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Pubblicato il 22/02/2018

OTTO ANNI DI PROCESSI PER UNA CARTUCCIA PARABELLUM

La Corte di Cassazione, con la sentenza 6371/2018 si è occupata delle sanzioni per chi viene trovato in possesso di pallottole parabellum. Nel caso specifico: reclusione se si viene trovati con una munizione per arma da guerra oppure arresto o ammenda se si viene sorpresi con una cartuccia per arma comune da sparo.

La Corte di Cassazione la scorsa settimana, dopo otto anni, ha accolto il ricorso per la diminuzione della pena con una sentenza che entra nel merito balistico della distinzione tra i vari tipi di cartuccia.

Il proiettile calibro 9 “parabellum” , sequestrato dai carabinieri all’imputato non era una munizione da guerra, come l’aveva considerata il Gup di Sassari che aveva calcolato la pena di cinque mesi.
La difesa sosteneva che fosse una munizione per arma comune da sparo, quindi con una pena assai attenuata per chi la deteneva. La settima sezione della Suprema Corte ha dato ragione al ricorso: la definizione di “parabellum” come «munizione per arma da guerra» contrasta con una sentenza storica, la 3159/89, che contiene la esatta definizione distintive delle munizioni da guerra. Tra queste, ricordano nella loro sentenza numero 6371/2018 i giudici della settima sezione, non ci sono le cartucce cal.9 “parabellum” che, a dispetto del nome, «devono essere considerate munizioni di arma comune da sparo, la cui detenzione integra la contravvenzione prevista dall’articolo 697 del codice penale». «è stato infatti precisato – scrivono i giudici – che il criterio della peculiare potenzialità offensiva che connota le armi e le munizioni da guerra non è risolutivo, atteso che la pistola semiautomatica calibro 9X21, modello di arma corta con caratteristiche balistichge quasi identiche a quella della pistola 9X19, è normativamente qualificata come arma comune da sparo e neppure la destinazione esclusiva all’armamento delle forze armate può assumere, nel caso della pistola semiautomatica 9 parabellum, un ruolo decisivo ai fini della sua classificazione giuridica come arma da guerra». Insomma, hanno concluso i giudici della Cassazione, l’imputato meritava la condanna a una contravvenzione e non il carcere. Il reato,nel frattempo, si era prescritto . Non i soldi del contribuente, che sono stati spesi.

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