CRONACA AGGIORNATA OGNI ORA

Condividi:

Pubblicato il 09/01/2020

RASSEGNA STAMPA- IL GENERALE BERTOLINI- NON BISOGNA SEMPRE SEGUIRE GLI AMERICANI

IL RESTO DEL CARLINO – LA NAZIONE – IL GIORNO DEL 09.01.20

Il veterano dei nostri paracadutisti «Se la missione cambia, andiamo via»

Il generale Bertolini critica Trump: non possiamo seguire sempre gli Usa. «Soleimani ucciso a tradimento»
Il generale Marco Bertolini, già capo di Stato maggiore del comando Isaf in Afghanistan e già responsabile del Coi, Comando operativo interforze, parla con la passione di sempre e conosce i dettagli dello scenario mediorientale come se fosse ancora operativo, quando indossava la mimetica del paracadutista.
I nostri militari sono al sicuro nella base di Erbil l’altra notte sotto attacco dei razzi?
«Erbil da un certo punto di vista è un compound protetto, ci sono i rifugi, è attrezzato all’interno dell’areoporto per una difesa passiva contro gli attentati. I bunker dove si sono rifugiati anche i nostri militari sono idonei. Ma se si passa a una situazione di combattimento, la base va organizzata in altro modo». Erbil è pericolosa, è opportuno che gli italiani restino? «La situazione era complicata anche prima. Tempo fa 4 incursori sono rimasti feriti per l’esplosione di uno Ied, un ordigno artigianale. Il discorso è un altro».
In che senso?
«Noi siamo lì per addestrare i curdi peshmerga contro il Califfato. Arrivammo quando Mosul era occupata, i curdi fronteggiavano lo Stato islamico. Se il governo iracheno è d’accordo sulla nostra permanenza non ci sono motivi per ritirarci. I rischi fanno parte del gioco. Ma se cambiano le finalità della missione è giusto lasciare l’Iraq». Però siamo alleati degli Usa. «Non possiamo seguirli sempre. Soprattutto dopo una scelta che si è concretizzata con l’ uccisione a tradimento di Qassam Suleimani, alto ufficiale di un Paese con cui non c’è uno stato di guerra».
Dobbiamo rinforzare il nostro contingente per la sicurezza?
«Bisogna vedere come va a finire. La prima risposta iraniana con i razzi su Erbil era prevedibile. Se ci sarà una escalation della rappresaglia, prevista dal diritto bellico internazionale, dovremo cambiare assetto con una difesa attiva. Conosco Erbil per esserci stato. Se si dovessse profilare una prospettiva offensiva allora è un’altra storia».
Gli scenari futuri?
«Credo che all’Iraq non convenga inasprire il conflitto. Però il vertice iraniano, non può rimanere inerte. Non credo che la risposta si fermi all’altra notte». Quindi altri attacchi? «Sono possibili altre azioni limitate per salvare la dignità. Le reazioni, però, non sempre si affidano alla razionalità. A volte giocano l’emotività della politica, la rabbia della popolazione».
In Libia rischiamo di essere tagliati fuori dai giochi?
«Abbiamo già perso l’occasione di essere incisivi. Non abbiamo strategia e ci siamo solo accodati all’Europa, vogliamo essere amici di tutti. Sarraj, che rappresenta il governo ufficiale, chiedeva armi e mezzi e noi abbiamo detto no. Per carità le nostre norme, le risoluzioni internazionali… Così è arrivata la Turchia. E la Francia fa passi avanti. Sono Paesi che proteggono i rispettivi interessi».
Già, ma la comunità internazionale…
«Non è un Dio incontrastato, anzi è colei che ha creato la situazione di oggi in Libia. La Francia appoggia Haftar, anche se non è riconosciuto dall’Onu, istituzione di cui noi siamo succubi, privi di una politica autonoma».
La nostra politica in Medioriente? «E’ inadeguata da tempo, non abbiamo strategia di difesa. Guardi cosa succede in Siria».
Che cosa succede?
«Dovremmo seguire la situazione più attentamente, è vicina a noi, ma anche lì non siamo protagonisti. Lasciamo fare agli altri con scelte provinciali e sbagliate. Non sempre in certe zone del mondo si risolvono i problemi con le nostre leggi e la nostra cultura politica. Dove c’è la guerra è il cannone che decide e non le buone intenzioni»

Leggi anche