EL ALAMEIN

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Pubblicato il 28/10/2009

LE RIFLESSIONI DI CHI HA PARTECIPATO ALLA STAFFETTA PER I LEONI DELLA FOGLORE


RICORDERO’
di Giovanni Conforti



Ricorderò la sabbia fine trasportata dal vento a ricoprire le postazioni
le scatolette arrugginite che furono il pasto di quei ragazzi
quella brezza continua della notte a far garrire le bandiere
un cielo di stelle tridimensionale a farli sognare e piangere
quella struggente sensazione di piccolezza
le conchiglie fossili che meravigliarono anche loro
le schegge di ferro che li ferirono
le lumache aggrappate ai cespugli
una rugiada mattutina che sembrava pioggia
la fede religiosa del nostro autista
le polpette di carne di cammello speziata
l’eco infinita del nostro Folgore al Sacrario
la fiaccola che resta accesa per tutta la cerimonia
il traffico del Cairo
la fame di Renato
la frenetica attività di Walter
la paciosa bonarietà di Stefano
lo spirito di adattamento di Mariella
i silenzi di Francesco, perchè erano pochi
lo humor inglese del Tego
la determinazione di Rudy
l’applomb di Pietro
la grinta di Roberto
la cultura storica di Luca
la commozione del Reduce
la mia inadeguatezza.

E quella lunga fila di marmi bianchi con le spoglie di tanti ragazzi che amavano la Vita.

Ricorderò.
Ma per capirli a fondo ci vorrà ancora del tempo, e del cuore.
Spero che Dio me ne faccia dono.
Per tutti un arrivederci, di qua o di là.

Folgore!

QUANDO SI RIPARTE?
Di Roberto Magarini

E’ semplice, semplicissimo raccontare i quattro giorni della staffetta. E’ andato tutto bene, anzi, benissimo, al meglio nonostante le premesse operative molto vaghe … quasi aleatorie : “Andiamo a correre una staffetta nel deserto lungo il fronte di El Alamein per commemorare i Nostri Caduti e la Battaglia. Farà caldo. Sappiatevi regolare”.
Ottimo.
Con indicazioni così il mio panico pre partenza era a mille già una settimana prima.
Mai corso nel deserto, mi sono ritrovato con 11 persone delle quali non conoscevo che Walter: vero Deus ex machina del tutto. In quest’occasione quasi insostituibile, credo. Ci ha fatto trovare i biglietti pronti, le jeep che ci aspettavano, ha fatto cento altre cose, ha spronato con l’esempio a fare ed era sempre “sulla situazione”. Per andare ad alcune migliaia di km di distanza dall’Italia in autonomia logistica ed alimentare, dove il rubinetto più vicino per lavarsi le mani era a più di ottanta chilometri;

avremmo avuto sabbia ovunque per tre giorni con 31 gradi di giorno e un bel freddo di notte e l’alimentazione avrebbe risentito di tutto ciò, oltre naturalmente dipendere per gli orari dal trovare la pista giusta nel deserto per rientrare al campo -la prima sera non è successo-, dalla nostra velocità di corsa, dalle prove della Cerimonia e dalla Cerimonia vera..

Avremmo corso nel deserto … sempre di giorno, sempre con il lavandino a 80 km a scalare ma senza la certezza di poterlo utilizzare. Siamo arrivati al paradosso di essere sporchi, sudati, impolverati e appicicaticci come cammelli e di profumare come delle cortigiane, grazie a goffi tentativi di pulizia con salviettine umidificate … però con il morale sempre alle stelle e anche oltre.

Poi , si sa, quando si è stanchi o affamati o costretti in gruppi forzati o tutte e tre le cose insieme le dinamiche sono facilmente influenzabili e i rapporti ne risentono.

Ultimo ma non per importanza, era presente una donna.

Per lei disagi anche superiori, per questioni pratiche.

Bene. Viste le premesse, proviamoci.

Unico elemento certo e tranquillizzante eravamo TUTTI paracadutisti, la quasi totalità Congedati dalla Brigata.

E questo partire da basi comuni di scelta e spesso di esperienze ha determinato una situazione ottimale che ha annullato il fatto della non conoscenza formale.

Ad esempio del fatto che ci fosse una donna ci siamo resi conto quando al rientro al Cairo le è stata data una camera diversa rispetto a noi ( due piani sopra), perché l’amalgama nel periodo “desertico”era totale.

Ho scoperto in aereo, al rientro, che era anche vegetariana (si è persa il cammello fatto a polpette con spezie che era una delizia) perché non ha mai recriminato per il cibo ( ne per i bagno ne per il dormire ne per le battutacce ne … insomma, mai per nulla).

Detto di lei, anche gli altri sono stati semplicemente perfetti.

