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Pubblicato il 02/03/2014

MISSIONI ALL’ESTERO: SOSTEGNO PISCOLOGICO A CHI RIENTRA


PARMA- Per i militari di rientro dall’Afganistan c’è un pericolo , e non il meno grave: lo stree da rientro in famiglia e, tra i tanti disagi, lo sconforto che potrebbe colpire i papà e le mamme quando il loro bambino , dopo tanti mesi di assenza, incomincia a piangere senza sosta appena lo prendi in braccio, come farebbe con un estraneo.
«Cerchiamo di gestire al meglio il rientro a casa, preparando i nostri ragazzi all’eventualità che i loro bambini, soprattutto se molto piccoli, possano non riconoscerli- ” dice il tenente Lucia Grasso, siciliana , psicologa militare, in missione a Herat – “Sono momenti terribili. Di questi tempi, i mezzi tecnologici come skypeaiutano di certo a non perdere il contatto visivo con i propri cari anche quando si è in missione, ma la ricostruzione della relazione resta comunque difficile». E se a questo tipo di dolore non si è mai preparati abbastanza, la sofferenza appare ancor più senza via d’uscita quando ci si trova coinvolti in un incidente – e in Afghanistan per incidente si intende spesso un agguato con esiti mortali – e non si vede più tornare un commilitone o si perde l’integrità fisica. La gestione immediata del post incidente avviene entro 24/48 ore dall’evento, attraverso undebriefing. Una riunione, cioè, durante la quale ogni partecipante descrive la propria esperienza e cerca di elaborarla. «Ognuno reagisce a modo proprio. Le conseguenze del trauma, che sono normali finché non impediscono il normale svolgimento della propria vita, possono nascondere l’insorgere di una sindrome post-traumatica da stress», spiega Lucia.
Su cosa sia nello specifico questa minaccia con la quale ogni militare può trovarsi a dover fare i conti, la psicologa è precisa. «I sintomi sono descritti nel DSM4, il manuale dei disturbi mentali. Se un piccolo stimolo ricorda subito l’evento, se si perdono sonno e appetito e si cade nell’isolamento sociale, probabilmente si ha questo tipo di disturbo. Se nessun sintomo del genere si manifesta entro sei mesi dai fatti, si può ritenere che il ragazzo abbia superato lo shock».
La sensibilità e l’esperienza dello psicologo di contingente, dunque, possono evitare che un militare perda la lucidità necessaria per riprendere in mano la propria vita dopo le dure prove alle quali la sua professione spesso lo sottopone.

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