NON SI SAREBBERO PRIVATI DEL BRACCIALETTO NEMMENO PER...........
18 Mar 2003
Autore: Par EMILIO CAMOZZI

UCCIDERE LA NOIA

Prendi qualche migliaio di giovani cha stanno vivendo una vita intensa a tu per tu con la morte, buttali in un campo diviso in "gabbie" di cinquecento metri per cinquecento, ogni gabbia cinquecento scatenati che vivono in tende che contengono dieci persone che, per necessità  di spazio, hanno deciso di costruirsi con la sabbia bagnata dei letti chiamati "tombini", e prova ad immaginarti quello che può succedere.

Io, che in una di quelle gabbie ci sono stato per quattro anni, ho visto da quello che si è buttato sui reticolati per farsi ammazzare a quello che, aiutato da amici, da quasi analfabeta è riuscito, tornato a casa, a laurearsi.




Il braccialetto che vedete, può non essere classificato come gioiello, eppure chi lo ha donato al Museo delle aviotruppe, non lo avrebbe cambiato con alcun tesoro, per quanto grande fosse, gli avessero offerto in cambio.

Solo la sicurezza di riservare un avvenire ad una testimonianza del genere, lo ha indotto a separarsene.

Quante volte me lo ha mostrato,quante volte, con gli occhi lucidi dall'intensità  dei ricordi, me ne ha raccontato la storia!.Proverò a cercare di trasmettervi i ricordi di Giovanni Fiumi, Ario per gli amici, profugo istriano innamorato della sua terra abbandonata.

Purtroppo dovrete solo immaginare gli occhi lucidi di lacrime che non scendono per pudore e le pause che tali non sono, ma singhiozzi soffocati in gola!

In tenda eravamo quasi tutti gente di qua: triestini, istriani, friulani. Eravamo capitati assieme fin dai primi giorni di prigionia. I primi tempi ci avevano messi a lavorare sulla strada costiera disastrata da tre anni di guerra.

Il tempo passava, non lietamente,data la situazione, ma perlomeno passava, ed il cibo era sufficiente. Dopo l'otto settembre le cose cambiarono. Se si voleva restare, bisognava firmare la collaborazione con gli inglesi.

La maggior parte accettò l'imposizione. Il nostro gruppetto non ne volle sapere e fu inviato seduta stante al 305 P.O.W. Camp allestito dagli inglesi per i non collaborazionisti ed impropriamente chiamato Fascist Criminal Camp. Fu qui che la noia cominciò a regnare sovrana.

Il tema centrale delle nostre conversazioni era generalmente, data la fame, gastronomico.
Era un campo a me completamente ignoto. Gli altri immaginavano piatti talmente raffinati che nessuno di loro aveva ne avrebbe mai mangiato.

Io mi sarei accontentato di una fettina di pane in più.

Un giorno, mentre la disquisizione gastronomica imperversava, per passare il tempo presi la gavetta, in quei tempi di alluminio, e cominciai ad inciderci sopra il mio nome, con una specie di attrezzo che ero riuscito a costruirmi.

Mio padre aveva un negozio di orafo e orologeria a Pirano. Io lavoravo con lui. Da lui avevo appreso il mestiere dell'incisore.

Gaetano Pinna, mio vicino di tombino, anche lui istriano di Umago, l'intellettuale della compagnia, mi stava osservando.

Sapeva disegnare molto bene. Si fece dare la gavetta e con un punteruolo che faceva parte della mia attrezzatura inquadrò il mio nome in un arabesco e disegnò sotto un paracadute con un omino penzolante.

Ripresi la gavetta e incisi il tutto. Il lavoro sollevò l'entusiasmo dei presenti. Fra loro c'era Glauco Vigentini,di Trieste, fra i più squinternati e geniali individui che io abbia mai conosciuto.

Non si capiva bene come l'ottimismo e l'allegria potessero albergare in uno spilungone di quarantotto chili di ossi, talmente buono che, malgrado la fame a carattere endemico che ci consumava, si rifiutava di mangiare quel pezzettino di carne che gli inglesi ci elargivano, perchè proveniva da un essere che era stato vivo.

Se c'era un idea che potesse essere attuata, lui aveva l'idea e l'attuava.

Era sempre stato il nostro interprete,ed era l'interprete ufficiale del campo.

Di inglese non sapeva altro che: god day, good morning, good evening e good nayt.

Poichè a scuola aveva studiato il tedesco, il good gli veniva con la "t" e non con la "d".

Eppure tutti gli inglesi che hanno avuto a che fare con noi lo capivano e esigevano che fosse lui a fare l'interprete.

Come vide la gavetta si alzò e disse che andava a farle vedere a qualcuno.

Dopo mezz'ora era di ritorno con una tazza metallica inglese ed la foto di un piccolo crest.

Il caman (capocampo inglese) chiede se si può incidere questo disegno sulla tazza.

Tano si mise subito all'opera. Dopo di lui io. Dopo di me tutti gli altri volevano fare qualcosa. Ne uscì fuori una tazza brillante,dalla quale erano spariti tutti i graffi e tutte le piccole ammaccature e dove risaltava il crest del caman.
Con la sponsorizzazione dell'inglese cominciò un lavoro abbastanza proficuo.

Tutti gli inglesi volevano il "ricordino" e lo pagavano. Credo che il capocampo, vista la mole di lavoro, ne traeva qualche buon profitto. Ma soprattutto finì la noia. Da fare ce n'era per tutti, ed i benefici che ne derivavano erano divisi fra tutti. Il braccialetto fotografato è indice di un benessere quasi raggiunto.

E' tratto da una moneta in argento di cinque piastre, battuta con un peso da un chilo fino a ridurla ad una sottilissima lamina.

I disegni sono di Tano, l'incisione è mia, la lucidatura è di Glauco. E' tutto quanto mi resta di quei brutti tempi.

Sono però felice che ora sia esposta nel museo dei paracadutisti
a testimonianza di un periodo superato con l'aiuto di buoni camerati e con la dote di cui noi italiani possiamo andare fieri:l'arte di arrangiarci.


Emilio Camozzi

TORNA ALL'INDICE
RICORDIAMO I NOSTRI UTENTI CHE DALLA SEGNALAZIONE DI INCORRETTEZZE O ERRORI NELLA BACHECA ALLA CANCELLAZIONE, PER MOTIVI TECNICI, PASSERANNO CIRCA 24 ORE.