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Pubblicato il 04/12/2014

LA NATO HA CREATO IL “MOSTRO” LIBIA – UN VULCANO PRONTO AD ESPLODERE

addestratori italiani per le truppe libiche, nei primi mesi del 2014. La missione è stata sospesa per motivi di sicurezza


Andrea Carlini


Il vulcano Libia è pronto a esplodere
«Il Paese è spezzato in tre fronti e presto saranno guai per tutti»

PARMA- Se non interviene l’Europa, se non interviene la Nato, se non interviene l’Italia, la Libia andrà in pezzi, e saranno guai per tutti, non solo per i libici.

Così ha dichiarato il generale Razah Nouradin, che cerca di contrastare gli integralisti che si sono impadroniti del paese.
La lIbia dell’epoca della rivolta è ormai un ricordo. Da marzo 2011, quando le incursioni dei cacciabombardieri della Nato spianavano la via agli shabaab, tutto è stravolto. Altro che rivoluzione. Poi l’insurrezione di Tripoli, un agosto di fuoco e di cannibalismo crudele e sanguinario e alla fine Gheddafi trucidato barbaramente mentre fuggiva nel deserto.

La “primavera” ( così la chiamavano i giornalisti pasticcioni che devono riempire pagine di luoghi comuni) di quella che era stata la nostra quarta sponda era poco più che un’illusione. Gli Zintan, clan tribale decisivo nella conquista di Tripoli, si erano aggiudicati il controllo dell’aeroporto commerciale della capitale. I salafiti invece si erano impadroniti delle divise dell’esercito proclamando la sharia e promettendo a breve uno Stato islamico su modello saudita.

La Cirenaica invece meditava una secessione per usare il petrolio di cui l’area è ricchissima, la unica ricchezza della Libia. Tripolitania, Cirenaica e Fezzan (la grande distesa desertica a sud della linea costiera, oggi crocevia di ogni tipo di attività: dal commercio di armi alla droga, dal traffico d’organi all’infiltrazione di terroristi) rimanevano tre distinte entità in una Libia che non riusciva a formare un governo nazionale, che non era in grado di darsi un corpo di polizia, che non aveva i mezzi per amministrare la giustizia.

Entità territoriali controllate da clan, sottoclan, bande e fazioni. Si spara per le strade, si spediscono missili grad come avvertimento mafioso al candidato premier di turno, si fanno agguati e si commettono omicidi eccellenti. In passato una vittima importante fu Chris Stevens, ambasciatore statunitense in Libia, massacrato a Bengasi da un commando che assaltò la sede consolare.

Lo sguardo che si posa oggi sulla Libia è ancor più sconfortante. A est, in Cirenaica, alloggia il Parlamento riconosciuto, che però sta in esilio a Tobruk e da dove il generale Khalifa Haftar – ex uomo di Gheddafi, poi caduto in disgrazia, quindi recuperato dagli americani e oggi uomo forte dell’esercito – guida la controrivoluzione con il sostegno del Cairo e dei Paesi del Golfo che gli garantiscono i cacciabombardieri con cui colpisce Bengasi. Haftar ha stretto alleanza con gli Zintan e assicura che libererà l’intera Libia, ma non dice la verità.

Basti pensare alla penetrazione qaedista ora diventata corpo d’armata, con tre-quattro brigate organizzate, come Ansar al-Sharia, che agisce a Sirte e Bengasi, o Alba Libica, che comanda a Misurata, «ma soprattutto – dice Nouradin – è a Derna che bisogna guardare, perché lì da poco è nato il Califfato di Barqa» ( Barqa è l’antico nome della Cirenaica,ndr)

I tagliagole vorrebbero riprendersi non solo il Maghreb, ma anche i regni moreschi andalusi perduti nel 1492 e giungere alle porte di Roma e piantarvi le nere bandiere dello Stato islamico.

La presenza del Is ha cambiato anche le rotte dei migranti che abitualmente partivano dalle coste libiche: oggi prendono la via del mare dall’Egitto, un tragitto un po’ più lungo e più sorvegliato. Da giorni le autorità del Cairo bloccano navigli e arrestano scafisti.

«Da gennaio – riferisce il ministro degli Esteriitaliano di turno, buonista – ci sono stati 162mila sbarchi, rispetto ai 40mila dell’anno scorso, e dobbiamo essere consapevoli che il 90% avviene attraverso la Libia. E noi non ci rassegniamo a una Libia divisa e in guerra». A parole sembra deciso, ma parla di negoziati, tavoli di pace,. incontri e tavole rotonde. Sogni di politico inesperto.

In questo quadro caotico ci sono l’Egitto del generale al-Sisi insieme alla Tunisia, che godono di una relativa stabilità nel mondo arabo ed agiscono di concerto con i Paesi del Golfo nel sostegno finanziario e militare al generale Haftar.

Tuttavia le brecce che si sono aperte dopo quarantadue anni di dittatura della Jamahiriya hanno spalancato le porte al radicalismo islamico, che soprattutto in Cirenaica rappresentava l’unica possibile forma di opposizione al regime. Un radicalismo che dal Marocco alla Siria ha finito per diventare integralismo salafita, che convive con i Fratelli musulmani e col jihadismo anti Hamas nella Striscia di Gaza fino alla punta di lancia dello Stato islamico, la cui penetrazione in Iraq, in Siria ed ora anche in Libia costituisce la vera pressante minaccia per chi si affaccia sul Mediterraneo.

A oltre tre anni quella sciocca azione a militare iniziata nel 2011 da Sarkozy e nella quale venne coinvolta e trascinata la stessa Nato e quindi anche l’Italia, possiamo affermare che la caduta di Gheddafi ha soltanto favorito l’integralismo più sanguinario, che si è saldato con interessi economici ch cui interessa il petrolio.
Il fronte sud dell’Europa, a tre ore di aliscafo dalle coste libiche Libia è pronto. Le prime avanguardie potrebbero i 160mila illegali mandati con i barconi da Gennmaio 2014 in Italia. Siamo davvero sicuri che siamo tutte vittime?

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