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Pubblicato il 20/02/2018

LEVA MILITARE IN ITALIA: SETTE DOMANDE AL GENERALE MARCO BERTOLINI

bertolini-parmaPARMA- Il Generale di C.A. ( aus) Marzo Bertolini , attuale presidente nazionale dell’ANPDI, ha risposto a sette domande che gli abbiamo posto sul servizio militare obbligatorio e sulla ipotesi di un suo ripristino in Italia. Chiarissime le risposte, come suo stile.

1/Signor Generale, alcune domande sull’argomento che è riaffiorato in questi giorni nelle dichiarazioni di alcuni politici.
Potrebbe servire la leva in un contesto strategico come l’attuale?

“A premessa voglio chiarire che il “servizio professionale” per la truppa, o meglio quello a ferma prolungata, è ormai indispensabile. Ma ritengo anche che potrebbe trovare un suo complemento e completamento con un numero limitato di unità di leva, da dedicare a compiti meno complessi. Sotto questo aspetto, le proposte in merito ad una parziale reintroduzione del servizio militare obbligatorio da parte di alcune parti politiche ha almeno il merito di rendere centrale una riflessione sulle nostre Forze Armate che stenta sempre a partire nel nostro paese.
Ciò detto, bisogna sempre ricordare che il servizio militare obbligatorio, quello che per semplicità viene definito di leva, ha assolto funzioni importantissime per il nostro paese. È con i soldati di leva che abbiamo affrontato la prima guerra mondiale che ricorderemo quest’anno nel primo centenario della vittoria e sono i militari di leva che hanno combattuto la seconda guerra mondiale e che hanno operato a favore della nostra popolazione in occasione di molti terremoti, come quello in Friuli, nel Belice ed in Irpinia e durante drammatiche alluvioni come quella di Firenze. Anche se non lo si vuole mai ricordare, i primi “angeli del fango” che intervennero in quell’occasione furono loro, infatti, molto prima che la macchina della solidarietà “civile” si mettesse faticosamente in moto. Con la successiva creazione del servizio di Protezione Civile l’apporto delle Forze Armate in caso di calamità naturali venne ridimensionato, benché sia rimasto centrale, come è stato dimostrato nei recenti terremoti in Emilia e in Centro Italia dove sono i militari i protagonisti assoluti di molti interventi di emergenza non alla portata di altre istituzioni. Inoltre, fu il servizio militare obbligatorio ad assicurarci, nel dopoguerra, la possibilità di avere un ruolo nella NATO, anche se inferiore a quello che avremmo meritato a causa della mancanza di ambizione e di visione strategica della nostra classe politica. Infine, le Forze Armate a coscrizione obbligatoria hanno svolto un ruolo sempre più importante, man mano che i frutti del ‘68 avvelenavano la nostra società portandola ai livelli attuali. Hanno, infatti, svolto un ruolo si supplenza educativa nei confronti della scuola, instillando nei giovani il giusto convincimento di essere parte di una realtà nazionale complessa, la cosiddetta Patria, nei cui confronti ogni cittadino si deve sentire debitore anziché creditore. Buona parte della retorica dei “diritti” che pare giustificare tutte le aberrazioni correnti è derivata dalla scomparsa dell’idea stessa di “dovere” che rappresentava l’asse portante dello sforzo educativo di tutti i Comandanti di allora.”


