UNA VITA PER L'ARIA
10 Jun 2004
Autore: Barbara Alessandrini de "L'Opinione"

Una vita per l’aria
di Barbara Alessandrini


La contessa Maria Fede Caproni è la prova vivente che spesso l’occhio del ciclone è il punto più tranquillo. Già, mentre il mulinello di attività ed iniziative da lei promosse e sponsorizzate le ruotano vorticosamente intorno, lei, con calma vigile e vispa, siede alla scrivania di una delle caleidoscopiche stanze della sua casa sul lungotevere avvolta da una varietà infinita di oggetti da collezione. Porcellane preziose, una magnifica culla della prima metà del ‘900, stampe antiche, e tanti ricordi del mondo aeronautico.

Insomma tutto è messo lì con quell’ordinato disordine che circonda chi non deve dimostrare di avere una storia alle spalle e non ha un minimo di esitazione ad iniziare una conversazione impugnando un paio di forbici enormi per tagliare i bordi troppo alti di una scatola di cartone destinata a chissà quali documenti, mentre, da dietro, spunta impettito un armamentario di matite, penne, colle e scotch da fare invidia alla cartoleria più fornita di Roma. Scherzo del destino, la figlia del pioniere dei cieli Gianni Caproni abita in un bel palazzo che si trova proprio di fronte al ministero… della Marina.

“Nell’anno dedicato ai fratelli Wright - spiega mostrando quattro francobolli stampati per il centenario del primo volo - le poste italiane hanno emesso quattro valori dedicati al pionierismo con tutti i personaggi che hanno avuto a che fare con i Wright. Sulla cartolina che li rappresenta c’è l’immagine di Gabriele D’Annunzio, l’unico ad aver volato con un Wright e Curtis a Brescia nonché primo poeta al mondo che ha espresso la sensazione del volo.

Nei francobolli c’è mio padre che in Italia ha impiegato il sistema di propulsione a due eliche. Poi c’è il presidente dei pionieri, Mario Cobianchi che ha fatto la storia del pionierismo italiano, Mario Calderara, il pilota prescelto nel 1909 dalla Marina quando l’arma insieme all’Esercito e ai privati che avevano comprato l’aeroplano Wright istituì la scuola di pilotaggio a Centocelle. Infine Alessandro Marchetti che ha realizzato l’aeroplano “Chimera” nel 1910 e ha mandato il Wright nel museo di Castel S.Angelo.

Lei prima di diventare una grande trascinatrice di animi e una instancabile organizzatrice di iniziative è la figlia di un grande pioniere del volo, Gianni Caproni. Un uomo che ha realizzato un sogno: trasformare una passione nel suo lavoro fino a legare il mondo della produzione di aeroplani al suo cognome . Ma non ha sempre potuto contare sugli aiuti delle istituzioni italiane impreparate a riconoscere in lui l’innovatore che è stato.
La verità è che quando si è un pioniere l’unica cosa che manca sempre sono i soldi. In fondo è naturale che lo Stato non sappia mai bene su chi investire il denaro, non potendo finanziare tutte le ricerche. Pensi che nell’epoca del pionierismo c’era chi faceva il concorso del Corriere per la realizzazione di biciclette con i cingolati. Insomma ci sono anche i matti.

Dato il disinteresse dell’Italia non gli restava che rivolgersi al cielo… l’offerta gli arrivò dal colonnello austriaco Uccellaz. Ma suo padre dimostrò un grande amor di patria rifiutando le proposte dell’Austria.
In Austria il mondo accademico era molto attento ai progetti, mentre in Italia questo non accadeva. Molti professori ed ingegneri austriaci facevano valutazioni tecniche mentre in Italia si preferiva comprare i migliori prodotti realizzati dalla Francia che immediatamente si dedicò alla produzione seriale, alla promozione attraverso un’accorta organizzazione di competizioni, un po’ come fa la Ferrari attualmente, e alle esercitazioni militari che aprivano il campo alla vendita dei loro velivoli.

L’atteso aiuto non arrivò dal cielo ma da terra, precisamente dall’ufficiale italiano Giulio Douhet che vinse le resistenze della burocrazia dando modo a suo padre di costruire una serie di velivoli tra cui il Caproni 300 Hp.
Tra Douhet e mio padre si creò subito una grande sintonia. Insieme lavorarono per il battaglione aviatori condividendo l’idea che fosse indispensabile elaborare una strategia combattiva diversa per un nuovo mezzo come l’aeroplano. Douhet fu il primo a catalogare le operazioni aeree in ricognizione, assalto, combattimento e bombardamento. Insomma, non si poteva più pensare ad una guerra tradizionale dal momento in cui era subentrata la forza aerea che dava la possibilità di guardare e di pianificare le battaglie in modo completamente innovativo.

