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Pubblicato il 05/07/2014

A SALSOMAGGIORE LE “FORZE SPECIALI” DELL’ATLETICA ITALIANA

«La maratona è simbolo di corsa eroica
fino al possibile sacrificio della vita, di
stoica resistenza, di coraggio, cioè di forza
ideale superiore alla stessa energia fisica.
Gianni Brera

parte della prefazione del libro
“Mi chiamavano Professor fatica”
Di Claudio Rinaldi, giornalista professionista
e
Luciano Gigliotti, allenatore federale di atletica leggera

di Walter Amatobene

Salsomaggiore Terme 5 Luglio 2014
A Salsomaggiore ho incontrato una Italia di gente superiore, fatta di atleti con la testa, senza creste colorate, venuti da tutta Italia per festeggiare l’ottantesimo compleanno del “Prof”, il loro allenatore Luciano Gigliotti, Professor Fatica, come recita il titolo scelto da Rinaldi per il libro che presentava.
Il Prof sta dietro ogni successo italiano dell’atletica italiana nel mondo, dal 1970 sino ai giorni nostri.
Tutti gli hanno riconosciuto qualità che cerco ogni giorno nelle persone: serietà , intelligenza, carisma, capacità decisionale, innovatività “genetica” e genialità. Gigliotti è fuori dal gregge e insieme a lui voleva anche gli atleti che allenava. Ci è riuscito: ognuno dei suoi “ex” che ho incontrato ieri “da vicino” esprime una forte personalità condita con senso dell’umorismo, estroversione e semplicità. Gli stessi ingredienti caratteriali del loro “maestro”.
Lui tirava fuori dalla loro mente e dal loro corpo quello che nemmeno sapevano di avere, fino a portarli nella elite dello sport: così ci hanno detto ieri le medaglie d’oro Baldini, Bordin, Gabriella Dorio, Guida, Lambruschini Grippo, Diamante, Fanetti, Brutti e tanti altri , fino ad oggi. A Salsomaggiore c’era l’atletica italiana che andava ai mondiali, vinceva e prendeva medaglie, tutta allenata da Lui.
Queste righe le ho scritte non per amarcord ma per renderVi partecipi dei miei pensieri mentre ne sentivo parlare alcuni; ognuno di loro, Bordin (oro a Seoul 1988) e Baldini ( oro ad Atene 2004), in testa, aveva un bel linguaggio, chiaro e originale e parlava di valori non di tempi; di intimità intellettuale, non di contratti. Parlava di amicizia, sofferenza, cameratismo, spirito di gruppo. Il Prof teneva i suoi ragazzi tutti insieme, a Tirrenia, nel centro CONI che è stata fucina di campioni e li trattava inflessibilmente, come un plotone di Militari. A volte anche a parolacce. Tutto si faceva insieme, soprattutto gli allenamenti e si coltivavano capacità individuali e la emulazione che stimolavano negli altri. Sembrava di sentir parlare gente delle forze speciali.
Spalmati in quarant’anni di vittorie, di raduni, di gare, di viaggi avventurosi, pionieristici, senza soldi in tasca, con pulmini scassati, di goliardate, di “prediche” taglienti , nel libro ci sono alcuni degli aneddoti raccontati da questi atleti che Gigliotti ha fatto diventare originali, più intelligenti, più profondi, superiori anche fisicamente, alla fine.
Lui che –dichiara- allenava la mente prima del corpo. Una boccata d’aria fresca, dunque, questo libro. Originale e fuori dal gregge anche Claudio Rinaldi, il giornalista-demiurgo che ha intervistato per settimane il Prof, e ne ha “spacchettato” i rcconti. Anche lui maratoneta da pochi anni ma che ha percepito l’iceberg di valori che sta sotto. Chi lo legge, anche se non ha conoscenza di mezzofondo , saprà trovarci ben di più di una biografia o un racconto di successi. Niente a che fare con i calciatori decaduti, grassottelli e sgrammaticati con la loro pizzeria e i loro “assolutamente comunque sia”, con il loro “mister” o con animali ( intellettualmente parlando) di cui si sente la puzza di sudore attraverso lo schermo.
Ieri a Salsomaggiore ho conosciuto quel gruppo speciale di cui tutti vorremmo far parte, dove puoi entrare solo con tanta fatica mentale e fisica, determinazione e palle. Un gruppo di persone “diverse” e migliori. Gente che mi ha meravigliato per tensione spirituale, proprietà di linguaggio e simpatia. Atleti di maratone e di mezzofondo che hanno vissuto e raccontano la loro stagione agonistica di vertice come una esperienza quasi “mistica” e che spiegano come fosse quello il modo unico di interpretare sport e vita: sacrificio costante e una guida non solo tecnica ma carismatica. Questo erano il fondo ed il mezzofondo dell’atletica italiana. Non ho mai avuto il privilegio di inontrare Gigliotti:i miei tempi nei 3000 e 3000 siepi erano da operetta, roba da ventiduesimo agli Italiani del 1976. Pur come schiappa, anche io ho attinto a quello spirito; anche io ho sofferto al meglio delle mie capacità. Anche io volevo stare fuori dal gregge per temprarmi. Questo era la corsa e questo chiedeva “il Prof” : dare il massimo. Non con i videogiochi ma con testa, cuore e gambe sull’asfalto o sui sentieri, a sudare. Assomiglia molto alle difficoltà della vita, non è vero?

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