Dall’essere sempre pronti e disponibili a fare, al non lamentarsi mai ( peraltro non c’era motivo) all’essere sempre pronti all’iniziativa e al suo immediatamente successivo cambio di programma, all’ accettare anche di mettersi in gioco collettivamente e singolarmente
Doc ( Stefano Venturini, ndr) ha rinunciato a qualcosa di importante al Sacrario per documentare il tutto non apparendo;Mariella anche, ma entrambi con spontaneità.

Ad esempio: dopo aver programmato al minuto la presenza al Sacrario, abbiamo cambiato il programma durante e in trenta secondi è stata organizzata una presenza massiccia, al centro della situazione, sostenuta al meglio senza prove e senza esperienza.

Lì ho temuto il patatrac con conseguente perdita di credibilità di fronte ad Ambasciatori compresi nel ruolo, Consoli azzimati, Addetti militari in alta uniforme e un sacco di signore eleganti, ma mi dimenticavo il nostro guizzante spirito d’iniziativa e la capacità di adeguarci “sul tamburo”alle situazioni.

Ma il clou del tutto, il motivo per il quale io sono andato era questa volontà di esserci, nel deserto, per correre, celebrare i Nostri Caduti, Coloro che ci hanno preceduto creando la leggenda della Folgore di cui, in tempi assolutamente diversi dai Loro, anche noi abbiamo fatto parte, portando il nostro granellino di sabbia al solido muro di mattoni da Loro costruito in quell’epopea.

E tutti abbiamo corso, facendo tutti minimo due turni, ciascuno secondo le proprie capacità e possibilità; il bravo non riprendeva l’affannato, anzi, lo seguiva prodigo di attenzioni( grazie a Rudy per la miglior pomata lenitiva che mi abbiano mai spalmato) e chi correva nel nulla non recriminava lo sfondo da cartolina di alcuni …
Io appena partito ero emozionato: stavo passando dove la Folgore aveva combattuto. Non dico che mi sentissi osservato da migliaia di occhi invisibili, né che mi sentissi spinto dalla forza della Storia della Folgore, ma l’intensità dell’emozione era altissima, pensavo a dov’ero e speravo dentro di me che quell’insignificante atto di omaggio che stavo porgendo ai Caduti fosse Loro gradito. Spero di essere stato all’altezza del luogo e delle sue memorie.

Conservo in un angolo molto nascosto le mie emozioni più intense e più forti; le tengo per me , non le racconto, certo che i miei Amici, che con me hanno corso, le abbiano ugualmente vissute, quindi faccio senza raccontargliele; chi non le ha vissute non le può capire ed è inutile parlargliene. Avete mai provato a descrivere un lancio?.

Il contatto telefonico dal deserto con i Reduci e l’emozione del Reduce presente al Sacrario mi fanno intuire che l’omaggio , almeno a Loro, è risultato gradito. Il mio Amico Pino, Reduce Paracadutista combattente del Passo del Cammello, mi ha detto:”Avete fatto una bella cosa” e qualsiasi commento opposto non ne scalfirà la portata.

Appena rientrati la sensazione, dalle e-mail e dalle telefonate, è stata comune : mi manca il deserto e mi mancano i miei Amici Tedofori!
Io la doccia l’ho fatta.

Possiamo ripartire.


I NOSTRI VALORI
di Pietro Del Grano

Patria, Amicizia, onore sono per noi paracadutisti militari -anche se in congedo- un patrimonio genetico e condizionano le nostre scelte a volte anche scomode e i nostri comportamenti.

Amo definire questo modo di essere paracadutisti uno”stile di vita” ben diverso da quello puramente sportivo che condivide solo l’atto tecnico ma che spesso è privo degli ideali citati.

Nella staffetta in onore dei Leoni della Folgore ognuno di noi correndo su quelle sabbie cariche di sofferenza credo abbia riflettuto su questi ideali e sulla pesante responsabilità che quei “Leoni” ci hanno lasciato.

Molti dubbi hanno riempito la mia testa se fossi stato all’altezza dell’eredità trasmessa con l’ esempio del loro coraggio e soprattutto se ne fossi stato degno.

I dubbi rimangono ma il cameratismo che si è creato tra di noi durante la staffetta e nei giorni passati insieme mi sprona a proseguire con quegli ideali e con rinnovato impegno nel perseguirli.

Proprio il cameratismo tra commilitoni credo sia stata la molla per cui nella battaglia del 23 ottobre 1942 tutti sono rimasti al loro posto ben consapevoli del destino a cui sarebbero andati incontro ma condividendo fino all’ultimo la sorte con i propri compagni nelle buche.

Ed è con quello spirito che abbiamo corso nel deserto, senza sentire la fatica, uno per l’altro, riserrando i ranghi con le anime di quelli rimasti a presidiare il deserto.

