MARIA UVA - Un Tricolore a Suez-
11 Apr 2002
Autore: ricerca a cura di Gianbattista Colombo

Sabato 13 p.v.come ogni anno andrò a salutarla insieme alla sua figlioccia di cresima, portandogli i saluti degli amici di tutti i Paracadutisti e alcune lettere

Scrivete a Maria Uva
Torniamo sulla vicenda di Maria Uva, che nel 1936 divenne un mito per i nostri legionari in viaggio per l'Africa orientale: seguiva dalla riva del Canale di Suez i piroscafi italiani sventolando un immenso tricolore. L'ardente patriota che oggi ha 97 anni, conosce dopo il nostro precedente articolo una seconda stagione di notorietà .
Paracadutista Pilota ULM
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Dal Secolo d'Italia - "C'era una volta l'Africa italiana"- Venerdì 22 marzo 2002

La centenaria «sorella di Suez»



FRANZ MARIA D'ASARO

Giunti all'80^ puntata della nostra rievocazione di quella che è stata l'Africa Italiana, siamo molto lieti di dover tornare indietro. Per la fortunata circostanza che aver reso nota il 20 dicembre 2000 su questa pagina la storia avvincente e straordinaria di Maria Uva, "la pasionaria di Suez", ormai alle soglie dei 100 anni, ha dato luogo a una serie di iniziative di cui è giusto che i lettori siano informati. Da quel giorno di lei si sono occupati in molti, vecchi reduci d'Africa felici di averla ritrovata, giornali e televisioni, specialmente Paolo Limiti nel suo programma e il regista della Rai Sergio Tau, autore di coraggiose trasmissioni come "La voce dei vinti", testimonianze dei combattenti della Repubblica Sociale.
 
Anche il capo dello Stato, Ciampi, ha voluto inviare, all'istituto geriatrico dove trascorre le sue giornate "la ragazza di Suez", "uno speciale, affettuoso pensiero per la gentile signora Maria Uva".

La storia di questa donna è stata anche oggetto di una tesi di laurea al corso di Storia Contemporanea dell'Università di Bologna.

Per chi lo avesse dimenticato o per chi non avesse letto quanto,di lei abbiamo già raccontato, ricordiamo che questa patriota così fervente e appassionata è in realtà nata francese, nei pressi di Lourdes, di cognome De Luc, animata da un grande amore per l'Italia dopo aver sposato un pugliese, Pasquale Uva, di Bisceglie, che gestiva un'autorimessa a Port Said, dove Maria, rimasta orfana da bambina, si era recata in visita dalla sorella emigrata in Egitto. Quindi il colpo di fulmine, una stupenda storia d'amore con Pasquale e una nuova vita sulle rive del Nilo con il marito italiano.

Maria diventò un mito per i nostri legionari a bordo delle navi che li trasportavano in Africa Orientale al tempo della campagna etiopica nel 1935-36. Insieme con il marito ed altre donne delle comunità italiane di Port Said, Ismailia e Suez, aspettava i piroscafi all'ingresso del Canale e in automobile li accompagnava sin dove era possibile (90 chilometri) sventolando un immenso tricolore, lanciando messaggi e saluti, cantando attraverso un megafono motivi popolari e inni patriottici. Il Canale di Suez è così stretto che si può colloquiare senza troppa fatica dalle navi alle rive e viceversa. I soldati, commossi e sorpresi di trovare l'imprevista accoglienza a tanta distanza dall'Italia, rispondevano alla voce agitando fazzoletti e copricapi coloniali: Avevano cominciato a chiamare Maria con epiteti gentili; "l'usignolo del Canale", "la Signora di Suez", "Angelo protettore", "Sorella canora", "La madonna del legionario", "Fiore italiano" e tanti altri appellativi poetici.

Spulciando fra le migliaia e migliaia di lettere di quei volontari, che conserva con geloso orgoglio, si leggono espressioni di commossa riconoscenza, non soltanto da parte di umili soldati, contadini ed operai, cui costava grande impegno scrivere poche righe, ma anche firmate da personaggi importanti. Fra quelle dei generali, una, in data agosto 1936, è di Alberto Savoia-Genova, duca di Bergamo, comandante della Divisione "Gran Sasso", il quale elogia Maria Uva "per aver profuso tutto il sorriso e il fervore del suo italianissimo cuore; si è attiratala persecuzione straniera, ma si è conquistata la riconoscenza di centinaia di migliaia di soldati che non la dimenticheranno mai e porteranno caro il ricordo dell'esempio di amor Patrio che Ella ha loro offerto".

