EL ALAMEIN

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Pubblicato il 28/07/2011

RACCONTI INEDITI DELL’ARTIGLIERE PARACADUTISTA DI EL ALAMEIN GAETANO PINNA – LUGLIO 1942


DAL DIARIO DI “TANO PINNA”- ARTIGLIERE PARACADUTISTA E LEONE DI EL ALAMEIN.
LA PARTENZA PER L’AFRICA: LUGLIO 1942
PRIMA PUNTATA

a cura di Maurizio Pinna


La partenza dall’aeroporto di Galatina di Lecce, il volo senza scorta sul Mediterraneo, l’arrivo a Derna Fatheia.I paracadute vanno a Derna, gli uomini con il camion raggiungono Tobruch,lungo la via Balbia, sotto il sole e la polvere.
L’acqua è salmastra, le carcasse dei carri armati e dei camion sono un lungo rosario ai lati della strada.
Si attraversa Martuba, poi a destra per el Mechili, poi a Tmimi,
a sinistra c’è il golfo di Bomba, poi Ain el Gazala.
La prima notte africana, il freddo notturno,la rabbia per essere partiti paracadutisti ed arrivati fantaccini, con Malta è sempre là, a schizzare fuori aerei e navi sulle linee di rifornimento.
Siamo alle porte di Alessandria d’Egitto, a due passi dal Canale di Suez, potremmo essere utilizzati per creare una testa di ponte in caso di avanzata…Invece ci portano a fare i fanti! Non sarà vero, è una pazzia, un tradimento, un’assurdità.Questo il pensiero di tutti nella prima notte africana.Poi si riparte, prima di Tobruch si svolta per El Adem, un altro campo d’aviazione, la sosta per il ghibli.
I racconti degli autieri, le gesta di Rommel, i viveri e gli equipaggiamenti inglesi.Poi agli aerei che porteranno tutti all’altro aeroporto, quello di Fuka, un volo sopra la pista per Bir el Gobi, per Giarabub, sopra il distrutto fortino della ridotta Capuzzo,
da Fuka ancora in camioncino a El Daba, la base logistica.
Si” trova” del materiale abbandonato, proteste tedesche, facce da bronzo italiane…per sopravvivere. Il fronte si avvicina.
Le voci si accavallano, gli inglesi perdono carri, noi siamo senza carburante. Poi la partenza per il Passo del Cammello.



Ceglie Messapico 17 luglio ’42, venerdì

Una cosa è certa, partiremo da Lecce per l’Africa.
Non si conoscono né il giorno, né l’ora.
Normale.
Del viaggio e del mezzo si parla già da qualche giorno, da troppo direi, quindi se il “salto” da Lecce a Derna andrà bene verrà dire che occhi ed orecchi nemici non hanno “percepito” niente.
Altrimenti rappresentiamo un bel boccone prelibato.

Ceglie Messapico 19 luglio ’42, domenica

Siamo rientrati al campo dalla solita esercitazione, tutti nelle tende, silenzio perfetto. Ordine:” Sfate le tende! In silenzio!”.
In libera uscita abbiamo speso ogni risparmio.
Toni Penna era in bolletta: “Tano mi presti qualche lira?”
Avevo cinquecento lire, gliene ho date duecento.
Tutti abbiamo voglia di spendere: cena, cinema, donnine.
Chi può immaginare gente gaudente prossima a partire per la guerra?
Ho girato un po’ per le vie di Lecce, belle vie, discreti palazzi, chiese barocche. Abbordaggio impossibile o quasi, nei confronti delle ragazze.

Ceglie Messapico|Galatina\volo sul Mediterraneo\ Derna\Ain el Gazala 20 luglio ’42, lunedì