L’aeronautica era l’arma del futuro ma mancava una strategia d’uso. Si creò quindi una grande amicizia fondata sull’interesse della nazione. Ma siccome le persone sono meno disinteressate di quanto fosse un irredento come mio padre si è subito diffuso il dubbio che chissà quanti interessi e quali affari si nascondessero dietro a questa amicizia.

Questo clima incise di nuovo sull’attività di suo padre?

Sì, tanto che nell’attesa che si muovesse qualcosa i francesi alla fine sono stati i primi a comperare l’aeroplano Caproni.

Però nel ‘15 i velivoli Caproni già volavano sul fronte e nelle retrovie.
Sì, ma i velivoli costruiti da mio padre vennero comprati dalla Francia nel ‘14.

Nel frattempo anche i tedeschi ebbero il tempo di conquistare il primato nel dominio del mezzo aereo e nella strategia d’impiego?

La strategia in realtà è stata perfezionata in Francia soprattutto con gli aerei da caccia e poi i tedeschi, avendo intuito che il plurimotore era un elemento molto innovativo e fondamentale, l’hanno subito utilizzato potenziando le tecniche di bombardamento.

Sul piano teorico-strategico, però, suo padre continuava ad avere idee molto chiare…
Mio padre era convinto che dovessero essere colpiti i gangli di approvvigionamento al fronte, per esempio le linee ferroviarie e le fabbriche in modo da paralizzarne le funzioni. Si trattava di rallentare il più possibile la produzione di tutto ciò di cui la macchina bellica necessitava. E questo va detto per smentire una volta per tutte le accuse che in quelle elaborazioni strategiche venissero inclusi gli attacchi ai civili con l’obiettivo di colpire il morale.

Anche perché se qualcuno ha parlato di bombardamenti ai civili per abbattere il morale del nemico questo è stato successivamente Winston Churchill.

Sì, e comunque è una tattica assurda. Pensiamo alla seconda guerra mondiale, quando Londra venne distrutta dai cieli. Ma l’impegno degli inglesi nella difesa del loro paese non subì alcuna incrinatura.

Tornando al primo conflitto, ai velivoli Caproni sono legati nomi altisonanti come quello di Gabriele D’Annunzio. D’Annunzio, che non era pilota, volò sui Caproni infinite volte diventando poi uno stratega. A lui si deve l’idea dei bombardamenti notturni e degli attacchi a sorpresa.

Che intende per attacco a sorpresa?

L’intervento a ripetizione. Per esempio il bombardamento ripetuto tre volte, come a Pola.

Successivamente cosa avvenne?

Nell’immediato dopoguerra, dopo il conflitto in Libia nell’11 le colonie si ribellarono e si impose un momento di attenzione alla situazione libica. Proprio allora gli aerei Caproni vennero utilizzati per il trasporto veloce e l’approvvigionamento mancando le strade adeguate. Un aereo allora poteva trasportare giornalmente anche diciotto persone e derrate lungo tutta la costa libica. Fu la prima volta che venivano utilizzati dei velivoli per il trasporto civile. Successivamente, nel ‘21, mio padre ebbe l’idea di esportare il trasporto ad uso civile anche sull’Atlantico e così ideò l’idrovolante che poteva contenere cento persone. L’esordio però fu tragico perché il pilota invece di aspettare mio padre non lo fece provocando lo spostamento dei sacchetti di sabbia in coda cosicché il velivolo cadde come una pera. Si trattò di un banalissimo errore di attenzione.

Quanto pensa che giochi la fortuna nella vita di un uomo di genio come è stato suo padre?

La componente della fortuna è un elemento essenziale per tutti, figuriamoci per un pilota per di più costruttore.
Le accortezze non sono mai abbastanza. E questo è un insegnamento che dovrebbero tenere presente tutti quei dissennati che si addentrano in competizioni folli ad esempio sotto i ponti.

L’incidente stroncò il futuro dell’idrovolante?