Dopo averle dato atto di essere riuscita a donare ai legionari in transito "il saluto augurale della Patria ormai lontana"; il generale così conclude: "Con gli ufficiali, i fanti, gli artiglieri, i genieri e le truppe dei servizi della "Gran Sasso", io pure, loro comandante, ringrazio Maria Uva di quanto ha fatto per l'Italia e per tutti noi, e le invio il nostro riconoscente saluto".

La storia di Maria Uva fu ben presto conosciuta anche all'estero grazie alle lettere che inviavano a casa i volontari venuti dalle nostre comunità sparse nel mondo, dagli Stati Uniti all'Argentina, dalla Francia al Belgio, dalla Germania alla Tunisia. E il caso di ricordare che i volontari, provenienti dall'estero erano stati organizzati in una apposita Divisione al Comando di Piero Parini, direttore dell'Ufficio Italiani all'Estero, poi ambasciatore al Cairo e infine prefetto di Milano. Anche lui commosso "nel ringraziare ancora una volta a nome dei Legionari dell'Estero questa italiana dell'Estero che ha scaldato con la sua fede e con il suo canto coloro che muovevano sulla via del Sud, italiani al cento per cento".

Da queste lettere si apprende che oltre alle tante italiane di Port Said, Ismailia e Suez, che seguivano Maria Uva sulle sponde del Canale per accompagnare con canti e sventolio di bandiere le navi in transito, c'era anche un sacerdote, padre Agostino Romoli, il quale, anche di notte, a bordo di un motoscafo, si recava sotto bordo a portare saluti e benedizioni. Sul suo esempio le signore cominciarono a servirsi di imbarcazioni per avvicinarsi il più possibile ai piroscafi e far sentire ai legionari ancora più calorosa quella partecipazione.

Uno spettacolo che indispettiva i marinai inglesi, i quali assistevano impassibili e gelidi a quel gran vociare di italico patriottismo. Erano gli equipaggi dell'incrociatore "Barham", dei cacciatorpediniere "Active" e "Antilope", dei sommergibili "E-27" e " H-32", della nave appoggio "Shillier". Scrisse un testimone dell'epoca, il colonnello Varo Varanini: "Guardavano muti, forse ammirati, e anch'essi, in cuor loro, pensavano alla Patria lontana".

Poi, da quel gruppo di donne si levavano alte le note delle canzoni, e a bordo delle navi il silenzio diventava assoluto. Ma appena il canto finiva scoppiava l'entusiasmo. Racconta Varanini: "Maria Uva, invocata da prora, chiamata da poppa, cantava, cantava, cantava. Ad ogni strofa un applauso fragoroso, mentre un grido formidabile si alzava dalla coperta, dai ponti, dalle cabine, dalle stive del vapore, diventato loggione, palchi e platea. Un teatro semovente, gremito di migliaia e migliaia di spettatori".

Ad un certo punto Maria avvertiva attraverso il megafono che fra poco la strada si sarebbe discostata per alcuni chilometri dal Canale: "Staremo un'ora senza vederci, il percorso stradale tornerà al Canale poco prima di Ismailia, ci rivedremo lì, arrivederci".

E i volontari aspettavano (se era già sera nessuno andava a dormire), aspettavano appoggiati ai parapetti delle navi di riprendere a colloquiare con quella "sorella italiana". Di notte i fari delle automobili degli italiani illuminavano i tricolori issati sui cofani.

Infine l'ultimo saluto in vista di Suez. Quindi il Mar Rosso. E un gran silenzio. A bordo tutti tacevano, tutti pensavano. Nessuno riuscì mai a dimenticare Maria Uva e le sue amiche. Migliaia e migliaia di lettere, cartoline, biglietti, fotografie con dedica, ne sono la riprova.

In alcune missive si leggono anche ingenue proposte di matrimonio. Lei rispose a molti, impossibile rispondere a tutti.

Il rito patriottico di salutare e accompagnare le navi dei legionari in transito era cominciato per caso, al passaggio del piroscafo "Argentina". Sulla riva del Canale erano andati alcuni amici, Maria Uva con il marito, Antonio Galliano - che poi sarebbe partito volontario con la Divisione "Tevere" - Antonio Scotto e Stella Della Ricci. Fu tale l'entusiasmo dei soldati per gli inattesi festosi saluti di quegli italiani che Maria Uva decise di ripeterli e continuarli per tutto il periodo della campagna d'Etiopia. Si alzava all'alba, tornava a casa la sera senza più un filo di voce ma al mattino successivo l'aveva già miracolosamente recuperati, con l'aiuto di un po' di acciughe, come ben sanno i cantanti.
   