E’ notte quando arrivano i camion dell’autocentro, arrivano isolati, non in colonna, si carica una sezione, con i pezzi.
Su percorsi differenti i camion raggiungono il campo d’aviazione di Galatina.
Abbiamo con noi i paracadute.
Gli aerei, S. 82, sono dislocati in vari punti del campo.
Sappiamo una cosa certa: atterreremo al campo di Derna Fatheia.
Come fosse un normale spostamento carichiamo il materiale.
Gli ufficiali si raccomandano di non bere durante il volo, perché all’arrivo ci sarà poca o niente acqua, ad ogni modo se ci sarà avrà un sapore poco gradito.
“Attenzione al sole, all’arrivo mettetevi subito il casco coloniale” ci dicono.
La notte è bellissima, non c’è una nube in cielo, con uno sbalzo di novecento chilometri arriveremo a Derna.
Divisi in gruppi raggiungiamo gli aerei, prendiamo posto.
C’è una calma perfetta, diciamo qualche mezza parola, ma gli occhi di tutti parlano perfettamente, mostrano la nostra allegria, una gioia insolita.
Pazzi? No, è il risultato di una perfetta preparazione psichica, nessuna emotività in noi, ma lucidità, non preoccupazione per ciò che si sta facendo.
Il maggiore Caruso, comandante del Gruppo, non parte con noi, rimane in Italia, il comando lo prende il capitano Curti.
Caruso faceva il leone a Tarquinia, a Viterbo, a S. Maria Capua Vetere, a Ostuni, a Ceglie Messapico.
Precedeva la colonna in marcia, bardatissimo.
Avevamo ragione quando lo …squalificavamo.
Il sergente maggiore furiere Vitolo è in licenza matrimoniale. Anche Agostino Ammazzagatti è in licenza per matrimonio.
Il sten. Krauseneck rimane per la consegna del materiale che non portiamo con noi, poi ci raggiungerà.
Gli aerei si portano sulla pista.
Il personale di bordo del mio aereo è costituito da un tenente e da un maresciallo piloti, da un motorista, da un radiotelegrafista.
Il tenente pilota ci suggerisce di fare dei turni alle armi di bordo, il motorista ci spiega il funzionamento delle mitragliere.
Così ci poniamo in due, a turno, alle armi.
Oltre a fare gli armieri dobbiamo fare anche gli osservatori.
Non ci dispiace, anzi, ci rallegra.
Si parte, qualcuno guarda l’orologio.
L’aereo prende quota al limite del campo.
Sono di turno alla mitragliera di coda, posso osservare meglio di tutti il terreno che si allontana, i campi di stoppie, i covoni di grano, isolate case di campagna.
Dopo circa dieci minuti arriviamo sulla verticale della costa.
Addio Italia, si va verso l’inferno?
Ritornerò?
Quando?
Come?
“Siamo sul mare ragazzi, addio Italia”.
Qualcuno, di rimando, risponde “Ciao Italia”.
Guardo negli occhi i compagni. In più d’uno c’è stato qualche cambiamento d’umore.
E’ naturale, è umano, non andiamo a passeggio.
Da questo momento la morte si è veramente messa al nostro fianco…non solo in cartolina.
Siamo in volo da oltre un’ora, lascio la mitragliera.
Siedo vicino a Jop.
Si è sposato da poco tempo, ma non per questo ha perso la spensieratezza, è sempre pronto allo scherzo, alla macchietta.
Si avvicina il motorista:”Fate attenzione sui 180 gradi, in alto e in basso” dice.
Se ci capitano addosso gli Spitfire siamo spacciati.
Che cosa ne facciamo del paracadute con il mare di sotto?
Il radiotelegrafista può richiedere l’intervento della caccia di stanza in Grecia, a Creta, a Derna, ma ce ne daranno il tempo i piloti della RAF?
Non voliamo alti.
Sotto, una nave naviga verso levante, verso le isole greche.
Un pensiero per i miei genitori, vi rivedrò?
Sono convinto nella predestinazione, non si sfugge al destino!
Il volo continua regolare.
Ogni tanto un falso allarme di “terra, terra!”
Infine eccola, magnifica.
Si scorge bene la costa, lontano, siamo curiosi di vedere il deserto.
Ecco Derna, la perla della Cirenaica, le case, le campagne.
La cittadina si adagia tra il mare nella verde limitata pianura.
Si distingue una moschea con tante cupole ed il minareto.
Dietro, quasi fosse un muraglione, si alza l’altipiano.
Si distingue la strada litoranea, la Balbia, altre strade si inerpicano in grandi tornanti, poi si dividono appena arrivati sul ciglione.
Il motorista fa un cenno:”Attenti siamo arrivati!”.
Confesso, durante il volo non avevo preoccupazioni, ora, però, mi sento alleggerito di un peso.
Siamo sul campo di Fatheia, circa 10 chilometri da Derna, in direzione sud-est.
Qualche aereo ha già toccato terra, una nube di polvere indica l’atterraggio avvenuto.
Il sten Tabelli ci mostra il casco.
Come automi, convinti dell’esistenza del dardo mortale del sole africano, prima di saltare a terra indossiamo il casco.
Appena fuori ci accorgiamo sì della polvere, della novità panoramica per niente esaltante, ma anche del sole che non è più cattivo di quello di Ostuni.
Posiamo lo zaino, lo zainetto, il mitra, l’elmetto, il paracadute.
Scarichiamo i pezzi e le cassette delle munizioni.
Arriva dopo poco una colonna di camion.
Riceviamo un ordine non gradito:”Caricare tutti i paracadute, devono andare a Derna”. Noi saliamo su altri camion, diretti alla base aerea di Tobruch.
Sarà quello il trampolino per il lancio?
