OPINIONI

Condividi:

Pubblicato il 12/03/2019

I DANNI ECONOMICI E SOCIALI DELLA GRANDE DISTRIBUZIONE ( E DEI CENTRI COMMERCIALI)

il Dente Avvelenato

GRANDE DISTRIBUZIONE E CENTRI COMMERCIALI: CHI CI GUADAGNA?
Giganti dai piedi di *bip* , grande distribuzione e centri commerciali hanno a che fare con la disperazione di molte categorie: degli schiavi sottopagati che raccolgono le arance e i mandarini, al sud, degli agricoltori delle primizie romagnole e, più in generale, con tutti i produttori di ogni merce, costretti a praticare prezzi scontati ai limiti oppure ben oltre la perdita per consentire alla “GDO” ( grande distribuzione organizzata, ndr) di coprire i propri enormi costi di gestione e fargli fare profitti sulle spalle di tutta la filiera sottostante. A pagare sono tutti i fornitori, fino ai braccianti agricoli, agli operai assunti a cottimo, a ore, a giorno, a chiamata, ad un accidente che spacchi quelli che li ingaggiano, fino agli operatori dei trasporti e della logistica, ai proprietari di piccoli negozi. Nessuno viene risparmiato da queste “fabbriche” di miseria economica( quella di chi li fornisce).

Ironia della sorte: le statistiche 2018 segnalano che hanno pure smesso di fare utili, a causa dei ribassi sui prezzi di vendita , per i costi di gestione eccessivi, per la eccessiva concorrenza e, per finire, a causa del calo dei consumi, tanto che diverse catene hanno preannunciato la chiusura, mettendo a rischio migliaia di lavoratori e abbandonando le loro gigantesche e brutte cattedrali di cemento.

DANNI ECONOMICI INSOPPORTABILI PER I VENDITORI

Non bastano i prezzi stracciati a cui vendono: le ditte che forniscono la grande distribuzione devono sottostare anche ad altre “angherie commerciali”: promozioni obbligatorie a proprie spese ( un esempio per tutti sono i famosi “tre per due” ), pagamento per avere la posizione dei prodotti sugli scaffali, col prezzo che varia a seconda se sono ad altezza di occhi, sopra la testa oppure in basso. Migliaia di euro li cacciano anche coloro che vogliono occupare la “testata” dei corridoi o che desiderano fare attività promozionale all’interno del supermercato.
Parlando di costi eccessivi, il venditore deve riempire a proprie spese le scansie del punto vendita e seguire la rotazione delle scadenze. La catena di Sant’Antonio dello sfruttamento verso il basso, oltre agli operai a 1 euro l’ora per raccogliere i mandarini rivenduti a 4 euro al chilo, comprende “agenzie” che pagano spiccioli agli addetti per questi servizi di facchinaggio/fattorinaggio tra le scansie dei punti vendita, cui si aggiungono i “volantinaggi”, fatti ormai quasi esclusivamente da extracomunitari. Chi non ha visto almeno una volta i pulmini sgangherati pieni di stranieri, che consegnano pacchi di pubblicità quasi sempre di ipermercati o catene? Una vera filiera della povertà.



LOGISTICA ILLOGICA:DANNI AI TRASPORTATORI
Glòi incravattatissimi bocconiani della logistica delle catene, per sopperire alla copertura dei giganteschi costi di struttura, sono costretti a “fare utii” sulle spalle dei trasportatori , tutti esterni, molto spesso raggruppati in “cooperative” ad alto tasso di elusione con finti dipendenti schiavizzati a cottimo e tanto altro (torneremo in argomento in dettaglio con un articolo a parte) , generando circolazione vorticosa -ed inutile- di camion: le pesche romagnole passano da Milano prima di tornare a Bologna, ad è solo uno degli esempi. Per non parlare dei prodotti freschi importati via aerea. Pensate quanto saranno stati pagati i produttori di ananas del Ghana.Immaginate quante migliaia di chilometri in più fanno le cassette che arrivano a prezzi stracciati sugli scaffali. Troppo bassi. Costi che pagano il produttore, il trasportatore e –solo parzialmente- il consumatore, sempre a caccia di finte offerte. Dietro ogni bollino, ogni regalo, ogni promozione, c’è una filiera sottopagata.
I camionisti sono costretti a rispettare gli appuntamenti di consegna ai magazzini dei supermercati e delle catene, con addebiti di penali in caso di ritardo.
Gli autisti attendono di solito nei piazzali per ore, perchè i supermercati concentrano gli appuntamenti , magari tutti alla stessa ora, per evitare tempi morti.
Sulle ribalte di scarico molto spesso sono gli autisti che devono estrarre dal camion il materiale e metterlo a disposizione del carrellista. Ancora oggi sono obbligati a farsi restituire i “pallets” in legno usati per il trasporto, per ritornarli al mittente ( gratuitamente). Non sempre le pedane sono disponibili ed in cambio le catene gli consegnano una ricevuta; a volte i pallets sono sporchi, gli autisti non se ne accorgono e sono respinti al rientro in ditta,soprattutto se le aziende sono alimentari con il controllo qualità alla porta, con addebito al trasportatore, che deve rimborsare quelli respinti o non restituiti.
Ci sono aziende di trasporti che sono fallite perchè non hanno sopportato gli addebiti del controvalore delle pedane, trattenuti direttamente dal pagamento delle fatture di trasporto.
Risultato di questo circuito vizioso : prezzi bassi, lavoro con ritmi ai limiti della legalit, tempo perso non produttivo in attesa dello scarico, facchinaggi gratuiti, pagamenti lunghi e penali per tardiva consegna con rimborso del costo dei pallets non restituiti come ciliegina sulla torta.

