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Pubblicato il 08/02/2014

IN RICORDO DEGLI EROI DEI MAS DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE

TRIESTE 10 febbraio 1918. – Ci siamo affilati nella lunga attesa come sopra la ruota d’un arrotino difficile. Siamo tutti taglio e punta, fissi in una rude impugnatura: arnesi da adoperare subito. Credo che di rado uomini furono così compiutamente pronti per un’azione disegnata. Nulla manca; tutto è previsto. L’indugio non ci giova più; ci logora”.

Così Gabriele D’Annunzio inizia il racconto di quella lunga notte tra il 10 e l’11 febbraio 1918 quando trenta uomini, marinai d’Italia, compirono l’operazione navale passata alla storia come “La Beffa di Buccari”. Un’impresa che sembrava impossibile anche se studiata nei minimi particolari, a bordo di tre imbarcazioni veloci, ma leggere, i famosi MAS 94,95 e 96, che offese la Marina Austro-ungarica ancor più cocentemente dell’affondamento della corazzata Wien nel porto di Trieste; in quella notte di febbraio, come scrisse D’Annunzio, i marinai d’Italia avevano “osato l’inosabile”. Tra i trenta di Buccari e i diciotto di Trieste vi era anche il sottocapo torpediniere Domenico Piccirillo da Vietri sul Mare, giovane ardimentoso che, ancora studente, a sedici anni si era arruolato volontario in Marina per “servire la Patria nella grande guerra” onde riscattare le terre irredente ancora sotto il dominio asburgico.

Era il 10 febbraio 1918 quando tre MAS, il 94 comandato dal sottotenente Andrea Ferrarini da Mantova, il 95 al comando del tenente di vascello Profeta Odoardo De Santis da Chiusi e il 96 al comando del capitano di corvetta Luigi Rizzo di Milazzo e con il comandante di missione capitano di fregata Costanzo Ciano e sul quale era imbarcato anche Gabriele D’Annunzio, partirono dal sicuro rifugio della Giudecca a Venezia per infiltrarsi nelle viscere del Quarnaro dove, ricognitori aerei, avevano segnalato la presenza di navi militari nemiche. Buccari, all’epoca, era una cittadina poco distante dalla dannunziana Fiume, con circa tremila abitanti, posta in “una baia lontana che ha la forma di un’ocarina non d’argilla, ma d’argento”, ed era una baia praticamente inespugnabile.

Il viaggio durò 14 ore difilato, una navigazione compiuta in silenzio per un’impresa di taciturni e coraggiosi tra i quali vi era Domenico Piccirillo. Dopo aver ricordato che “ve n’è di tutte le province, di tutte le contrade, di tutte le spiagge, prole dei Tre mari, una e diversa”, scrive il volontario marinaio Gabriele D’Annunzio da Pescara d’Abruzzi, nel volumetto sulla “Beffa” .

Quella notte bastava un allarme e i tre “brulotti disperati, soli, senza alcuna scorta” sarebbero stati spazzati via. All’una e un quarto del giorno 11 febbraio, le tre imbarcazioni sono di fronte a Buccari, dove “nessuna finestra è illuminata”. Non v’è alla fonda la segnalata nave militare, ma quattro piroscafi. I siluri partono ugualmente, squarciano la rete, raggiungono il bersaglio e dal fondo si sprigiona “una grande ala acquosa e la sbatte sulla faccia della notte”. Tutto è compiuto e non resta che riguadagnare la via di casa. Gli austriaci non si sono accorti di quanto stesse succedendo. Prima, però, D’Annunzio abbandona alle onde tre bottiglie, sigillate con nastro tricolore, con all’interno un messaggio scritto di pugno: “In onta alla cautissima flotta austriaca occupata a covare senza fine dentro i porti sicuri la gloriuzza di Lissa, sono venuti col ferro e col fuoco a scuotere la prudenza nel suo più comodo rifugio i marinai d’Italia, che si ridono d’ogni sorta di reti e di sbarre, pronti sempre a osare l’inosabile. E un buon compagno, ben noto – il nemico capitale, fra tutti i nemici il nemicissimo, quello di Pola e di Cattaro – è venuto con loro a beffarsi della taglia. 10-11 febbraio 1918. Gabriele D’Annunzio”.

La bandierina che i “trenta d’una sorte” avevano cucito sul petto con la scritta di pugno del poeta “Memento Audere Semper” aveva portato fortuna: i tre equipaggi infilarono la via del ritorno. Quando spunta l’alba dell’11 febbraio 1918, i tre MAS “dall’Italia navigano verso l’Italia”.

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