OPINIONI

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Pubblicato il 02/12/2014

IL CALIFFATO SULL’USCIO DI CASA

Il califfato sull’uscio di casa
A Derna, in Libia, appena al di là del mare, si è installata una “filiale” del califfato proclamato dall’Isisi in Siria e Iraq. L’Italia è a rischio?

di Fulvio Scaglione F.C.

Dai e dai, ce l’abbiamo fatta: adesso abbiamo il califfato anche in Libia, proprio di fronte a noi. Sarà pure un califfatino, una piccola filiale di quello stabilito a Mosul (Iraq) dal famoso Abu Bakr al Baghdadi, che forse è morto o forse è solo ferito, non si sa. Però il califfato in Libia c’è, si è insediato a Derna, una città di 80 mila abitanti che, nel pieno della guerra civile che impazza in Libia, si è lasciata conquistare da qualche migliaio di uomini armati.

Ora la vera domanda è: noi italiani dobbiamo essere preoccupati? Non preoccupati in generale, come lo siamo per il riscaldamento globale o per la fame nel mondo. Ma preoccupati preoccupati, timorosi, angosciati da ciò che potrebbe succedere a noi direttamente. Qualche attentato? Incursioni sulle coste come all’epoca dei saraceni? L’assalto a Roma e al Vaticano, come spavaldamente minacciano i jihadisti nei loro proclami e dai loro siti?

Per nostra fortuna, i miliziani del califfato sono troppo impegnati a combattere con chiunque altro stia dalle loro parti (in Libia, con gli islamisti di Tripoli, il Governo “regolare” a Tobruk e le truppe del generale Khalifa Haftar in giro, hanno il loro bel da fare) e a controllare se le donne portano il vero nel modo giusto e i giovani usano Facebook per pensare realmente di attraversare il Mediterraneo. Però è quello che si diceva anche nei primi tempi della guerra civile in Siria, e da allora il califfato ne ha fatta di strada.

Oltre che con i regni del Golfo Persico, Arabia Saudita e Qatar in testa, che da alcuni decenni diffondono il verbo dell’estremismo islamico ovunque arrivino i loro petrodollari, per questa situazione possiamo complimentarci anche con noi stessi. L’ultimo colpo di genio europeo e americano è stato, nel 2011, mettersi a bombardare Gheddafi senza avere la minima idea di che cosa fare dopo di lui, e soprattutto di come farlo.

Gheddafi faceva ribrezzo, ma lo faceva nel 2011 esattamente come nel 2010, quando veniva ricevuto come un signore in tutte le capitali. A Roma, per esempio, dove trovò modo di dire che “l’islam dovrebbe diventare la religione di tutta Europa”, senza che alcuno avesse l’ardire di replicare almeno “no, grazie, stiamo bene così”.

Invece abbiamo preferito ripetere le brillanti strategie già applicate all’Afghanistan (tredici anni di presenza militare per dichiarare, come ha apopena fatto Obama, che bisognerà fermarsi ancora con le truppe) e all’Iraq, e poi anche alla Siria.

E per fortuna non abbiamo dato retta ai geni che spingevano perché venisse bombardato anche l’Iran, che adesso è uno dei baluardi anti-Isis. Meglio non pensare dove saremmo adesso, e dove sarebbe l’Isis, se l’avessimo fatto.

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