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Pubblicato il 12/07/2014

FORTE RIPRESA DELL’AIDS TRA I GAY


NEW YORK- L’Organizzazione mondiale della Sanità lancia un nuovo allarme Aids: l’infezione, pur in calo fra la popolazione generale, dilaga fra gli uomi­ni omosessuali. Il boom è tale e talmente diffuso a livello geografico che l’Oms al­lerta le autorità sanitarie di tutti i Paesi a prepararsi a una possibile nuova impen­nata di casi anche fra i soggetti non a ri­schio. A livello preventivo, l’organizzazio­ne invita quindi gli uomini che hanno rap­porti sessuali con altri uomini a prendere medicinali antire­trovirali. «Stiamo assistendo all’e­splosione dell’epi­demia », ha affer­mato il capo di­partimento Hiv al­l’Oms, Gottfried Hirnschall, sotto­lineando che oggi il rischio di conta­gio tra i gay è 19 volte più alto che nel resto della po­polazione. Oltre trent’anni dopo la scoperta dell’Aids, la comunità omoses­suale torna dunque al centro della lotta contro la sindrome da immunodeficienza. Il problema, ha sottolineato Hirnschall, è che le nuove generazioni, cresciute con farmaci che allungano la vita e rendono possibile convivere a lungo con la malat­tia, sono meno informate e sottovalutano il pericolo di contrarla. Non essere cresciuti con lo spettro delle foto di malati schele­trici che impressionarono il mondo negli anni Ottanta sembra dunque rendere i gio­vani omosessuali più superficiali sui rischi che corrono. La categoria più esposta al­l’Hiv di tutte, stando all’Oms, è quella dei transessuali, che hanno 50 volte più pro­babilità di una persona eterosessuale di essere infettati.

A livello di popolazione generale, fra il 2001 e il 2012 il numero di nuove infezioni è ca­lato di un terzo, mantenendosi comunque al livello di 2,3 milioni di persone che han­no contratto l’Hiv. Attualmente, 13 milio­ni di sieropositivi ricevono trattamento con antivirali. I Paesi dove l’epidemia si concentra maggiormente rimangono quelli dell’Africa subsahariana, dove risie­de il 71 per cento degli oltre 35 mi­lioni di persone che convivono con il virus. Ma ci sono eccezioni. Come faceva no­tare ieri Stefano Valla, direttore del dipartimento del farmaco dell’Isti­tuto superiore del­la sanità, l’esplo­sione delle nuove infezioni non ri­sparmia neanche l’Europa. Nel quartiere gay di Parigi, il Ma­rais, ad esempio, l’incidenza dell’Hiv è del 7%, superiore a quella del Botswana.

La notizia ha riacceso il dibattito sulla pre­venzione. Sottolineando come anche nel nostro Paese ci sia un aumento tenden­ziale dei casi tra gli omosessuali, Giovan­ni Maga dell’Istituto di Genetica moleco­lare del Cnr ha incoraggiato ieri l’assun­zione degli antiretrovirali come profilassi pre-esposizione, ma ha evidenziato il ri­schio «che le persone si sentano così più sicure e non utilizzino il profilattico nei rapporti sessuali», da lui considerato un efficace metodo preventivo.

E proprio ieri è emersa una notizia che pro­va come i farmaci antiretrovirali non sia­no ancora la soluzione dell’epidemia del­l’Hiv. Una bambina del Mississipi, nata sie­ropositiva, non è infatti guarita come era stato annunciato lo scorso anno. La pic­cola, dopo aver ricevuto la terapia antire­trovirale a poche ore dalla nascita, non pre­sentava più tracce del virus, ma ora i me­dici annunciano che il virus è ricomparso a distanza di due anni dalla fine della te­rapia. «È un momento sconfortante per questa bambina, il personale medico coin­volto nelle cure, e per la comunità di ri­cerca sull’Hiv/Aids», ha detto Anthony Fauci, direttore del National institute of al­lergy and infectious diseases.

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