Ma allora perché i paracadute vanno a Derna?
Nessuno sa niente, neanche gli ufficiali.
Si fanno tante supposizioni, ma la doppia destinazione ci lascia perplessi.
Se ci siamo portati il materiale da lancio significa che il lancio era previsto?
Però non ci risulta il trasferimento da Tarquinia dei ripiegatori.
Ma allora?
A Tobruch cosa ci andiamo a fare?
Sono le 10,30, inizia il trasferimento verso Tobruch, 170 chilometri.
Ci portiamo sulla litoranea, una lunga striscia di asfalto che va dalla Tunisia al confine egiziano, voluta da Balbo, lunga 1822 chilometri.
La guerra corre su questa striscia d’asfalto.
Si notano rattoppi più o meno sistemati, spesso incontriamo operai intenti a riparare qualche tratto della strada.
La polvere è in abbondanza.
Si comincia ad avere sete.
Il casco non viene indossato da tutti, c’è chi ha pensato di disfarsene.
Ma ci si chiede se poi sarà addebitato.
La strada corre sempre sull’altipiano.
Si incontrano radi boschetti, vasti tratti incolti, qualche macchia di olivastri.
Noto larghi fossati naturali, come letti di torrenti asciutti, sono gli “uadi”.
Incontriamo greggi di capre, poi l’arabo.
E’ avvolto in un mantello, indossa pantaloni molti ampi, ci saluta.
Alla partenza l’autiere ci ha detto di non guardare tanto il paesaggio, e “…se freno di botto, saltate giù, allontanatevi di corsa, il più possibile, i caccia inglesi cacciano anche l’uomo isolato, mollano solo quando si stufano…se arrivano sono guai!”.
Siamo a Martuba, un piccolo villaggio, ci sono molti olivastri, ai bordi della strada alcuni arabi.
Dopo circa cinquanta chilometri la strada corre in pianura.
Un bivio, a destra per el Mechili.
Siamo a Tmimi, a sinistra c’è il golfo di Bomba.
Noto qualche carcassa di camion bruciato.
Ain el Gazala.
Alla destra si leva un costone.
Ci portiamo sotto il costone, si rallenta, la macchina di testa si è fermata.
Finalmente!
Abbiamo fatto una mangiata di polvere!
Ho le guance asciutte, secche, incrostate di sudore e polvere.
L’alito caldo del deserto, il sole di fine luglio, la polvere minuta, dal colore del fuoco, ci hanno dato …il benvenuto.
Da qui ripartiremo domani mattina.
Il sole è a picco, sono le 14.
Non lontano c’è il mare, il costone ferma il vento caldo proveniente dal sud.
Al tramonto sembra che arrivi un debole soffio di brezza di mare.
Qui si passerà la notte, i camion si allontanano e si dispongono in ordine sparso e lontani tra loro.
Osservo numerose buche, alcune fatte ad L, altre sono piazzole di artiglieria.
Mi sistemo in una di queste buche grandi.
Buche, buche, buche…ma noi come le scaveremo le buche?
Non abbiamo una pala, un piccone.
Non abbiamo neanche un cambio di biancheria, almeno io ho indosso solo quello che indosso!
Nello zaino ho una camicia, qualche fazzoletto, la carta da lettere, cartoline in franchigia, matite.
Si attende il rancio discutendo.
Dove sarà la linea?
Corre insistente la voce che siamo destinati a fare i semplici fanti.
Non vogliamo crederci, sarebbe uno scherzo da idioti.
Certo, da idioti!
Ma come, da due anni la scuola di Tarquinia setaccia volontari, si dice che ogni paracadutista costi quarantacinque volte di più di qualsiasi altro soldato e tutto questo per mandarlo a fare il fante?
Malta è sempre là, a schizzare fuori aerei e navi, pronti ad assalirci sulle linee di rifornimento.
Siamo alle porte di Alessandria d’Egitto, a due passi dal Canale di Suez, potremmo essere utilizzati per creare una testa di ponte in caso di avanzata… Invece ci portano a fare i fanti!
Non sarà vero, è una pazzia, un tradimento, un’assurdità.
Gli ufficiali non commentano, ascoltano.
Ci distribuiscono dell’acqua, del rancio secco.
Gli autieri ci avvertono di non sciupare l’acqua, domani potrà anche mancare.
Ci dicono che il Duce è stato qui per alcuni giorni, sembra sia ripartito proprio ieri.
Altre discussioni sul viaggio del Duce.
Ne parliamo assieme a Monti, a Tabelli, a Pirlone, Giusto, Cagliani, Bergami, Ciullo ed altri.
Abbiamo visto e siamo vissuti vicino ai paracadutisti tedeschi a Viterbo.
Non eravamo secondi atleticamente, ma, a parte le armi in dotazione, ogni paracadutista tedesco era in grado di sostituire ogni camerata nei compiti specifici.
Al contrario noi abbiamo una “unica” specializzazione.
Chi potrà sostituire il bravo puntatore ferito o caduto?
Se gli uomini dell’anticarro saranno feriti o uccisi i fucilieri ed i mitraglieri della buca accanto potranno mettersi al pezzo e sparare?
Siamo da 26 mesi in guerra, non dovevamo conoscere le armi del nemico?
Nelle caserme sono state sprecate settimane per l’addestramento formale.
Sarà sempre la nostra superficialità più che la povertà a determinare l’esito della guerra? Aggiungi poi la non sempre buona preparazione dei Comandi…
Ci hanno detto gli autieri, tutti dell’Ariete, che in caso di allarme aereo bisogna allontanarsi, ma non correre se la zona è illuminata di bengala.
La notte è passata nella calma, ho dormito profondamente.
Ho inteso freddo, di mattino la copertina era umida, avremmo dovuto avere un telo di tenda, invece…

