ADDESTRAMENTO

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Pubblicato il 29/08/2007

FERRATA CIARDELLI: RICORDO E ADDESTRAMENTO

Sei paracadutisti si sono trovati a Roure per affrontare la FERRATA CIARDELLI.

Ci racconta la giornata Mauro Alasia, uno degli alpinisti (foto sotto:secondo dal basso)

Via Ferrata Nicola Ciardelli *
Sabato, 18 Agosto 2007

Inizia con un commovente minuto di raccoglimento l’ascesa alla via ferrata intitolata al Maggiore Paracadutista Nicola Ciardelli.

Abbiamo trascorso la notte bivaccando ai margini dell’abitato di Roure, piccolo paese della Val Chisone (TO). A tenerci compagnia il rumore delle acque del torrente Chisone e soprattutto l’eccitante pensiero di ciò che ci avrebbe attesi il mattino successivo.

Le luci dell’alba ci vedono intenti nei preparativi per la partenza. Si smontano le tende, si controlla l’equipaggiamento, con cura si preparano gli zaini. Una mano generosa prepara un inatteso caffè.
La giornata si preannuncia con il cielo coperto e qualche goccia di acqua, quel poco che basta per farci pensare che potremmo anche trovarci ad arrampicare sotto la pioggia. Come sempre in questi casi ci vengono in conforto le parole del Comandante Bertolini quando sostiene che “i paracadutisti non sono idrosolubili”.

Una veloce colazione e siamo pronti a muovere.

Percorriamo circa due chilometri di un sentiero, a tratti ripido, per giungere all’attacco della ferrata Maggiore Par. Nicola Ciardelli.

Quando giungiamo alla targa metallica che intitola la via è come se in qual posto ci fossimo già stati. E’ la stessa immagine che faceva bella mostra di se sulla copertina del Folgore di Maggio ’07 e che ha ispirato questa nostra giornata.

Dopo il rompete le righe ci prendiamo il tempo per scattare alcune foto ai lati della targa …altrimenti chi lo sente Walter il nostro infaticabile Webmaster.

Alle ore 08.00 siamo pronti a partire. E’ la mia prima arrampicata in ferrata (a dire il vero è la prima arrampicata in assoluto). La partenza direi che è di quelle toste.
Le note di Vincenzo De Luca, che l’ha realizzata, indicano una placca verticale di circa 40 metri. In effetti verticale lo è, e per quanto concerne i 40 metri, vista dal basso direi che ci sono proprio tutti, più che meno.

A metà parete mi assicuro ad un gradino e scatto qualche altra foto. I volti di quelli che mi seguono esprimono entusiasmo e felicità. Le stesse emozioni che sento anche io nel profondo.

Ancora pochi minuti e siamo alla fine della prima parete. Qualche attimo di riposo e ripartiamo per il tratto successivo, un traverso su una parete, anch’essa verticale, che ci condurrà al ponte tibetano.

Fino a questo punto direi che tutto precede per il meglio. Il giusto passo e la giusta concentrazione.

Per quanto mi riguarda, non vedo l’ora di arrivare al ponte. Fino a quel momento il tibetano era rimasto per me un sogno irrealizzato. Lo avevo visto dal basso, disteso tra le due torri della Lustrissimi, senza mai aver avuto il piacere di poterlo provare.

Conosco la teoria, ora è il momento di metterla in pratica. Quando arriva il mio turno sposto i moschettoni sul cavo di sicurezza del ponte e mi avvio. Un passo dopo l’altro, piedi a papera, mani che spingono all’esterno i due cavi laterali per dare stabilità. Il ponte è lungo una ventina di metri ed attraversa un ripido colatoio. Sotto il ponte un salto di circa 30 metri, su una parete che scende ripida per almeno un altro centinaio di metri. La sensazione è di camminare nel cielo. I cavi sono ben tesi e le oscillazioni sono di poco conto. Prima ancora di poterci prendere gusto sono già dall’altra parte.

Al termine del ponte una parete verticale di circa 15 metri conduce su un piccolo falso piano dove ci concediamo cinque minuti di riposo ed una sorsata d’acqua.

La marcia riprende con un traverso su cengia. Questo è l’unico tratto di vera passeggiata. Da questo punto possiamo intravedere il tratto finale della ferrata.

Una bella parete che sale in verticale per circa 80 metri. Vista da sotto incute un certo timore reverenziale ed al tempo stesso è di stimolo a proseguire.

Rispetto alla partenza, mi pare che i gradini siano più distanziati, a tratti si sale direttamente sulla roccia ed in alcuni passaggi si può contare quasi solo sulle braccia.

Lo sforzo diviene più evidente e le battute di spirito più rade, mentre un gradino dietro l’altro, un piede dopo l’altro, un moschettone dietro l’altro si continua a salire.

Quando poi ti guardi sotto lo spettacolo è esaltante. Un salto verticale di circa 300 metri che ti pare quasi di essere pronto per un lancio con paracadute. (pensieri malsani da paracadutista).

A metà parete, per alcuni metri il cavo d’acciaio, che per tutto il tragitto è stato a mano sinistra, passa a destra. Anche se non sono proprio certo che si tratti della manovra più corretta da fare, cambio la posizione dei moschettoni di sicurezza, dopo essermi assicurato ad un gradino mediante un rinvio. Questo è anche il punto in cui la parete pare andare oltre il verticale.

Sull’ultimo gradino, quando già sono affacciato alla terrazza finale, mi fermo cinque minuti ad ascoltare il cuore che batte forte, il respiro che si è fatto più veloce, la nota e piacevole sensazione di indolenzimento dei muscoli di tutto il corpo.

In due ore dalla partenza siamo arrivati in cima, un po’ stanchi ma felici.
Da questo punto inizia la discesa. Individuiamo un sentiero, non particolarmente evidente che conduce nei pressi di un antico nucleo di baite dove ci fermiamo per consumare uno spuntino.

Da qui in avanti il sentiero prende la forma di una mulattiera lastricata che ci ricondurrà al punto di partenza.

Comandante Ciardelli, siamo venuti a renderti omaggio da paracadutisti, sulla stessa via dove si esercitano anche gli Uomini del tuo Reparto, il glorioso 185° R.A.O., sempre orgogliosi di aver servito nelle file della Folgore.

Mauro Alasia
In quell’angolo di cielo troverai mio fratello Renato, artigliere del 185°, abbi cura di lui.

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