QUALITA’ IN FORTE CALO
Uno degli effetti collaterali più gravi è il crollo della qualità dei prodotti, assai più evidente in quelli agricoli e della trasformazione. Due esempi per tutti: i carciofi egiziani e tunisini, o l’olio di oliva del nord africa, che stanno soppiantandoi prodotti nostrani, senza alcun controllo della filiera e dei chimici utilizzati.
Una ulteriore virata genetica dei fornitori che mi segnala un esperto del settore: si sta diffondendo in Puglia la creazione, da parte di produttori , di mini stabilimenti che trasformano ortaggi stranieri in semilavorati da riversare sul mercato italiano dei prodotti vegetali per l’ industria, che a sua volta rifornisce la grande distribuzione, a prezzi bassissimi. Qualità scadente in aceto o salamoia che a mangiarla non sa di nulla. Abbiamo descritto la punta di uno dei cento iceberg che minacciano di far affondare la nostra vita. Assaggiate la frutta di certe catene, oppure certi prodotti “in offerta” e sappiatemi dire.




DANNI PER I PAGAMENTI LUNGHI

La catene di ipermercati incassano “a vista”, alle casse, ma pagano i fornitori a 120 o 180 giorni, allungando così anche i tempi di incasso di tutta la catena sottostante e facendola indebitare per finanziare, alla fine, i loro clienti e non l’impresa propria.


DANNI PER IL DEGRADO URBANISTICO

Tutti abbiamo negli occhi gli ingressi delle città, stravolti e imbruttiti dalla presenza di strutture di ipermercati o centri commerciali giganteschi ( di cui gli “iper” sono i maggiori sponsor ) , costruiti a volte in stile bulgaro , a volte come cartoni animati disneyani. Quasi sempre affogati da un traffico abnorme che obbliga i comuni ad erogare servizi, strade, rotonde, semafori, controlli, quasi sempre non pagati.
Nel frattempo, nelle città dove hanno attecchito ed in un raggio di diversi chilometri , i negozi tradizionali soffrono, chiudono, boccheggiano. Se con una “serranda” ci poteva vivere dignitosamente una intera famiglia, un ipermercato oppure una catena assorbono un decimo delle persone che hanno messo sul lastrico a causa della loro apertura, pagando i dipendenti -se va bene- 1000 euro al mese o poco più. Non c’è creazione di alcuna ricchezza per chi ci lavora. Aggiungeteci i centri città che si spopolano e vengono occupati da delinquenza e clandestini e la gente scappa da quartieri desertificati e (s)vende le case, rimettendoci risparmi.


DANNI ALLE FAMIGLIE
I ritmi e le abitudini familiari dei consumatori e -soprattutto- dei dipendenti, si stravolgono per adeguarsi ai nuovi orari : scompaiono domeniche, Natale, feste comandate. La spesa si fa fino alle 21; anzichè tornare a casa dai figli, i genitori li portano a cenare nelle tavole calde dei centri commerciali , tra un messaggio, una telefonata ed un acquisto talvolta inutile. Gli studi di compiaciuti esperti di marketing segnalano che gli “iper” stimolano un bel 25% di acquisti non necessari in quel momento .

Leggi anche