2/ Il nostro paese, o meglio l’opinione pubblica e la stampa , accetterebbe il servizio militare?
“Purtroppo, sono pessimista al riguardo. Ricordo che quando si decise di passare ad un servizio volontario come l’attuale lo si fece sulla spinta di un’istanza al cambiamento trasversale a tutta la nostra classe politica: se i partiti di sinistra erano favorevoli a questo cambiamento nella ben riposta speranza di sottrarre le giovani generazioni alla citata azione educativa, contraria alla loro tradizionale avversione all’idea di Patria e di Nazione, quelli di centro fecero la stessa scelta sperando in una contrazione delle spese non credendo, per imbambolamento ideologico, che si trattasse di spese necessarie per un paese che aveva inventato la pace obbligatoria con la sua costituzione “più bella del mondo”. I partiti di destra, dal canto loro, speravano forse che una professionalizzazione dei militari creasse una classe più cospicua di professionisti di stampo conservatore, quindi a loro favorevole, dimenticando che la trasformazione della “missione militare” in un “lavoro” come un altro avrebbe avuto un effetto in buona parte contrario. E se ne vedono oggi i risultati deleteri con la spinta alla sindacalizzazione che dalle Forze di Polizia, smilitarizzate da mezzo secolo, comincia a lambire anche alcuni strati della realtà con le stellette, giá sensibilizzata su istanze una volta impensabili come quella della sicurezza sul lavoro, intendendo per esso l’addestramento ed addirittura le operazioni. Credo quindi che un’eventuale ritorno ad un seppur parziale servizio di leva incontrerebbe serie difficoltà, a meno che non sia trainato da un’azione di convincimento nei confronti dell’opinione pubblica che non può essere sviluppato da una sola delle parti politiche in gioco. Inoltre, un provvedimento del genere non può dipendere dalla volubilità di coloro che di volta in volta vengono insediati al governo, col bagaglio di pregiudizi che si portano al seguito nelle loro peregrinazioni partitiche.
A questo punto, vorrei fare una riflessione di carattere più generale, con un occhio alla nostra attualità. Il servizio di leva offriva ai giovani un modo per riconoscersi in qualcosa che li trascendesse e per il quale fosse naturale sacrificare un anno di vita. Nelle nostre caserme questo qualcosa era definito Patria, ma molto più semplicemente era da tutti riconosciuto nel proprio plotone, nella compagnia e al limite nel battaglione, per far fare bella figura ai quali anche quei “dilettanti delle armi” sapevano spesso impegnarsi allo spasimo. Era, in un certo senso, una scuola di democrazia, democrazia vera, nella quale tutti, a prescindere da reddito familiare, estrazione politica e culturale, erano sottoposti alle stesse ingombranti regole ed alla stessa fastidiosa disciplina. Regole e disciplina che erano le levatrici di quello che definiamo normalmente “spirito di corpo” e che fa riconoscere molti di loro nelle associazioni d’Arma che ancora, tra mille difficoltà, sopravvivono. Sostanzialmente, le Forze Armate a coscrizione obbligatoria rispondevano in buona parte ad un bisogno, soprattutto dei giovani ragazzi, di riconoscersi in un gruppo extra familiare, con i suoi simboli, le sue bandiere e con le sue “uniformi” che li renda riconoscibili e, se necessario, li porti allo scontro con altri gruppi riconoscibili di giovani come loro. È triste vedere che questo vuoto viene oggi colmato dalle tifoserie che perdono voce negli insultanti cori da stadio e nei centri sociali impunemente a caccia di poliziotti da oltraggiare, nelle migliori delle ipotesi.”



3/Cosa ne pensa della mini naja inventata qualche anno fa…..

“…. e miseramente fallita. Penso che, appunto, fosse destinata al fallimento anche perchè si basava su un equivoco: che fosse “l’attivitá” e non la “vita” militare di cui c’era bisogno per proporre ancora alla nostra gioventù quei valori che con la fine del servizio obbligatorio sembravano scomparsi. Insomma, in un generoso tentativo di salvare il salvabile, ci si illuse che bastasse qualche lezione di ordine chiuso in cortile, una marcetta in montagna travestiti da alpini e poche settimane di alzabandiera in caserma, sotto la direzione di Ufficiali e Sottufficiali prestati temporaneamente al ruolo del capo scout, per resuscitare un’educazione che era stata abrogata per acclamazione parlamentare. Al contrario, ai tempi della coscrizione obbligatoria era la privazione coatta della vita familiare, la disciplina vera di chi deve effettuare guardie e corvè, di chi deve addestrarsi anche se non ne ha voglia a trasformare ragazzini in uomini e questi ultimi in cittadini. Insomma, con l’acqua sporca di Forze Armate che effettivamente erano carenti di professionalità abbiamo buttato il bambino.”



4/Eppure, paesi come la Francia pare si stiano muovendo in direzione di un ritorno al servizio militare obbligatorio.