A convincere Maria a perseverare c'era stato un telegramma trasmesso dal piroscafo "Toscana": erano i legionari che la ringraziavano con affettuose espressioni. Quel telegramma fece il giro di tutte le case degli italiani di Port Said, dove le navi in transito dovevano sostare per il pagamento degli esosi pedaggi che ci infliggevano gli inglesi e per il disbrigo delle altre formalità. E si apri un nuovo capitolo di solidarietà: i legionari cominciarono a ricevere non soltanto canti e saluti ma anche generi di conforto; dolciumi, sigarette, datteri, oggettini vari. Le signore si davano gran da fare per raccogliere fondi, acquistare doni e confezionare pacchi, un impegno non da poco: ne furono distribuiti circa tremila.
   
C'erano poi anche le spese per il noleggio dei motoscafi. La tariffa era di 25 piastre per ogni ora, ma da quelle signore se ne pretendevano 60, prendere o lasciare.
   
Alle quattro del mattino dell'11 ottobre 1935 i legionari che riposavano a bordo della nave "Gange" furono svegliati da un gran trambusto. Anche il generale Bertini, comandante della Divisione "Sila", anche Bottai, anche il console generale D'Alba. Dal ponte di comando avevano avvistato, all'imboccatura del Canale, a quell'ora impossibile, ancora e sempre lei, Maria Uva, con il marito e un amico, Antonio Scotto, lì, infreddoliti, in attesa dei legionari per salutarli alla voce e con lo sventolio del tricolore. Per poi accompagnare la nave lungo la strada che costeggia il Canale. Alla sosta successiva i legionari le consegnarono tre bandierine e un messaggio di gratitudine firmato da migliaia di volontari.
   
Le ostilità degli inglesi e dei loro reparti indigeni procurò a Maria anche momenti ad alto rischio. Per esempio, quando un poliziotto sudanese tentò di sequestrare il messaggio di un legionario a lei diretto che era stato lanciato da una nave. Maria andò su tutte le furie, riuscì ad impossessarsi del foglio ma per impedire che l'agente lo leggesse fece in tempo a strapparlo a pezzetti e a gettarlo in mare. Il poliziotto, imbestialito, imbracciò il fucile puntandolo contro di lei. Dal piroscafo si levarono urla così potenti, con la minaccia di fermare le macchine e di scendere, che il sudanese preferì desistere e allontanarsi.

Dalle navi in transito anche personaggi importanti impugnavano il megafono per salutare e ringraziare Maria Uva: fra gli altri, i generali Badoglio, Teruzzi, Parini, il Presidente del Senato Giacomo Suardo
   
E venne il triste giorno della resa dei conti, quando Maria e il marito dovettero abbandonare Port Said. Gli inglesi non avevano perdonato la loro "sfida". Ritirata la licenza a Pasquale, i coniugi Uva erano rimasti privi di risorse vitali. Non solo, ma erano stati definiti "very dangerous persons", persone molto pericolose. Dovevano andarsene.

In Italia trovarono affettuosa solidarietà. Furono aiutati dal governo a saldare i debiti che erano stati costretti a contrarre in Egitto per sopravvivere, e ottennero entrambi un impiego dignitoso.
   
Ma le tribolazioni non erano finite. Negli anni terribili seguiti alla primavera del 1945, Maria Uva rischiò addirittura di essere condannata a morte per i suoi "trascorsi fascisti". Si salvò quando dimostrò, anche grazie al provvidenziale intervento dell'ambasciatore di Parigi, che era francese. Ne sarebbe derivata una seria complicazione diplomatica.
   
In Egitto aveva lasciato tutto. Si era portata però il patrimonio più prezioso della sua vita: tutte le lettere dei legionari, migliaia e migliaia.
   
Ha un solo desiderio: non essere dimenticata. E per questo chiede, tramite il nostro giornale, che le continuino ad arrivare lettere e cartoline di conforto e di solidarietà.

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Questo l'indirizzo: Maria Uva, Istituto "Davide Drudia, Mendola (Forlì) 47014.

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Le lettere più recenti sono di figli e nipoti di legionari che le testimoniano quanto lei fu di sostegno morale a tanti soldati che, tornati in Italia, portarono nelle famiglie l'indimenticabile ricordo della "Sorella di Suez"
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