hanno
voluto mettere due gabbie comuniste vicino.
Nella gabbia 3,
prima degli ufficiali, c’erano stati i tedeschi, che avevano fato un monumento
che raffigurava una valchiria, poi gli italiani avevano fatto, con la sabbia,
un bel S. Pietro con il cupolone.
I
compagni, urlando, bestemmiando, con godimento bestiale, cominciano a spianare
tutto, lasciano un moncone delle due costruzioni, poi, sul moncone, piantano un
palo con un drappo rosso.
Cantano,
esultano, hanno vinto e distrutto la bionda vergine nordica ed il cupolone
sovrastato dalla Croce.
S’innestano nella peana di
vittoria anche quelli del recinto 4.
E’
l’ora del rancio, nessuno si preoccupa di quanto sta succedendo nel recinto
vicino, poi quel canto, che non finisce più, comincia a dare sui nervi.
Lo
fanno apposta, ci sfottono, ci sfidano, ci esasperano.
Si
comincia fischiare, un gruppo intona “Giovinezza”, quelli percepiscono la
nostra rabbia, cantano più forte.
Qualcuno
di noi comincia a tirare i sassi che sono rimasti da ieri.
Loro
rispondono alla stessa maniera.
La
sassaiola dura forse mezz’ora.
Un
sergente dell’artiglieria alpina, un bergamasco,
propone:” Domani
alla corvè completeremo la razione, facciamo una squadra, ma avvisiamole le altre
gabbie…”.
1°
marzo ‘45
Esce
la squadra per il prelievo della nafta.
Quando,
lungo il percorso, il gruppo è vicino a quello della 4, i “compagni” cominciano
a canticchiare “…emme rossa, uguale sorte,
fiocco nero alla squadrista, noi la morte l’abbiam
vista pitturata sui maglion …”.
Sfidano,
stuzzicano, il sergente ordina di stare fermi, ci sono ben cinque squadre dei
recinti comunisti, bisogna attendere qualche squadra amica.
Per un
buon tratto del percorso devono sopportare la continua sfida, alla fine un
paracadutista, Polidoro, umbro, scatta, lascia cadere la latta e, al grido “a
noi!”, si scaglia sul gruppo della 4 brandendo il picchetto a mò di manganello.
Immediatamente
si accende la zuffa tra le due squadre.
Intervengono
altre squadre.
Improvvisamente
guizzano i coltellacci da cucina.
Gli
accompagnatori inglesi danno fiato ai fischietti, è l’allarme.
Accorrono
altri inglesi, accorrono le guardie nere che, avendo i fucili, non si buttano tra
i contendenti, finalmente un caporale inglese, vista la mala parata, sale su di
un camion e, dopo aver avviato il motore, si butta tra i due gruppi.
Intervengono
poi i soldati.
Dei
nostri Falvo, un calabrese, ha perso un dito,
Polidoro rimane ferito, gli altri sono più o meno pesti o con leggere ferite da
taglio.
Tre
della 4 sono a terra, pesti, perdono molto sangue dalla bocca.
I
feriti vengono portati subito all’infermeria, gli
accoltellatori della 4 finiscono in cella di punizione.
I
nostri vengono portati al comando.
Segue
un processo per direttissima: i nostri ritornano, gli altri, per aver trafugato
i coltelli e per averli usati come armi, vengono
puniti con 30 giorni di cella.
Naturalmente
il fatto costituisce oggetto di cronaca, non solo nella nostra gabbia, ma in
tutte le altre gabbie del campo.
Il
fatto che gli avversari hanno tirato fuori i coltelli indigna
anche il più fiacco, il più imbelle.
Anche
il sergente inglese ha stigmatizzato l’uso dei coltelli “…simili ai briganti” ha detto.
fine