FOTO INEDITE

Al centro Siro Ursini, da Pola, nelle strade di Ceglie Messapico il 20 giugno, prima della partenza per l’Africa, con Piozzini a destra e Manetti, tutti della I^ Batteria

Anche una parte dei soldati dell’Afrika Korps sono partiti via aerea dalla Sicilia per l’Africa, ecco uno Ju 52 sul mare, senza scorta, a bassa quota.

Ecco all’interno dello Ju 52 i soldati tedeschi durante il volo verso l’Africa. Da notare il cielo della carlinga, con la lamiera ondulata tipica dello Ju 52-Ma soprattutto i giubbotti salvagente per il personale, che gli italiani …non avevano.

1941 – Foto aerea di Derna, in alto il mare

Ecco la Cirenaica, con la Balbia che si arrampica tra oliveti e campi, appena dissodati e lavorati dai coloni italiani, sullo sfondo il mare.

Aeroporto di Derna, tedeschi appena sbarcati dagli aerei, seduti all’ombra della casupola “sforacchiata”, da notare gli alti “stivali desertici” in tela.

Foto 7La Balbia

Ecco il bivio di Tmimi,con tanto di “pizzardone” della P.A.I. e con le indicazioni stradali per Tobruk e Derna, a lato due “affollati” pali con i cartelli segnalatori dei vari Comandi . ben 19 cartelli su due pali, di cui uno infilato in uno sforacchiato barile per la benzina

Ecco una foto aerea di una parte dell’isola di Malta per lo studio delle coste in previsione dell’invasione e delle zone idonee al lancio dei paracadutisti italiani e tedeschi e per le zone di atterraggio degli alianti della Luftwaffe.

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