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Pubblicato il 25/12/2017

I VIGILI DELL’ACQUA ( LA DEMILITARIZZAZIONE DELLE FORZE ARMATE)

Ripubblichiamo un lungimirante articolo del Generale Battisti che richiama quanto è accaduto con il filmato 2018 per le Forze armate, bloccato dal sottesegretario alla presidenza del consiglio Crimi e sostituito con quello a base di autoscatti e volti sorridenti senza armi.

di Giorgio Battisti

Generale di Corpo d’Armata (aus. dal 12 ottobre 2016)

leggete il suo curriculum

 

In occasione delle recenti celebrazioni del “4 novembre”, Giorno dell’Unità Nazionale e Giornata delle Forze Armate, è stato trasmesso sulle reti televisive nazionali un filmato istituzionale, che potremmo chiamare “noi per voi”, che si proponeva di valorizzare l’impegno dei militari italiani a favore della società mediante l’alternanza visiva (e l’”intreccio” stretto) tra un giovane in divisa e una persona in abiti civili.

Le immagini, sicuramente toccanti e comunicativamente incisive, non mostravano tuttavia soldati con le armi (a meno dei fucili da cerimonia degli Allievi dell’Accademia Militare) o mezzi da combattimento e terminava con un gruppo di giovani, 4 militari (in uniforme da “libera uscita”) e 4 ragazzi, sullo sfondo dell’Altare della Patria in atteggiamento gioioso, quasi fossero di rientro da una scampagnata.
4novembre

Il filmato tuttavia svuota di significato il “mestiere delle armi” e lancia un messaggio di inutile “buonismo”, come se il mostrare uomini e donne con le armi (i loro “strumenti di lavoro”) fosse indice di aggressività e di negatività, anziché di protezione e di sicurezza, come la realtà dei fatti ampiamente dimostra. Come se si intendesse parlare degli studenti attraverso le immagini e si mostrassero foto di giovani senza libri!!


Sfuggono (forse) ai creativi comunicatori che hanno concepito e realizzato questo filmato i riflessi negativi sui nostri militari e sui loro comandanti e la non corretta percezione trasmessa ai nostri cittadini, quasi ci si debba vergognare dei militari e del loro operato, o quantomeno si debba lasciare come ipotesi remota, sullo sfondo e sicuramente sfumata, l’immagine del soldato preparato e addestrato a difendere in armi la Patria, termine oramai destinato alla desuetudine e all’oblio. Tutto ciò snatura l’identità del Soldato e riduce, svilendolo, l’altissimo compito istituzionale ad egli affidato (e che ogni Paese al mondo assegna alle Forze Armate) a una mera funzione socio-economica e/o di sostentamento all’industria nazionale della Difesa.

La presenza di un insediamento militare (e di un nuovo reparto) è sempre vista di buon grado, infatti, sia per l’indotto economico determinato a livello locale, sia per le ricadute elettorali quando si tratta di mantenere nella stessa regione uomini e donne in divisa malgrado essi fossero consapevoli, al momento della scelta della vita militare, di poter essere assegnati a reparti su tutto il territorio nazionale. Ciò a condizione, inoltre, che l’insediamento militare non crei contestualmente problemi per l’utilizzo delle aree addestrative. Ecco, allora, che si cerca di “arretrare” il più possibile e di vendere come “conquista” la retrocessione (restituzione) o il diminuito utilizzo di aree addestrative e il lauto compenso annuo che lo Stato paga per attività commerciali (spesso fittizie e gonfiate ad arte) non effettuate per colpa dei vincoli e delle limitazioni posti dalle servitù militari; oppure ecco che si farfugliano parole sconnesse quando si deve spiegare all’opinione pubblica a cosa serve comprare gli F-35, dimenticando di dire che sostituiscono ben tre macchine superate tecnologicamente e oramai a fine servizio.

In sintesi, un fremito di paura istituzionale che percorre buona parte dei nostri governanti, terrorizzati dall’idea di dare un messaggio non condiviso, nel timore poi che il cittadino non confermi il proprio voto elettorale o che ci si discosti dalla linea tradizionale del partito, o che si passi – male di tutti i mali – per persona “troppo nazionalista” (o populista come si dice ora)!!!