Il nostro gesto è stato un niente in confronto a loro ma è quello che abbiamo saputo offrire con i nostri limiti e con tanto entusiasmo.
Sono sicuro che per ognuno di noi sia stato un grande privilegio esserci.

FOLGORE!

l tracciato rilevato dal GARMIN al polso del webmaster, che ha registrato 81 kmt percorsi a El Alamein. La lunghezza reale della staffetta è stata però di 78,900 kmt. I chilometri in eccesso sono dovuti agli spostamenti che il webmaster faceva a piedi per raggiungere o seguire i Tedofori, sommati a quelli fatti all’interno del lungo viale del Sacrario.La mappa sopra identifica in giallo , (freccia) il luogo dove è stato rilevato il percorso.

LE IMPRESSIONI A CALDO DELLA PARACADUTISTA MARIELLA MANGINI, UNICA DONNA DEL GRUPPO

Unica donna, con dieci Paracadutisti; ma nessun problema, ero più che sicura. Di loro e di me.

Sono nata troppo presto, ma fin da piccola sarei voluta entrare nelle FF.AA., quindi non potendo, mi impegno in altre cose, che comunque ne abbiano lo spirito.

Lo spirito di andare ad El Alamein, forse per trovare ancora lo “spirito” che quei ragazzi hanno lasciato in quei luoghi, immolandosi.

No, non è retorica, sentimentalismo, passato. E’ una cosa viva, attuale, proprio adesso in questo mondo che ha perso i valori. E’ quei valori che sono andata a confermare a me stessa.

Il viaggio di andata è stato lungo, con l’impazienza di arrivare, e con i guidatori delle jeep, che nel buio della notte ormai arrivata, hanno perso la pista nel deserto.

Il deserto, silenzioso, enorme, solitario. Di notte i contorni non si vedono, si possono solo intuire, immaginare, ma nella distesa piatta, si intuivano solo gli arbusti della bassa vegetazione. Nella mia mente ho cominciato ad immaginare, la vita di quegli anni, quando i disagi erano ancora maggiori di adesso. Non è stato facile, abituati come siamo alla comodità. E doveva essere ancora approntato il campo. La cosa che mi ha immediatamente colpita è stato il cielo, anche lui, come il deserto, silenzioso ed enorme, vivo di stelle, come nelle città non riusciamo a vedere. Eravamo in un luogo sperso dalla cosiddetta civiltà tra deserto e stelle. Splendido!

Siamo riusciti a soddisfare i bisogni primari di sopravvivenza, cenare, dormire, a lavarci abbiamo pensato poi il sabato, ma le salviette umidificate, si sono sprecate. La mattina dopo un “fuori dalle brande!” alle 6,30 ci ha “gentilmente” augurato il buongiorno.

Mi sono ritrovata in un vortice estremamente impegnativo di emozioni, che ancora devo metabolizzare per bene, alcune sono “a pelle” ancora adesso, per altre mi chiedo : ero davvero io laggiù? Ma sono cose che facevano parte della quotidianità. Del fatto che, essendo vegetariana, sono andata avanti per due giorni a barrette che mi ero portata dall’Italia. Del fatto che per i miei bisogni personali, invidiavo gli uomini, e oltre ai bassi arbusti, mi sarebbe piaciuta una bella, alta, grande palma! Ma ci penso adesso, in quei momenti erano pensieri secondari. Mi sono sempre adeguata, senza nessun problema.

Ci sono state invece le “altre” emozioni, quelle vere. Guardavo, assimilavo con gli occhi, le orecchie, la pelle. Toccavo, cercavo di sentire. Ma senza potermi immedesimare. Non sono riuscita a capire come hanno fatto, ragazzi di 20 anni a vivere certe esperienze, rischiando ogni minuto la vita, morendo. Oppure, l’ho capito, e sono rimasta esterrefatta per la loro forza, l’umanità, il coraggio che hanno dimostrato. E’ stata quella la vera emozione, capire anche solo parzialmente, quello che hanno vissuto e sorprendersi di ciò che hanno fatto.

La prima emozione forte, intensa, che non potrò mai dimenticare, nella chiesa del Sacrario. Al grido FOLGORE! L’eco è rimasta per alcuni secondi, come se quei ragazzi rispondessero “siamo qui, siamo vivi, siamo con voi”. Il brivido incredibile che mi ha percorso la schiena e fatto accapponare la pelle, non lo dimenticherò mai più. Si, sono vivi fino a che qualcuno non li dimenticherà. Fino a che saranno nei nostri cuori, fino a che il loro ricordo sarà dentro di noi, vivranno in noi. Nel Reduce che abbiamo incontrato, a cui ho stretto la mano.

