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Pubblicato il 04/06/2014

CINQUE TERORISTI PER UN “DISERTORE”: GLI USA NON USARONO LE FORZE SPECIALI PER NON SPRECARE VITE PER UN PERDENTE


LA STAMPA del 4 Giugno 2014

Il Pentagono non volle liberare il soldato rapito in Afghanistan

La Difesa sospese i blitz: non rischiamo vite per un disertore


Il sergente Bowe Bergdahl poteva essere liberato diverse volte dalle forze speciali Usa, ma il blitz in suo soccorso non ha mai ricevuto il via libera finale. Nonostante l’intelligence Usa fosse in possesso di informazioni precise sul luogo di prigionia del sergente prigioniero per cinque anni dei taleban, e sul numero dei carcerieri, l’operazione di «recupero» non ha mai avuto luce verde. Perché? I comandanti delle forze speciali, che avrebbero dovuto portare a compimento il blitz, si sono detti in più occasioni poco inclini ad affrontare il rischio di perdite di vite umane, per accorrere in soccorso di un «disertore» o presunto tale, poi liberato in cambio di cinque detenuti a Guantanamo.

«Il Joint Special Operations Command ha avuto sempre sul tavolo l’opzione di procedere a un’operazione di recupero, ma il vero interrogativo non era tanto sulla fattibilità, quanto se Bergdahl fosse soldato meritevole del possibile sacrificio di vite di altri soldati, quando era ancora possibile muoversi diplomaticamente», spiegano fonti informate al «Washington Times». Specie negli ultimi tempi, la convinzione che si potesse giungere a un accordo con i taleban, rappresentava un ulteriore deterrente a un intervento militare agli occhi dei «grandi capi» dei corpi speciali. Oltre al fatto che essendo l’uomo nelle mani di Haqqani, i taleban vicini ai servizi segreti deviati pachistani, rendeva tutto ancor più rischioso.

Ma era senza dubbio l’ombra della diserzione il fattore che più di ogni altro ha pesato. Ombra che incombe oggi come uno spettro dopo le reiterate dichiarazioni di ex commilitoni del sergente distaccato in un avamposto di Paktika, una provincia al confine col Pakistan. È li che si sono perse le sue tracce nelle prime ore del 30 giugno 2009, quando l’uomo era scomparso durante un pattugliamento. In realtà, secondo i registri di servizio, quel giorno non erano previsti pattugliamenti e secondo le autorità afghane il sergente al momento di essere intercettato da taleban girovagava disarmato tra i campi di Paktika.

Pesante il giudizio di alcuni ex commilitoni convinti che nella migliore delle ipotesi il militare, oggi 28enne, è reo di diserzione, nella peggiore di tradimento, e per questo dovrebbe essere sottoposto alla corte marziale. Ieri il capo di Stato Maggiore della Difesa Martin Dempsey non escluso provvedimenti . A sostegno della tesi colpevolista spunta una nota di cui è entrato in possesso il «New York Times», in cui Bergdahl, prima di scomparire, spiegava di non voler più combattere per l’America.

Come mai tutto ciò emerge solo ora? A spiegarlo è uno degli ex commilitoni sentiti dal «Daily Mail». Dopo la cattura del sergente, fu chiesto agli altri soldati dell’avamposto di firmare un accordo nel quale si impegnavano «a non divulgare informazioni sul commilitone rapito». Una vicenda spinosa per Barack Obama, accusato di aver liberato tre pericolosi terroristi. Il presidente ha replicato ieri da Varsavia, spiegando di aver concordato l’operazione con il Congresso: «L’America ha sempre avuto una regola sacra: non lasciano indietro uomini o donne in uniforme».

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