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Pubblicato il 23/01/2014

LUCA MICHELI, CONGEDATO , 47 ANNI, BASE JUMPER A BOLZANO


RASSEGNA STAMPA – QUOTIDIANO ALTO ADIGE DEL 23 GENNAIO 2014

BOLZANO Luca Micheli, dipendente provinciale bolzanino di 47 anni, ha un paracadute tatuato sulla spalla e una roulotte parcheggiata all’aeroporto di Ravenna, dove coltiva la sua passione per i lanci. In carriera ne ha fatti più di un mille ed è convinto che non si possa lasciare nulla al caso. La sua passione per il volo lo ha portato a provare sia il parapendio che il base jump, in Trentino ma anche negli Stati Uniti, dai 148 metri del Perrine Bridge in Idaho e in Norvegia a Kjerag. Gli piacerebbe farlo (quasi) tutti i giorni ma di sponsor nemmeno l’ombra, quindi meglio tenersi stretto il lavoro come assistente tecnico in Provincia e librarsi in volo sui panorami mozzafiato di mezzo mondo appena c’è la possibilità di ottenere qualche giorno di ferie. «Non ho mai pensato di fare l’istruttore di paracadutismo a vita. Solo pochi di loro guadagnano bene». Partiamo dall’inizio. Quando è iniziata questa sua passione per il volo? «Ventisei anni fa, durante l’anno di naja, nei paracadutisti della Folgore. E già allora facevo lanci notturni. Ma in realtà la passione vera è nata prima». Quando? «In prima superiore sognavo di fare il pilota per l’Alitalia, ma avrei dovuto trasferirmi a Forlì per diventare pilota aeronautico. Il diploma, invece, l’ho preso all’Iti di Bolzano dove sono diventato perito elettronico». Si è lanciato con il paracadute anche a Bolzano? «Si, soprattutto negli anni Novanta e prima che l’aeroporto diventasse commerciale mi sono trasferito, come base, a Ravenna». Ma lì dorme in roulotte? «Si, ma non sono il solo. Ci sono più di venti appassionati di Milano, Pavia e Udine. Andare in albergo ogni volta costerebbe troppo. Ecco allora l’idea della roulotte, perlinata, con tanto di moquette, dove dormire e tenere tutto il materiale». Quanti lanci ha fatto? «Un migliaio, ma l’italiano che ne ha di più, Max Fiorini, è arrivato a più di 12 mila». Si è cimentato anche con il base jump? «Si, di lanci ne ho fatti una cinquantina. Nella zona di Arco in prevalenza ma anche con diversi amici negli Stati Uniti e in Norvegia. In Alto Adige siamo in tre a praticare il base jum, che è meno sicuro del paracadutismo, sport nel quale bisogna avere la vela aperta a 750 metri e c’è anche la garanzia del paracadute d’emergenza. Si apre, in automatico, a 220 metri se si ha la capsula elettronica vario-barometrica. Nel base-jump ti lanci anche da meno di 150 metri e non servirebbe a niente avere un secondo paracadute». Di questi sport si può campare? «Purtroppo no, si tratta di casi isolati». Gli sponsor sono solo per pochi fortunati? «Si, ed è il caso di Baumgartner con la Red Bull». Sfatiamo un mito: il base jump si fa con la tuta alare? «Nel 90% dei casi non si fa ricorso alla tuta alare, anche perché quest’ultima ha bisogno di 200 metri per gonfiarsi ed entrare in pressione. Quindi non si usa dai grattacieli, dai ponti e dalle antenne. Fare base jump – e lo dico per chi ha poca dimestichezza con questo sport – significa lanciarsi senza aereo da quattro punti: B (buildings, edifici), A (antenne), S (span, ponti), E (Earth, terra, monti e rocce). Un’esperienza tutta da vivere».

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