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Pubblicato il 05/12/2013

CHI VUOLE I MONDIALI DI CALCIO IN BRASILE?



da Avvenire del 5 Dicembre 2013

IL FINTO MIRACOLO ECONOMICO DEL BRASILE
Ai milioni di turisti attesi in Brasile per i Mondiali 2014, basterà uscire dai nuo­vi, ipertecnologici e maestosi dodici stadi costruiti per il mega evento per trovarsi di fronte “os e­scravos do milagro” (gli schiavi del miracolo e­conomico). Così viene chiamata la manodopera – adulta e infantile – che, tuttora, nell’era del boom, vive in condizioni di sfruttamento inau­dite: 25mila persone – questa la stima ufficiale – che andrebbe moltiplicata in realtà almeno per venti. L’ultimo studio della Fondazione Walk Free ha attribuito al Paese il 94esimo posto su 134 per numero di forzati. «Nessuno sa quanti sono. L’u­nico dato certo è che sono tanti», denuncia ad

Avvenire dom Tomás Balduino, vescovo emerito di Goiania e tra i fondatori della Commissione Pastorale della Terra. La Chiesa non si stanca di denunciarlo. Non a caso i vescovi hanno messo al centro dell’impegno pastorale la tratta e il traf­fico da qui ai Mondiali. Non solo i contadini ves­sati nella grandi piantagioni di soia: il lavoro schiavo nel “Brasile ruggente” è anche – e sem­pre di più – un fenomeno urbano. A San Paolo, Rio, Brasilia, il sistema di subappalto “a scatole ci­nesi” fa dilagare lo sfruttamento nell’edilizia, nel tessile, perfino nel commercio ambulante.

Come i baby venditori accampati fuori dall’ova­le dello stadio Arena Fontenova, nel cuore di Sal­vador de Bahia. I più piccoli hanno meno di 8 an­ni, i più grandi 15: di fronte a loro tengono ben in vista i banchetti pericolanti con le cianfrusaglie. Dalle bevande ai cappellini, offrono qualunque mercanzia. Incluso – anche se qui il prezzo sale – loro stessi. Basta chiedere a uno dei “vigilanti” appostati nei paraggi. Sono loro a gestire le “tran­sazioni” e a controllare che i ragazzini non ab­bandonino le postazioni, stremati dal caldo o dal­la stanchezza. In ballo ci sono troppi soldi. Per le partite di qualificazione, ogni “schiavo” ha in­cassato una media di 400 reais (circa 130 euro). Con l’inizio della Coppa, la cifra potrebbe essere moltiplicata almeno per cinque. «A meno che…». Fra Xavier Plassat, responsabile della comunica­zione della Commissione Pastorale della Terra – organismo legato alla Conferenza dei vescovi bra­siliani – lascia la frase sospesa a metà. Poi prose­gue: «A meno che non riusciamo a sensibilizza­re la gente». In particolare, quei viaggiatori del “futebol” (calcio) il cui imminente sbarco in mas­sa rappresenta un’arma a doppio taglio. Se da u­na parte, il turismo genera ricchezza per il Paese d’accoglienza, dall’altra c’è il rischio, tutt’altro che infondato, di un incremento delle forme di schiavitù e del numero di schiavi. La scoperta, a settembre, di 111 brasiliani costretti a lavorare in condizioni atroci nel cantiere dell’aeroporto in­ternazionale di San Paolo, ampliato proprio per i Mondiali, ha fatto già suonare il campanello d’allarme. «Impedire che lo sfruttamento selvag­gio dilaghi è responsabilità di tutti», sottolinea fra Xavier. Da questa convinzione nasce la mo­bilitazione realizzata da Chiesa e società civile per l’abolizione della schiavitù di fatto. La Con­ferenza episcopale (Cebb) ha deciso di dedicare la consueta “Campagna di fraternità” del 2014 al tema “Fraternità e traffico umano”. Il corso di for­mazione per gli animatori è già partito. L’idea è quella di realizzare un’azione capillare di sensi­bilizzazione, a partire dalle parrocchie, scuole, comunità. In contemporanea, 150 religiosi di Bra­sile. Germania, Colombia, Uruguay e Bolivia han­no già avviato un’iniziativa di informazione dal titolo: “Gioca per la vita”. Domani, inoltre, in coin­cidenza con il sorteggio dei gironi dei Mondiali, proprio a Salvador, verrà lanciata “Don’t look away” (non voltarti dall’altra parte), promossa in vari Paesi da una rete di associazioni laiche, gui­date da Ecpat e rivolta in particolare contro lo sfruttamento sessuale dei minori. Sono già mez­zo milione i ragazzini vittime di prostituzione in Brasile. Il timore è che la piaga dilaghi ulterior­mente, proprio come accaduto in Sudafrica quando, in prossimità della Coppa del Mondo, il traffico sessuale infantile è aumentato del 20 per cento. Negli hotel, nei taxi, nei bar, dunque, gli stranieri riceveranno materiale che spiega le con­dizioni disumane dei baby schiavi del sesso.

La questione è, in ogni caso, urgente già ora. I ri­tardi nella costruzione o ristrutturazione degli stadi – per cui sono stati già sborsati 2,5 miliardi di euro (quasi il doppio rispetto alla cifra inizial­mente pattuita) – rischiano di spingere le impre­se a “chiudere un occhio” sulle condizioni di la­voro. Anche perché a definire i ritmi e i pagamenti degli impiegati sono le piccole ditte che operano in regime di subappalto. E il criterio-guida è la ri­duzione al minimo dei costi di produzione.

Il Comitato locale ha già dovuto ammettere che non riuscirà a consegnare ben tre opere – l’A­rena Pantanl a Cuiabá, l’Arena da Baixada a Cu­ritiba e l’Arena Corinthias di San Paolo – a di­cembre, come stabilito. Il termine è già stato spostato a febbraio. In uno dei cantieri ritarda­tari – quello di San Paolo –, la settimana scorsa è crollata una tribuna, uccidendo due operai. La “fretta” può avere contribuito a provocare la tra­gedia? Saranno le autorità a dare la risposta. Il dubbio rimane.

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