EL ALAMEIN

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Pubblicato il 13/06/2020

ACQUA

di Emilio Camozzi

Li ricordo ancora. Pallidi, emanciati, capelli e barba lunghi, divise stazzonate, sbiadite e bruciate dal sole appese a corpi ischeletriti e seviziati dalla dissenteria e dalla ormai abituale penuria di viveri. Ci comparvero davanti come fantasmi improvvisamente sorti dalla sabbia del deserto. Erano fanti di varie divisioni in permesso a Tobruk. Eravamo appena arrivati dalla Grecia. Stavamo ancora scendendo dai nostri S 82, con le nostre belle divise ancora ben stirate ed intatte. Ci sentivamo come conquistatori. Non ci avevano ancora fatto depositare il paracadute, quindi l’Africa era ormai nostra. Eravamo certi che quella ciurmaglia che ci stava circondando condividesse le nostre convinzioni e fosse certa che, con i paracadutisti dalla loro, il nemico fosse ormai alle corde. Invece loro non sapevano nemmeno che eravamo paracadutisti. Non avevano mai visto la nostra divisa. Si formarono vari gruppetti . Chiedevano notizie dell’Italia da cui mancavano da uno, due o tre anni. C’era chi cercava il “paesano” chi il concittadino. Nel mio gruppetto la conversazione cominciava a languire, quando uno dei fantasmi dice:” Ci dareste un sorso d’acqua italiana tanto per ricordare meglio la nostra Patria lontana”. Chi potrebbe negare un misero sorso d’acqua a chi lo chiede con tanto garbo e con simile sentimento patriottico? Mettemmo le borracce a disposizione, senza far notare, per non distruggere l’illusione, che l’acqua era greca. Le borracce stentavano a ritornare. La mia era grande, del tipo alpino. Quando tornò pesava molto poco. Ma tanto era solo acqua ed avevamo ravvivato la fiaccola della nazione in gente che se lo meritava. I sergenti ci stavano radunando. I fanti erano d’incanto spariti. A compagnia adunata, il comandante ci fece le raccomandazioni di rito. Cominciò con:” La prima cosa a cui dovete fare attenzione è l’acqua. Ogni sorso può valere una sopravvivenza. Non sprecatene nemmeno una goccia.” Sentii subito una sete tremenda. La bocca mi si seccò e quasi non riuscivo a parlare. Era uno stato di cose che doveva durare fino all’arrivo nei campi di concentramento Ogni volta che bagnavo l’angolo del fazzoletto per bere, maledicevo quei poveri ragazzi che, avevo saputo, usavano il loro permesso per andare ad aspettare gli allocchi che arrivavano dall’Italia e non conoscevano ancora il valore di un sorso d’acqua poco nazionalista ma molto dissetante, specie se non proveniva dalla tua salmastra razione

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