LA FOLGORE SUL MONCENISIO NEL 1945
20 Sep 2001
Autore:G.Lardinelli

SEGUE - SECONDA PARTE (per leggere la prima , scorrere la striscia precedente, con lo stesso titolo)

dargli un'occhiata e facendo qualche commento che Casadei capì poiche conosceva il francese. Continuò, tuttavia, a fare il morto tanto più che quel ruolo non doveva risultargli ormai troppo difficile. Solo più tardi, trascinandosi sulla neve, potè raggiungere il bunker dove rimase fino a notte quando fu trasportato in retrovia. Frattanto Babacci, Luise, Raia ed io avevamo preso posto nella postazione che ci era stata assegnata. Un modesto rilievo che però ben si prestava alla difesa del passo. Carli, Gorzigli, Bonaccina, che sarebbe caduto da valoroso il giorno successivo, ed un quarto paracadutista erano arroccati in un'altra postazione. Del nostro gruppo, il più anziano, era Babacci, aveva diciannove anni, poi c'ero io con diciotto anni e qualche mese, quindi Luise che non aveva ancora compiuto i diciotto e infine Raia, genovese, che con i suoi quasi diciassette anni era la mascotte della compagnia ma combatteva come gli altri. La maggior parte dei difensori del Moncenisio, esclusa una modesta percentuale di "vecchioni", aveva età  compresa tra i diciotto e vent'anni. Di fronte a noi, in posizione più elevata, potevamo notare un brulichio di truppa nemica che si apprestava ad attaccare mentre tutt'intorno si udivano le pallottole con il loro inconfondibile sibilo metallico mentre trapanavano l'aria o colpivano, alcune rimbalzando, la nostra altura. Il "concerto" era accompagnato dal crepitio di armi automatiche. La nostra mitragliatrice era rimasta sul cocuzzolo. Si trattava di una Safat 7.7, di quelle montate sugli aeroplani, alla quale era stato sistemato un "calciolo" da appoggiare sulla spalla ed un bipiede anteriore. Era pesante ma sgranava colpi con rapidissima frequenza. Luise non aveva potuto trascinarsela dietro con le due cassette di munizioni. Era stato "inquadrato" allo scoperto e solo con molta fortuna riusciva a buttarsi dentro quella specie di trincea naturale.
Non potevamo comunque rinunciare a quell'arma, almeno come deterrente. Fu così che, senza pensarci, schizzai fuori per recuperarla. Io vedevo chiaramente gli avversari e loro vedevano me e mi scaricavano contro le loro armi. Con buona fortuna riuscii ad afferrare la mitragliatrice ed arraffai anche le cirighie delle cassette di munizioni rotolando al coperto, in un groviglio con il tutto, ma incredibilmente incolume. Con un pezzo della camicia di qualcuno di noi ripulii, quanto meglio potevo, il meccanismo di alimentazione poi che era molto facile che si inceppasse. Era un'arma delicata, nata per gli aeroplani e lassù non c'è sudiciume. Volli prendermi una rivalsa sparando un paio di raffiche prima di riconsegnarla a Luise. L' effetto offensivo fu certamente irrilevante ma almeno si poteva sentire l'esistenza di una mitragliatrice anche da parte nostra. In quel settore eravamo solo in otto poiche uno era ormai fuori combattimento. Costituivamo la punta avanzata ed avevamo una grossa responsabilità . Infatti i rinforzi, sul cui avvicinamento non avevamo dubbi ma il cui numero era drasticamente inferiore a quello degli avversari, se noi avessimo ceduto, sarebbero stati intercettati allo scoperto in una insostenibile sperequazione di forze e massacrati. Quindi non avevamo scelta. Dovevamo bloccare il nemico li dov'era. Su questo eravamo decisi con una determinazione e una serenità  che, a ripensarci oggi, si potrebbe definire sconcertante. La spiegazione comunque c' era. Non si trattava di fanatismo ne tanto meno di montatura. Certi atteggiamenti melodrammatici si possono avere nei comizi o allo stadio, non certamente in prima linea quando si ha di fronte truppa combattente del proprio stesso livello alla quale non si concede e dalla quale non ci si attende di avere sconti. E' che a quel tempo esistevano ancora valori morali dei quali si era consapevoli. La Patria non si considerava un concetto astratto o retorico ma quella terra dove vivevamo, dove c' erano le nostre famiglie, i nostri amici, la nostra gente. La sentivamo nostra e la difendevamo. Poi c'era il dovere, rappresentato in quel momento, dalla lealtà  verso i commilitoni che non potevamo mettere: in una situazione critica solo per un istinto di vile tornaconto. Combattemmo da soli per diverse ore. Sparavamo con calma mirando colpo su colpo come ad un' esercitazione. Le canne dei nostri fucili scottavano ma il nostro fuoco si dimostrava molto efficace. Per tale ragione, penso, che il nemico non avesse realizzato di avere di fronte così pochi difensori del passo, diversamente, con il loro schiacciante numero, avrebbero sferrato un attacco a fondo. Si sarebbe, comunque, concluso in modo molto cruento poiche di lì, vivi, non ci avrebbero "scollato" di sicuro. La nostra puntigliosa resistenza aveva permesso frattanto ad un plotone di paracadutisti di arrivare a breve distanza da noi. Quando udimmo il grido di guerra "Folgore" rimanemmo in un primo momento increduli. Non si potrebbe in alcun modo esprimere con le parole il nostro stato d' animo in quel momento. Ormai non ci speravamo più. Eravamo rimasti, fra tutti, con un solo caricatore di fucile e avevamo già  deciso come alternarci alla mitragliatrice perchè la nostra eliminazione durasse il più a lungo possibile per dar modo ai rinforzi di potersi attestare e contrattaccare il nemico da una posizione accettabile. Purtroppo, l'ultimo tratto che ci separava era completamente allo scoperto ed il fuoco avversario creava una cortina di morte. Munari, il mitragliere del gruppo, puntò deciso verso una posizione da dove avrebbe potuto contrastare con efficacia il fuoco avversario permettendo ai nostri di superare la zona critica, ma in quel micidiale percorso venne mortalmente colpito. Raggiunse comunque l' obbiettivo, piazzò l' arma e vi morì sopra.


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