D’altronde, a pronunciare le parole “si vis pacem, para bellum” non si fa più – come una volta – una bella figura di conoscenza della storia e dei principi che hanno guidato i nostri avi, che sicuramente non erano degli sprovveduti!!

Tutto ciò dimenticando che, solo a dare una lettura, anche superficiale, delle norme dell’Ordinamento Militare (Legge di rango primario), si capisce chiaramente quali siano i compiti e – come si suol dire – sia di tutta evidenza chi deve fare cosa, come e perché, con le giuste priorità: si realizzerebbe (secondo alcuni, drammaticamente!) che solo alla fine dell’elenco delle attribuzioni del Ministero della Difesa, sono indicati gli “interventi di tutela ambientale, concorso nelle attività di protezione civile e su disposizione del Governo, concorso alla salvaguardia delle libere istituzioni e il bene della collettività nazionale nei casi di pubbliche calamità”.

La stessa definizione dual use attribuita a funzioni e tecnologie utilizzabili anche in ambito civile sembra voler sviare l’attenzione sul principale compito delle Forze Armate: difesa della Patria contro ogni possibile aggressione e tutela degli interessi nazionali, anche oltre confine.


Del resto, questo approccio trova sostegno anche da parte di rappresentanti del mondo cattolico che auspicano un cambio di denominazione: da Ministero della Difesa a Ministero della Pace, come se, cambiando una denominazione e vituperando o travisando il senso del povero articolo 11 della nostra Costituzione, si potesse cambiare la realtà globale e eliminare – tout court – ogni forma di terrorismo e di belligeranza o conflittualità nel mondo, vicino o lontano da noi.

Tutto ciò porta a pericolose derive e decadimenti professionali negli stessi militari e nei loro comandanti, i quali alla lunga si convinceranno che il loro ruolo non è quello di saper utilizzare (bene) le armi per assolvere un compito ma bensì di limitarsi a essere “distributori” di gessetti colorati e di quaderni, o di pasti caldi in occasione del prossimo disastro naturale.

E questo può essere molto pericoloso per la sicurezza dei nostri uomini e donne in operazioni, e quindi anche per la Nazione, in quanto potrebbero non affrontare con il giusto atteggiamento (habitus) mentale le minacce di un avversario determinato, privo di scrupoli e crudele che avrà anche l’ulteriore vantaggio di scegliere il momento, il modo e il luogo dove colpire.

Non dimentichiamo che “non si allevano agnelli per pretendere poi che si comportino, all’occorrenza, da leoni”! Ma forse il nostro Paese preferisce allevare agnelli, o meglio dare uno stipendio a degli agnelli e magari, poi, rivolgersi a un altro leone perché ci “levi le castagne dal fuoco” e ci dia protezione, ovviamente dietro lauto compenso, pagando profumatamente per far parte di questa o quella Coalizione e senza dare troppa risonanza al fatto…. Non si sa mai… l’opinione pubblica potrebbe risentirsi e la coscienza di qualche comodo benpensante sollevarsi indignata perché l’Italiano si scopre a combattere contro il terrorismo anche sparando qualche colpo di fucile, non solo addestrando e “mentorizzando” i militari e i poliziotti dei Paesi che “combattono” realmente chi ci vuole sgozzare in quanto infedeli.


È appena il caso di ricordare che sono oltre 170 i Soldati, Carabinieri, Aviatori, Marinai e Finanzieri caduti all’estero dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, in interventi in Africa, in Medio Oriente, in Asia e nei Balcani, ai quali si aggiungono i feriti e i mutilati, che portano ancora sul proprio corpo i segni di quanto sia arduo il mestiere delle armi e di quanto sia ipocrita e pavido chiamarle missioni di pace.

È come se i Vigili del Fuoco, per timore di pronunciare la parola “fuoco”, che rappresenta la minaccia da contrastare, si volessero chiamare “Vigili dell’Acqua”!

 

 

 

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