Sì perché mio padre non poté più contare sui finanziamenti. Così questo settore venne bloccato sul nascere. E anche in questo caso l’idea del trasporto aereo per uso civile fece comunque scuola tanto che in seguito venne raccolta da Dornier.

Anche l’aeroporto Malpensa è legato al nome di suo padre…
Sì, perché è lì che avvenne la prima prova di volo di un velivolo Caproni. Guardi questo annullo postale, rappresenta proprio Cascina Malpensa. Io non mi lascio mai sfuggire l’occasione di lavorare con le Poste in occasione di un anniversario e realizzo circa tre o quattro annulli l’anno.

Torniamo a quando gli aeroplani entrarono nel mondo militare. Gli alti papaveri dell’Esercito e della Marina smisero di detenere il dominio delle operazioni belliche quando nel ‘23 Mussolini costituì l’Arma del cielo, creando anche il commissario per l’Aeronautica…
Bisogna precisare, però, che nonostante i meriti vengano dati tutti a Mussolini, l’aviazione al contrario è stata pensata e progettata come arma indipendente sin dal ‘19. Non è pensabile, a riprova di questo, che nel momento in cui Mussolini diede il suo sì alla costituzione dell’arma indipendente in un batter d’occhi questa venisse resa operativa.

Mussolini, dunque, si appropriò del lavoro di tanti cervelli convinti dei vantaggi dell’impiego aereo nelle operazioni belliche?
Ma sì, c’era stato un lavoro di anni di tutti coloro che avevano compreso quanto la funzione dell’aeronautica fosse diversa da quella dell’esercito e della Marina.

Fu in quegli anni che iniziarono ad arrivare i fondi?

Mah, non è che il governo desse denaro alle singole ditte. Piuttosto stanziava un programma di finanziamenti destinati a ventaglio e a tutte le ditte che operavano nel settore aeronautico. Si trattava di una ripartizione per garantire a tutte la sopravvivenza e la produttività.

Questo non bastò a frenare la concorrenza estera. Le risulta che lo stesso Mussolini addebitò a Balbo, cui nel frattempo era stata affidata l’Aeronautica, le responsabilità dell’inadeguatezza dell’arma italiana a fronteggiare la concorrenza estera?
Non è esatto. Nel ‘27 si prese atto che la forza armata andava organizzata con mezzi adeguati. E Balbo fece un piano settennale validissimo per sviluppare l’arma partendo prima di tutto dal settore della scuola e passando per la realizzazione di raid allo scopo di verificare le potenzialità progettuali presenti in Italia. Pensò a radunare le linee aeree sotto l’Ala Littoria, con la progettazione di un aereo civile ad hoc. Tanto che fece il concorso per l’aviazione civile. Poi in procinto di partire per la Libia, di cui sarebbe diventato il governatore, si rese conto che quel paese aveva bisogno di un nucleo di velivoli molto più consistente di quello che già si trovava lì.

Ma fu o no Mussolini a mandare il ministro dell’Aeronautica Balbo in Libia?

No, perché nel ‘30 era stato lo stesso Balbo a fare domanda per il governatorato della Libia. Certo, la concomitanza del rientro di Balbo dalla sua celeberrima crociera che doveva aver provocato qualche orticaria e la contemporanea disponibilità del governatorato in Libia fecero il resto. Fu allora che Balbo fece costruire gli aeroplani Caproni affidando una parte di produzione alla Breda. Anche allora di una commessa consistente una parte di produzione veniva data ad una ditta che non aveva lavoro. Tanto per fare altri esempi di come funzionasse il sistema, quando ci fu la crociera antartica venne favorita la Siai. Invece in tutte le produzioni dell’alta velocità i motori vennero affidate alla Fiat e il settore dell’idrocorsa alla Macchi. Balbo tendeva a tenere in vita tutte le potenzialità, come una mamma che non fa mancare il latte a nessuno.

In che rapporti erano suo padre e Balbo? La comune passione per il volo li rese amici?

