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Pubblicato il 21/03/2018

NUNZIATELLA: QUALCHE GIOVANE IN GAMBA C’E’ ANCORA GRAZIE A DIO

GLI ANTI BAMBOCCIONI IN DIVISA E NIENTE SOCIAL

di Angelo Allegri
Il Giornale

«Telefonino e tablet? Certo che li usiamo. Abbiamo mezz’ora dopo cena, dalle 20.30 alle 21: chiamiamo casa, leggiamo le notizie. La tv, invece, non la guarda praticamente nessuno. Ce n’è una sola, in una stanza che non ha nemmeno le finestre. A me personalmente non interessa, e poi abbiamo poco tempo». Pietro Orlando, casertano, alla Nunziatella è uno dei vecchi, un allievo del terzo anno, o, come si dice qui visto l’inquadramento militare, della terza compagnia. Come anziano ha il privilegio di potere usare lo scalone d’onore dello storico palazzo al centro di Napoli e non solo le scalette laterali, di potere camminare lungo i corridoi, e può permettersi qualche libertà in più con i capelli, che devono essere corti ma non proprio tagliati a zero. Privilegi dell’anzianità, appunto, perché gli allievi del primo anno, appena entrati nella più antica scuola militare d’Italia e probabilmente d’Europa, devono sottostare alle regole della tradizione, il «cappellonaggio»: con le teste rasate a uovo come marines appena arruolati, sono sempre obbligati a correre quando si trovano ai piani bassi della scuola; e prima di andare a pranzo devono completare, sempre di corsa, l’intero perimetro del cortile. Per tutti, dal primo al terzo anno, una volta entrati in mensa, vale la stessa regola: vietato sedersi. Si resta in piedi, schierati accanto ai tavoli, per scattare sull’attenti quando entra il comandante, e solo dopo che questi ha ordinato il riposo, si può finalmente mangiare.


È la vita dei soldati, oggi come una volta. Solo che a farla, a rinunciare a comodità e social, sono ragazzi dai 16 ai 18 anni che alla fine dei primi due anni di liceo decidono di fare, all’apparenza, una scelta controcorrente: entrare in una scuola militare. Eppure, nonostante tutto, alla generazione dei bamboccioni (Padoa-Schioppa dixit) o degli sdraiati (copyright Michele Serra), la disciplina e le divise sembrano piacere forse più che nel passato: fino a qualche anno fa gli istituti militari in Italia erano due (la Nunziatella, appunto, e a Venezia il Morosini della Marina), oggi sono quattro, dopo la riapertura della Teuliè di Milano e la nascita a Firenze della Douhet dell’Areonautica (l’ultima ad avviare l’attività, nel 2006).


SFIDE E IMPEGNO
Solo alla Nunziatella ogni anno le richieste di iscrizione sono un migliaio; da aprile a luglio i ragazzi che sognano di indossare la divisa affrontano una serie di esami, test logici e culturali, prove di efficienza fisica, colloqui. L’anno scorso a farcela sono stati una novantina. C’è chi ha tradizioni familiari legate alla vita militare e chi invece no. «Mio padre fa il tassista e mia madre è casalinga», racconta Sofia Agostini di Palestrina. «Io ho fatto domanda perché cercavo qualcosa che mi mettesse alla prova. Nella scuola che frequentavo quando ero a casa non trovavo stimoli, i professori un giorno c’erano e poi sparivano, in pochi avevano voglia di impegnarsi».
Le donne sono ammesse dal 2009 e in quell’anno fu stabilita una sorta di quota rosa di 15 allieve. Poi la corsia riservata fu abolita e adesso tutto si basa sul punteggio, senza differenze; nell’ultimo corso le ragazze sono 23, ma ogni tipo di rivendicazionismo para-femminista appare lontanissimo: «Molto semplicemente ognuna di noi ha la possibilità di seguire la sua strada», dice un’allieva. Ancora più chiaro un collega, Jacopo Celi di Urbino: «Qui di distinzioni di genere non ce ne sono. L’unica distinzione che conta è quella del merito».
In nome del merito i ragazzi si sottopongono a un tour de force quotidiano: sveglia alle 6.30, alzabandiera alle 7.55, alle 8 in punto si va in aula dove si rimane fino alle 13.35. Una mezz’ora di tempo per il pranzo e poi si ricomincia con lo studio e le attività sportive (dall’equitazione all’atletica leggera fino alla scherma). Gli impegni sono scanditi dall’inno di Mameli e dalla tromba che sostituisce la campanella al momento del cambio dei professori. Dopo la cena ci sarebbe lo spazio per un po’ di tempo libero. Almeno teoricamente, perché, a giudicare da quanto raccontano gli allievi, in molti usano anche le ore serali (fino al contrappello delle 22.30) per esercizi e ripassi. «Diciamo che qui si impara a organizzare il proprio tempo», dice Francesco Pio Marino, al secondo anno, di Ancona. «E anche per questo alla fine si apprezzano anche di più i momenti liberi, che a molti fuori di qui sembrano scontati». La libertà coincide essenzialmente con le uscite del mercoledì pomeriggio e del fine settimana quando gli allievi svestono l’uniforme ordinaria per la divisa storica con il caratteristico kepì, ed escono dalla sede Cinquecentesca sulla collina di Pizzofalcone, appena sopra piazza del Plebiscito.