La mattina seguente sulla cima dell’Himeimat, dove abbiamo reso onore alla Folgore, il cui grido si è perso nella vastità del deserto, la stessa fortissima sensazione di presenza, lo stesso brivido incontrollato lungo la schiena. Non sono un militare, purtroppo, e non vorrei che le mie parole fossero fraintese. Non voglio appropriarmi di cose che non sono mie, che non ho vissuto, ma che comunque porto da sempre nel cuore. Sono andata ad El Alamein con umiltà, solo per cercare quello che ho trovato. I miei valori sono quelli. Dignità, orgoglio, spirito di sacrificio, amore per l’Italia. E sapevo che erano sepolti là in quei luoghi, sepolti ma non morti.

Il legame con gli altri paracadutisti, è stato immediato. Non ci conoscevamo, ma credo che la forza di certi valori, rompa qualsiasi barriera. Si è subito instaurato un rapporto cameratesco, solidale, scherzoso. Ogni tanto la stanchezza portava “fuori” qualcuno,ma penso sia normale. Non ho fatto la staffetta, li seguivo con le jeep. Il loro sforzo è stato davvero commovente. Tutti chiedevano di fare “ancora” un pezzo, nessuno si è tirato indietro. Bellissimo il loro inquadramento,i loro volti stanchi, sudati, ma non domi. Degni di essere li.

Sono onorata di essere stata ad El Alamein. Sono onorata di avere avuto i dieci paracadutisti, come accompagnatori. Sono onorata di avere avuto la conferma di quello che penso di essere. Si, sono solo un’allieva, ma avere “quei” maestri, oggi come oggi, non è da tutti. Sarebbe bello che i nostri giovani capissero. Ma sono percorsi che vanno fatti da soli, nessuno li può imporre. Per cui posso solo augurarlo.

Con stima, permettetemi un


FOLGORE!


SCRIVE IL CARABINIERE PARACADUTISTA HAUFF RODOLFO(Rudy) (CLICCATE QUI)

LE RIFLESSIONI DEL PARACADUTISTA LUCCHESE FRANCESCO NAPPINI


Nota dell’Autore: malgrado io sia uno che parla molto, non sono abituato a scrivere, salvo che per motivi di lavoro. Ma ci proverò.

Credo che dopo un’esperienza come quella vissuta sarebbero necessarie alcune pagine per riassumere tutte le mie sensazioni e riflessioni rilevate in quei quattro giorni.
Ma uno dei ricordi più frequenti è che più volte, senza una ragione precisa, mi sono venuti gli occhi lucidi, ho dovuto inghiottire ed ho sentito dei brividi sulle braccia e lungo la schiena, sintomi improvvisi e legati a non so cosa, in circostanze diverse ed in luoghi diversi. Forse un richiamo dai ragazzi che in quei luoghi hanno lasciato la vita, e che sovente volevano che mi ricordassi di loro……….
Comunque sensazioni indimenticabili. Come indimenticabile sarà sempre lo spirito e l’entusiasmo comune espresso e condiviso da tutti noi nell’affrontare questa piccola parentesi della vita. Augurandomi di poter rivivere esperienze simili con un gruppo affiatato come il vostro, il mio sentito grazie di cuore a tutti voi. Folgore!

Franceso Nappini
per gli amici della Staffetta “Little Napp”

HO IMPARATO A NON MOLLARE
di Luca Bartoli

Era dal servizio militare, ventisette anni fa, che volevo andare in questo lembo di deserto, a rendermi conto dell’ambiente e delle ragioni che portarono all’estremo impegno e sacrificio dei paracadutisti della Folgore in questa cruciale battaglia della seconda guerra mondiale.

L’ho potuto fare solo oggi grazie ad una staffetta in onore dei caduti, proprio sulla linea dei combattimenti, attuata da un tenace organizzatore ed da un fantastico gruppo di commilitoni (Mariella… sei tra i congedati ad honorem…!).

Dell’esperienza rimangono fortissime emozioni che richiedono tempo per essere riordinate; l’alba che delinea di colpo lo splendido scenario in cui ci si era immersi nel buio della notte precedente, il mio tratto di corsa tra le buche delle mine disattivate segnalate da un sacchetto di juta bianca, la maestosita’ di un sacrario candido che appare da lontano, il brivido prolungato che da l’eco dell’urlo FOLGORE all’interno, sono solo alcune di esse…

Su tutto la senzazione di privilegio che si ha per aver fatto parte delle aviotruppe, per aver potuto legittimamente portare un omaggio ai gloriosi combattenti di allora, per essere ancora oggi in contatto oggi con persone amichevoli e di principio. Sono convinto che, al di la delle altre motivazioni personali, sia questa sensazione di privilegio che ha reso naturale ai Ragazzi della Folgore il non mollare mai.

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