OPINIONI

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Pubblicato il 18/01/2017

La Libia del dopo Gheddafi: da auspicato partner italiano privilegiato a doloroso chiodo dell’italico stivale

di Vincenzo Di Guida

È storia pressoché recente che i vari focolai di instabilità politico militare nel pianeta sono conseguenti alla rimozione di alcuni regimi politici.
Così come la destituzione di Saddam Hussein in Iraq (che nel bene e nel male controllava le varie fazioni tribali) ha incendiato tutta l’area della antica Mesopotamia, analogamente la scomparsa di Gheddafi ha prodotto nella vicina Libia l’attuale incontrollabile caos.
In buona sostanza si è assistito in Libia a un copione già visto in altre aeree calde del pianeta e, ancora una volta, la cura sembra aver prodotto effetti molto peggiori della malattia.
Tutto ciò, bisogna dirlo, senza che l’opinione pubblica si sia minimamente scandalizzata.
L’ONU in tutto questo, più che uno strumento di pace effettiva, sembra l’ombrello mediatico e la facciata rispettabile di ben altri maneggi politici ed economici grazie al quale, sotto l’apparente egida dei suoi colori, si celano solo gli interessi politici ed economici di alcune nazioni.
O, a voler essere buoni, le Nazioni Unite non si accorgono che le sue ammirevoli intenzioni sono manipolate e usate come paravento da alcune nazioni nonostante la storia ha ampiamente insegnato che ciò causerà guasti ben peggiori delle situazioni umanitarie che si denunciano.
Nessuno vuole sostenere che leader come Hussein o Gheddafi fossero santi. Per carità. D’altra parte il controllo e la moderazione di gruppi tribali in sanguinose lotte tra loro non si può attuare con politiche deboli, ma è sotto gli occhi di tutti, anche senza avere le cifre ufficiali e realistiche dei morti, che dopo la scomparsa di questi freni inibitori, si sono scoperchiati dei veri e propri vasi di Pandora per le inermi popolazioni.
Insomma, una sorta di tela di Penelope, che viene tessuta o scucita secondo le convenienze del momento delle solite poche nazioni gendarmi del mondo, dove l’opinione pubblica è di volta in volta indotta a credere che si interviene per migliorare la condizione umanitaria delle inermi popolazioni dimentichi di quanto accadeva solo qualche decennio prima e di cosa consegue nel momento in cui un’area viene instabilizzata,
Tale, ad esempio, è stata la storia dell’Iraq e, fatte le debite differenze, simile appare anche la situazione della Libia dove Gheddafi, inizialmente salutato dalla comunità internazionale come l’affrancatore del popolo dal regime monarchico di re Idris è poi stato bollato come causa di ogni male del popolo libico.
E dire che, solo pochi mesi dalla sua rimozione, era stato ricevuto con tutti gli onori a Roma dove, nientemeno, gli era stato concesso di erigere in villa Borghese addirittura il suo accampamento, manco si fosse nel deserto!
Una volta che Gheddafi ha espresso la sua visone panafricana, si è reso inviso a stati gendarmi che, col paravento dell’ONU, lo hanno rimosso sostenendo al suo posto un governo fantoccio sostenuto da Al Sarraj.
È del tutto evidente, infatti, che la Libia interessa per le sue risorse energetiche e perché, di fatto, è una delle porte d’Europa.
L’Italia, ossequiosa agli accordi internazionali, sostiene Sarraj anche se tenta disperatamente di non apparire troppo coinvolta da un regime, solo di facciata, di cui è ben evidente la inconsistenza sul terreno.
Perché Al Sarraj, ora più che mai visto il tramonto dell’amministrazione Obama cui principalmente si deve la sua imposizione, è ben lungi dall’avere il controllo della Libia.
Ed ecco spiegarsi la cauta politica italiana di non inviare, almeno ufficialmente, forze belligeranti ma di intervenire alla richiesta di Sarraj solo con supporti logistici.
Altre nazioni, invece, supportano più direttamente chi al momento sembra destinato a poter diventare il vero leader libico.
Segnatamente la Russia e l’Egitto, ad esempio, sostengono il generale Haftar nell’intento, neppure tanto velato, di controllare il ricco mercato di gas naturale che alimenta l’Europa (e di cui la Russia è stato fornitore dell’Europa così come lo è la Libia) con il tramite del Cairo che si propone come guida per l’itera area nord africana.
Lo stesso Haftar, spalleggiato dalla Russia e dall’Egitto e consapevole che Al Sarraj non potrà godere del supporto di Trump, oltre a farsi spavaldamente fotografare a bordo di unità navali russe, invita l’Italia a gettare la maschera del buonismo umanitario e abbandonare il territorio libico tacciandola, tra l’altro, di nascondere volontà neo colonialiste.
Insomma ancora una volta l’Italia, che ovviamente è estremamente interessata agli scambi commerciali col vicino paese nordafricano, sembra ancora una volta aver scommesso sul cavallo sbagliato.

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