Ma no, durante il fascismo era impossibile essere amici di qualcuno. Mio padre conosceva bene Balbo, ma lui era pur sempre il capo. I gerarchi e le autorità erano tenuti sempre a una distanza reverenziale. L’amicizia si è sviluppata dopo la morte di Balbo, con Donna Manù e con il figlio Paolo. Ma sempre molto dopo anche perché mentre i Balbo erano in Libia noi vivevamo in campagna con le schwester, a Venegono.
Facciamo un salto indietro nei luoghi della sua infanzia.
Dall’età scolare noi avevamo le signorine tedesche a casa, una per ogni gruppetto di quattro bambini, dato che eravamo in otto. Con loro parlavamo oltre al tedesco, il francese e l’inglese. Ci è stata data una ferrea educazione sportiva, prendevamo lezioni di danza di scherma, di cavallo. Non avevamo il tempo di respirare. Poi negli anni Cinquanta siamo venuti a Roma a studiare. Abbiamo frequentato scuole pubbliche. La vita dopo il ‘50 è stata terribile perché mio padre aveva perduto tutte le industrie. Fortunatamente ebbe la forza di realizzare ancora due prototipi uno l’aereo taxi e l’altro un aereo jet da addestramento che venne costruito a Trento.

Trento ospita il museo intitolato a suo padre che, oltre ad esporre i principali velivoli che hanno fatto la storia del pionierismo, è il fulcro di mille iniziative che Lei cura personalmente.

Il museo è stato creato perché mia madre, che era innamoratissima di mio padre, volle trovare un modo per stargli vicino dato che nei primi anni di matrimonio non ebbero figli. Così iniziò a raccogliere “l’oggi” e “lo ieri”, e fino a novant’anni ha continuato a cercare oggetti andando anche a Porta Portese alle cinque del mattino.

Di tutti i figli è stata Lei a raccogliere questa eredità da sua madre.

Io sono sempre stata la segretaria del museo e quando mia madre è morta invece di dividerlo tra fratelli abbiamo deciso di fare una donazione a Trento. Ci sembrava un modo giusto per valorizzare il nome potendo contare sulla provincia di Trento che generosamente ha dato i soldi per costruire il locale che ospita il museo.

Adesso il museo ha ampliato la propria vocazione diventando il museo dell’aeronautica, scienza ed innovazione.

Sì, è stata un’idea del direttore che ha capito quali potevano essere gli ambiti in cui indirizzare i giovani dal punto di vista scientifico. Così ha dato impulso ad una collaborazione l’università di Trento ed il museo che ospita programmi di educazione spaziale ed aeronautica. Sono quasi seimila i ragazzi che ogni anno usufruiscono dei corsi promossi dal museo. L’ultima mostra realizzata è stata quella dedicata alle possibilità di vita su Marte e i bambini l’hanno seguita con grande entusiasmo.

Ma il museo si muove un po’ a tutto campo: dai cieli a che cosa?

Ogni due anni, ad esempio, promuoviamo un concorso nazionale tematico di poesia e di arte. E’ un modo per sviluppare la consistenza del centro anche in ambito artistico.

La grande regista di queste iniziative è sempre Lei, o sbaglio?

Io cerco di garantire la partecipazione del museo in qualsiasi occasione mi venga proposta. Quest’anno siamo stati presenti a Torino, a Roma, a Bassano. Ogni volta che c’è una mostra che ci interessa io mi attivo perché il museo dia il materiale necessario. Di solito registriamo sette, otto presenze annuali in giro per l’Italia, con tanto di relativi cataloghi. E poi ogni anno il museo pubblica un libro. L’ultimo, in uscita è la bibliografia aeronautica con più di ottomila titoli dal 1940 ad oggi. Si tratta di un lavoro unico finora assente. D’altra parte questo è il solo modo per promuovere il museo dato che chi va in Trentino di solito ci va o per le mele o per sciare…Abbiamo all’attivo anche molti convegni.

Per esempio?

Prossimamente affronteremo a palazzo Barberini a Roma il tema dei contributi dati dalla nobiltà allo sviluppo dell’aeronautica. Ogni anno, poi, in occasione del mio compleanno, l’otto maggio, organizzo nelle sale della Temple University una collettiva di artisti vari con tanto di ricotta, fave, ricotta, crostate e buon vino per festeggiare. E’ un’iniziativa che solitamente riscuote molto successo. E poi perché non dare spazio anche a qualche aspirante poeta, anche se ruspante? Così organizzo una giornata di lettura di poesie composte da miei amici senza grandi pretese.

Non possiamo non parlare della sua strepitosa collezione di aeropittura.
Sì, si tratta di una raccolta davvero notevole ed ogni volta che c’è qualche mostra sul futurismo siamo presenti con qualche opera.

E dove si trova la collezione stanzialmente?

