OPINIONI

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Pubblicato il 20/03/2017

PARIGI- ISLAMICO DISARMA LA “SOLDATA”

Soldato Jane o soldata Jane?
di Vincenzo Di Guida

Ora siamo giunti davvero al colmo.
In un articolo di “La Repubblica” del 18 marzo 2017 a firma di Giovanni Gagliardi e Piera Matteucci (NDR: Parigi, attacco all’aeroporto di Orly: “Morirò per Allah”. Nello zaino una tanica di benzina) si riferisce del fatto terroristico accaduto all’aeroporto di Orly in Francia dove una soldatessa è stata disarmata da un terrorista.
Solo che il termine soldatessa è diventato soldata.
Questo è solo l’ultima orribile trasformazione di genere di parole, specie titoli e qualifiche professionali o incarichi politici e istituzionali, che fino a poco tempo fa nessuno pensava potessero essere declinati al maschile o al femminile.
Così che sindaco diventa sindaca e ministro diventa ministra e a me (che ci volete fare?) viene l’assonanza del tutto ingiustificata, ma che mi fa sorridere, con minestra.
Ed ancora taluni scrivono avvocata piuttosto che avvocato, medica invece che medico o dottore, ingegnera anziché ingegnere, chirurga, questora, e così via discorrendo.
Solo pochi mesi fa, addirittura, un prefetto donna si adombrò perché il suo interlocutore, per paura di commettere una gaffe linguistica, preferì appellarla con deferenza Signora piuttosto che prefetta.
Il dibattito, che appassiona anche l’Accademia della Crusca, storico consesso al quale appartengono illustri luminari della lingua italiana, mi trova perplesso e a un tempo divertito.
Taluni, difatti, sostengono che è un problema di retaggio culturale piuttosto che linguistico e, a sostegno di tale tesi, annotano che mentre esiste il femminile di qualifiche non considerate di rilievo (ad es. infermiera, maestra, etc.) non esistono i corrispettivi femminili per le professioni più ambite o per i ruoli istituzionali più importanti essendo tali mansioni, ritenute di maggior prestigio sociale, storicamente (e maschilisticamente) appannaggio degli uomini.
Tutto giusto ma, sorridendo a questo femminismo di ritorno (così come mi fa sorridere ogni atteggiamento di machismo sborone), mi chiedo se davvero le donne hanno bisogno del fatto formale di storpiare una parola come affermazione di una sostanza professionale che, invero, poggia su ben altre e più concrete premesse.
Ritornando alla soldata di Orly, dovremmo quindi riscrivere tutti i gradi militari? Se si, allora avremmo (in ordine ascendente di grado militare): soldata, caporala, sergenta, marescialla, tenenta, capitana, maggiora, tenenta colonnella, colonnella, generala e naturalmente, sopra tutti, la ministra della difesa.
Non parliamo, poi, delle varie armi e specialità dell’esercito poiché l’appellativo di bersagliera, ed ancor più di folgorina, ricordando le procaci e disponibili donnine che popolavano i dintorni delle nostre caserme alla libera uscita, potrebbe ben suscitare il (giusto) risentimento delle colleghe con le stellette.

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