CRONACA AGGIORNATA OGNI ORA

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Pubblicato il 15/06/2016

RASSEGNA STAMPA: LA NAZIONE PARLA DELL’OMICIDIO MANDOLINI

LIVORNO CRONACA pag. 5 LA NAZIONE –

«Qualcuno sa la verità ma non la racconta»

UN GRIDO ha squarciato il silenzio della Scogliera del Romito il 13 giugno per il ventunesimo anniversario dell’omicidio di Marco Mandolini. «Folgore». Ad andare a trovare Marco Mandolini alla lapide che è sulla scogliera del Romito è stato un amico che vive in Toscana non a Livorno e che ha chiesto per motivi di riservatezza e anche della indagini in corso di non pubblicare il nome. Ecco cosa ha raccontato a La Nazione: «Marco era il mio comandante. Ma per me era e resterà sempre un amico. Una persona eccezionale, con grandi valori. Qualcuno sa la verità ma non la racconta. Come si fa ad aver ucciso un incursore del Col Moschin? Io come altri amici di Marco oltre ovviamente ai suoi familiari vogliamo la verità». QUEST’ANNO i familiari di Marco Mandolini non ce l’hanno fatto a raggiungere Livorno da Castelfidardo dove vivono, ma ovviamente il 13 giugno il pensiero di quel coingiunto ucciso è stato ancora più forte nei loro cuori. Raccontano il fratello Francesco ed il nipote che porta lo stesso nome dell’incursore del Col Moschin: «Abbiamo affiancato alla lapide una foto di Marco, una foto in divisa. Stiamo lottando per la verità e per la giustizia. Non smetteremo mai di farlo». Mamma Lina è volata in cielo senza sapere chi le ha ucciso il figlio. E sulla pagina Facebook le adesioni sono circa tremila. Maria Nudi

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Ora la Procura prende tempo Dopo 21 anni, prorogate le indagini

Il fratello Francesco: «Vogliamo sapere perché Marco è stato ucciso»
di MARIA NUDI – LIVORNO – A DISTANZA di 21 anni precisi – era il 13 giugno del 1995, il giallo del Romito dove fu massacrato il caposcorta del generale Bruno Loi in Somalia, maresciallo Marco Mandolini, incursore del Col Moschin, militare preparato professionalmente e che metteva nel proprio lavoro passione e dedizione – la vicenda ha un nuovo risvolto. Un risvolto tecnico, ma comunque importante: la Procura della Repubblica, che sta indagando per la seconda volta per risolvere il mistero della morte violenta del militare, ha deciso di prorogare le indagini. LA NOTIZIA ha un significato preciso: la volontà dopo gli ultimi sviluppi investigativi (sono stati sentiti molti colleghi del militare in tutta Italia fino a Treviso e sono stati fatti degli esami medico scientifici prelevando ad alcuni militari ed ex militari il Dna, ndr) di arrivare fino in fondo alla soluzione del mistero e riuscire a dare un volto all’assassino della Scogliera. Quel 13 giugno del 1991 Marco Mandolini fu ucciso con violenza inaudita: quaranta coltellate in totale. L’omicida lo colpì agli arti, al torace, al costato e alla gola. E non ancora pago afferrò un masso di 25 chili e riuscì a colpire alla testa l’incursore. Un massacro, riuscendo a scappare. Nessun testimone. L’assassino agì in un luogo appartato la scogliera del Romito. Marco Mandolini quel 13 giugno in cui fu ucciso era in vacanza a Livorno reduce da un ricovero ospedaliero per problemi di salute sui quali investigarono gli inquirenti, aveva mangiato alla mensa della caserma «Vannucci» e poi come nelle migliori rimpatriate aveva offerto da bere agli amici e dopo i saluti salì sulla sua Mercedes station vagon per andare in spiaggia. Aveva un appuntamento? E’ presumibile di sì e con il suo assassino. IL CAPOSCORTA del generale Bruno Lori non fece in tempo ad arrivare sulla riva del mare perchè l’aggressione iniziò mentre stava scendendo sulle rocce. Un’aggressione alle spalle: un duello senza esclusioni di colpi dal quale il militare non salvò la pelle. La prima inchiesta terminò nel 1999, quattro anni dopo, il caso fu archiviato. Ora la Procura della Repubblica è intenzionata a dare una soluzione a quel mistero. La famiglia di Marco Mandolini non ha mai smesso di cercare verità e giustizia. «Andremo avanti – spiega il fratello Francesco – fino a quando non sapremo perché Marco è stato ucciso».

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