IL PESO DELLA STORIA
Per Napoli la Nunziatella è un’istituzione e a farla apprezzare ancora di più è probabilmente la sua origine borbonica. Fondata nel 1787 come Reale accademia militare, preparava la classe dirigente del Regno delle due Sicilie, compreso Carlo Pisacane, che ai Borboni si ribellò fino alla morte nella spedizione di Sapri. Una volta arrivati i Savoia la scuola non ebbe problemi. Anzi. Alla Nunziatella studiarono sia Vittorio Emanuele III, sia uno degli esponenti più in vista del ramo collaterale dei Savoia Aosta, Amedeo, l’eroe dell’Amba Alagi, vicerè dell’Africa orientale italiana.

In epoca repubblicana il suo ruolo non è cambiato: una buona parte dei vertici delle Forze armate degli ultimi 60 anni si è formata qui. Ma non solo: a intraprendere la carriera militare è solo il 40% degli allievi, gli altri molto spesso si fanno strada nella vita civile. Tra chi ha ha studiato alla Nunziatella ci sono grand commis di stato come Alessandro Ortis, ex presidente dell’Autorità per l’energia, un presidente della Corte costituzionale, Ettore Gallo, ministri come Arturo Parisi (vedi anche il grafico in pagina; ndr).
Da un paio d’anni a guidare la scuola è un colonnello di fanteria di 48 anni, Fabio Aceto, arrivato all’incarico dopo una lunga serie di comandi operativi, tra l’altro in Kosovo e in Afghanistan. Sul suo biglietto da visita ha aggiunto al grado anche la dizione «Dirigente scolastico». «È una parte del mio lavoro: siamo un reparto militare, ma anche un liceo come tutti gli altri», dice. «Magari con l’ambizione di dare qualcosa in più. Cerchiamo di offrire competenze scolastiche di livello, ma la nostra presunzione è quella di essere una scuola di metodo, di carattere, di spirito di sacrificio. E a fare la differenza sono gli allievi, la loro capacità di motivazione. Chi è qui ha una marcia in più». Livia Fascia, il braccio destro del comandante per le questioni scolastiche, docente di inglese con dottorato in Gran Bretagna, racconta un aneddoto: «Poco tempo fa abbiamo fatto un consiglio di classe e i rappresentanti dei ragazzi hanno sollevato un problema. Avevano saputo che in un liceo non lontano da qui erano più avanti di noi nel programma e volevano sapere come mai. Sono sempre loro ad alzare l’asticella».

ABBANDONI
Come ovvio, non sono, solo rose e fiori: l’impatto dei ragazzi della generazione del tutto è permesso con la durezza della vita militare, si fa sentire. Attualmente la scuola ha 207 allievi, potrebbe ospitarne qualche decina in più ma deve fare i conti con gli abbandoni. Per molti nel corso del primo anno la scoperta di regole e disciplina si rivela troppo forte. Se chi lascia lo fa entro il primo mese viene rimpiazzato da chi è arrivato dopo in graduatoria, poi si aprono dei vuoti. Eppure, chi rimane non si lamenta: «Certo, la disciplina è faticosa e per essere puniti basta poco: l’uniforme in disordine, un ritardo all’adunata, il letto sistemato male. Ma dopo il rodaggio dei primi mesi si impara e ci si adatta alla svelta. Tutto serve a raggiungere gli obiettivi che ci si è prefissi».
L’altra faccia della medaglia è il senso di cameratismo che, giurano gli allievi, si crea alla svelta e dura nel tempo. Christian Bisson, di Carmignano sul Brenta, in provincia di Padova, aspirante alpino, è tra i più lontani da casa: «In Veneto per forza di cose non torno spesso, ma durante i fine settimana sono praticamente sempre a casa di chi abita più vicino. È una tradizione: chi può, ospita i compagni di corso». E forse è anche per questo che per l’ultima cerimonia di giuramento, nel settore a loro riservato in piazza Plebiscito gli ex allievi presenti erano una folla: più di 1.500.
ANGELO ALLEGRI

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