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Pubblicato il 21/04/2016

AFGANISTAN: IL PUNTO DOPO 11 ANNI DI MISSONE

il generale Bertolini a Kwost, nel 2003, durante la prima Missione “Nibbio”

PARMA- In Afganistan l’Italia schiera 950 militari. La missione Nato si chiama adesso Resolute Support: nell’area di Kabul ci sono circa 50 uomininello staff del Comando dell’operazione, gli altri sono a Herat dove l’Italia comanda un contingente interforze presso il Train Advise Assist Command West. Resteranno per tutto il 2016 come annunciato lo scorso ottobre dal presidente del Consiglio, su richiesta degli americani. Anche in considerazione della presenza americana nel 2017, è difficile credere che si tratti dell’ultima proroga né che le forze occidentali decidano di abbandonare l’Afghanistan al suo destino: le forze armate e la polizia di quel paese non sembrano in grado di reggere l’urto dei talebani che lunedì 11 aprile hanno annunciato l’inizio della cosiddetta offensiva di primavera. A oggi i talebani controllano o contestano alle Forze di sicurezza afghane circa 80 distretti su 400, non solo nelle tradizionali enclaves nel sud e nell’est del Paese, ma anche nelle regioni settentrionali. Oltre ai successi registrati questo inverno nella conquista della provincia meridionale dell’Helmand, i talebani hanno ormai rafforzato la propria presenza anche al nord”. Insomma, sembrano nuovamente di moda “vista la scelta di numerosi comandanti, che momentaneamente avevano abbandonato la causa talebana per unirsi alla cosiddetta branca Khorasan dello Stato Islamico, di tornare tra le fila dell’insorgenza”.

Il 20 aprile il capo di Stato maggiore della Difesa, generale Claudio Graziano, ha avuto incontri in Pakistan ai massimi livelli politici e militari. “Il Pakistan – ha detto Graziano – riveste un ruolo cardine per gli equilibri geopolitici regionali e per la crisi afghana” e “l’Italia continuerà a porre in essere ogni sforzo in termini di addestramento e assistenza alle forze di sicurezza afghane al fine di renderle in grado di assicurare autonomamente la sicurezza e la stabilità del Paese”. Il giorno precedente Gentiloni aveva incontrato il contingente italiano a Herat: “Dopo quasi 15 anni dal nostro impegno, fatto anche di tragedie, i frutti si vedono in modo evidente – ha detto il ministro -. La sfida del terrorismo è ancora aperta, ma grazie a voi si ricomincia a vivere civilmente e si creano le condizioni migliori per la costruzione di pace”. Detto che, in realtà, la flotta impegnata nella missione Enduring Freedom partì nel novembre 2001 ma che la prima missione di terra cominciò nel gennaio 2003 con gli alpini del 9° reggimento, in poco più di 13 anni l’Italia ha pianto 54 morti. Molti passi avanti sono stati compiuti, eppure con un terrorismo internazionale così aggressivo è quasi impossibile credere che nell’immediato futuro venga “restituita” ai talebani una nazione che diventerebbe rapidamente un vulcano in eruzione.

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