“Non solo la Francia, se è per questo. Ma si tratta di paesi i cui governanti non devono temere di essere esclusi alle prossime vicinissime elezioni, e che quindi sanno operare scelte difficili per l’interesse nazionale, anche forzando l’opinione pubblica. Da noi, invece, il concetto stesso di interesse nazionale ha un suono eversivo che scandalizza tutti i falsi europeisti che pontificano nei nostri dibattiti politici. Pare quasi che per questi sia necessaria la perdita dell’identità nazionale per poter entrare in Europa a pieno titolo. Invece, è vero il contrario, a meno che non si voglia un’Europa “americana” fatta di popolazioni meticce e prive di tradizioni riconoscibili, ottime per essere sfruttate dal Mercato Globale, il Moloc che sta distruggendo tutto.
Tornando al punto, pare che Macron voglia una specie di Guardia Nazionale di coscritti da affiancare alle Forze Armate professionali per finalità più specifiche di controllo e difesa del territorio nazionale. Insomma, da impiegare anche in quell’operazione Sentinel che corrisponde entro certi limiti alla nostra “Strade Sicure”, un’operazione dal nome banale per un’attività altrettanto banale di supporto alle forze di polizia. Oggi, infatti, impieghiamo militari di alta specializzazione e di natura professionale per compiti di piantonamento di alcune aree cittadine, magari agli ordini del funzionario di turno in Questura, senza utilizzare le capacità di pianificazione dei nostri Quadri, relegati al ruolo di semplici inquadratori dei propri uomini. Certamente, per un’attività del genere non è necessario un militare addestrato a guidare da terra un attacco aereo o a impiegare sistemi d’arma e di comando e controllo complessi, in contesti multinazionali. I militari di leva sarebbero sufficienti e consentirebbero di impiegare i professionisti per la loro attività principale che, come noto, non è il gioco delle carte ma l’addestramento.
Inoltre, il ritorno in qualche misura di un servizio militare obbligatorio consentirebbe di ricostituire una “riserva” vera che consenta di affrontare con maggiore sicurezza un momento storico molto delicato e nel quale non sono da escludersi esigenze di difesa militare alle quali ci siamo disabituati. Certamente non è la “riserva selezionata”, infatti, lo strumento idoneo a costituire unità operative con le quali sostituire o integrare quelle “normali”. Ma non è un compito facile. La professionalità che avevamo acquisito in oltre un secolo di operatività dei Distretti Militari ormai è persa e dovremo riacquistare capacitá di chiamata, selezione ed accasermamento da tempo dimenticate.”

5/Secondo molti esperti, le guerre simmetriche che richiedevano forze armate cospicue sono ormi relegate ai libri di storia.

“Mi permetto di dissentire. Era simmetrica la guerra di vent’anni fa nella vicinissima Jugoslavia; simmetrica è stata una parte importante della guerra in Ucraina, sempre pronta a riaccendersi quando sarà nell’interesse di qualcuno, anche se è stata definita “ibrida” da qualche amante dei neologismi militari; simmetrica è stata quella in Libia ed altrettanto simmetrica quella brutale in Siria, tuttora in corso e a rischio costante di portare allo scontro diretto Russi e Americani. E noi con loro. Tutte guerre, come si vede, pericolosamente vicine alle nostre coste. La realtà è che molti cercano di occultare per pregiudizio ideologico o per convenienza politica o finanziaria una realtà lapalissiana: una Forza Armata si basa sulla quantità delle proprie risorse almeno quanto sulla loro qualità. Per questo, un Esercito ridotto a contenitore di capacità di nicchia per quanto significative non sarebbe altro che un insaporitore di piatti altrui, senza una adeguata disponibilità di unità di manovra, prime fra tutte quelle pesanti, che gli assicurino una capacità propria di incidere sulle crisi.”


6/ Il servizio civile era una alternativa al servizio militare . Ora è qualcos’altro? Cosa ha funzionato e cosa non ha funzionato?

“Su questo punto sarò brevissimo: il cosiddetto servizio civile a mio avviso ha soprattutto l’effetto, o forse lo scopo, di presentare un’opzione a-militare ai giovani in cerca di lavoro e si concreta nell’offrire ad una parte di questi un interessante “sussidio” economico per starsene a casa anziché indossare le stellette. É anche per questo, forse, che rischiamo un drastico calo di richieste di arruolamento nelle Forze Armate che costringe ad abbassare gli standard fisici per coprire almeno parte delle esigenze delle unità.”



7/ Che ruolo pensa possa svolgere l’ ANPDI e più in generale cosa potrebbero fare le associazioni d’arma, in un ipotetico progetto di ripresa della leva?
“Credo che le Associazioni d’Arma possano aiutare le Forze Armate sotto il profilo della comunicazione. Ma non credo che possano avere un ruolo attivo nella selezione e nell’addestramento che deve essere lasciato alla responsabilità di professionisti a tempo pieno e non a scartamento alternato. Sostenere il contrario è velleitario e pericoloso.”

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