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Pubblicato il 22/08/2016

MORTE AL LANCIO DEL CAPORALE LAMANTIA A RAVENNA: LA CASSAZIONE SCRIVE “IL PARACADUTISMO E’ UNO SPORT E NON UNA ATTIVITA’ MILITARE”.

DEPOSITATE LE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA SULLA MORTE DEL CAPORALE LA MANTIA

I giudici della corte Suprema, depositando la sentenza del caso La Mantia, affermano un principio: “Gli istruttori di paracadutismo ( dell’ANPDI, ndr) nella loro posizione di garanzia hanno l’obbligo di ridurre al minimo il margine di rischio connesso a questa attività”.

La Corte di cassazione, con la sentenza 35263, conferma la condanna di due ricorrenti su tre ( assolto Mirko Schenetti, condanne confermate per R.C. e A. T. , ndr) per la morte del caporale La Mantia che al primo lancio era caduta ed affogata in un laghetto.

Secondo gli imputati che ricorrevano in cassazione l’”aviolancio” deve essere considerato un’attività militare e come tale, oltre che soggetto a rigide regole gerarchiche, è suscettibile di produrre gravi danni all’integrità fisica e psichica: e va messa nel conto anche la perdita della vita compresa.
Per i giudici, al contrario. il paracadutismo, sebbene di interesse militare, è uno sport disciplinato da norme diverse da quelle valide per i militari impegnati nelle esercitazioni.
Certamente è un’attività pericolosa soggetta al cosiddetto rischio consentito, il cui esercizio non è vietato malgrado il pericolo, perché considerata socialmente utile.
Ma proprio l’assenza di un rischio zero lontano dall’ indurre ad una sorta di “fatalismo”, deve portare ad adottare tutte le precauzioni possibili, alla luce del buon senso e dei mezzi tecnici disponibili, per ridurre la possibilità di incidenti.
Dicono i giudici: “L’obbligo di garanzia non è attenuato ma rafforzato. Certo non può essere addebitata agli istruttori o agli organizzatori la responsabilità di un’errata manovra o di un evento atmosferico imprevedibile, ma è sicura la condanna, come nel caso esaminato, quando non si valuta attentamente il vento, l’area di lancio e la vicinanza di zone di rischio”


Corte di cassazione – Sentenza 35263/2016

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