A Trento. Ma l’iniziativa di cui vado più fiera quest’anno è la mostra “Sorelle d’Icaro”, una mostra organizzata in collaborazione con il museo Zeppelin dedicata alle prime donne che hanno fatto la storia dell’aviazione. Sicuramente il contributo del museo è fondamentale perché disponiamo di più di quattromila fotografie che rivelano anche aspetti finora sconosciuti.

Allora cosa mi può dire di Mariula Quilici, la zia del regista Folco?

E’ stata la donna che per prima è rimasta quarant’anni in aviazione. Un’ardimentosa, oltre ad essere molto bellina. Mariula è stata il capo ufficio-stampa dell’Ala Littoria oltre ad essere stata la fondatrice, insieme ad Alati, di Aer-Press. Insomma una donna eccezionale, che però, scompariva se paragonata alla mamma, Mimì, mia grandissima amica e bravissima artista alla quale ho dedicato tre mostre, nelle sale della Temple University. Le ho anche pubblicato un libro.

I familiari Le saranno stati riconoscenti….

Guardi che loro sono curiosi…Comunque mai aspettarsi salamelecchi per quello che si fa. Ma continuiamo a parlare di Mimì. Che intelligenza, che gusto, sceglieva solo cose assolutamente perfette, una grandissima artista. Io l’ho adorata. La cosa più bella della famiglia Quilici era lei.

Torniamo all’argomento uomini. Lei è sposata con Pietro Armani, un uomo almeno apparentemente molto diverso da Lei.

Ma vede, mio marito è un uomo straordinario che io avevo sposato perché speravo, tra una conversazione e l’altra, di diventare più colta senza dovermi leggere migliaia di libri… Ma chissà perché, quando gli uomini diventano mariti parlano soltanto di calzini. Col risultato che io sono rimasta com’ero e che lui è “progredito”. Poi c’è l’aspetto della contabilità di casa che è importantissimo: sarei perduta senza di lui. Si occupa delle bollette e di tutto il resto, cose per cui io sono negata e sulle quali mi guardo bene dal rendermi indipendente.

A proposito di uomini, cosa pensa delle quote femminili in politica?

E’ un’assurdità. Ma le sembra normale ragionare in base al sesso quando esistono dei criteri molto più efficaci nonostante le obiettive difficoltà che hanno le donne nel mondo del lavoro e della politica? Questo delle quote è un retaggio della società americana che, nei concorsi assicura ai neri una quota minima di riuscita. Nel corso di cinque generazioni hanno così conquistato dei diritti ma da noi mi sembra francamente stupido.


Anche i suoi fratelli sono così scoppiettanti e iperproduttivi?

Ognuno nel suo genere. Ad esempio un mio fratello è uno dei più grandi falconieri in circolazione, un altro ha fondato un club di mountain bike di cui fanno parte cinquecento persone. Un’altra sorella, che…stira e ammira, parla perfettamente il giapponese ed è una delle maggiori esperte di incisioni giapponesi. Un altro fratello, che è paralitico, ha messo a punto più di cento motori del Capriolo, la motoretta che veniva prodotta dalla Caproni.

Ma allora il marchio Caproni ha spaziato in cielo e in terra?

Sa, abbiamo dovuto diversificare per forza la produzione, l’Aeronautica da sola non poteva assorbirla completamente. Pensi che è venuto fuori che abbiamo prodotto anche tacchi per le scarpe e i tappi dello champagne. E non le dico, a un certo punto, quale sarebbe stato il vero affare per la Caproni secondo mio padre…

Per Lei funziona sempre l’equazione intelligenza-coerenza?

Assolutamente no, intelligenza è cambiare. Che cosa significa la parola voltagabbana se non che non ci sono più le condizioni che prima ci avevano portato a pensarla in un certo modo? E le condizioni cambiano, anche molto repentinamente.


Mi dica il nome di un intellettuale che le piace molto...

Senza ombra di dubbio Giordano Bruno Guerri, di cui sono molto amica. Giordano è l’amore mio, originale, se ne infischia della politica, è curioso, e siccome è mosso dal desiderio di scrutare e indagare, rappresenta uno dei pochi che dice cose e affronta argomenti in modo destinato a resistere alle mode. E’ una grande risorsa per il centrodestra…

Che Lei non approva del tutto, vero?

Mi trovo molto critica nei confronti della attuale politica di destra che procede con i paraocchi e si gongola nel mare di piaggeria che la avvolge.


Barbara Alessandrini
alessandrini@opinione.it
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