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Pubblicato il 02/05/2016

RASSEGNA STAMPA: LIMES PARLA DEL COMBATTIMENTO USA NELLE MEGALOPOLI

LIMES – 2 MAGGIO

L’ESERCITO DEGLI STATI UNITI ALLA SFIDA DELLE GIUNGLE URBANE

2/05/2016

Le Forze armate piu` potenti del mondo non sono ancora pronte ad affrontare lo scontro nelle megalopoli, ma questa dimensione bellica e` ormai ineludibile. Dalla mentalita` di guarnigione a quella di spedizione. Il ruolo della squadra di fanteria.

di Federico Petroni


Le citta` sono l’equivalente postmoderno delle giungle e delle montagne, fortezze dello spossessato e dell’irreconciliabile.
R. Peters1

L’ESERCITO DEGLI STATI UNITI E` sguarnito di fronte alle megalopoli – o megacitta`, come la vulgata corrente identifica i centri abitati da piu` di 10 milioni di persone. E lo ammette pubblicamente.

«L’Esercito e` al momento impreparato. Nonostante abbia una lunga storia di combattimenti urbani, non ha mai affrontato un ambiente cosi` complesso e oltre la portata delle sue risorse»2, lanciava l’allarme in un rapporto del giugno 2014 lo Strategic Studies Group (Ssg), piccolo ma indipendente – e per questo piu` puntuto – laboratorio di analisi dello Stato maggiore dell’Esercito. Che all’epoca era guidato dal generale Ray Odierno, veterano d’Iraq e autore della prefazione di quel documento strategico, in cui confermava: «La crescente urbanizzazione sta rendendo la megacitta` una delle caratteristiche principali di molti teatri operativi potenziali. (…) E` un problema che dobbiamo iniziare a comprendere e per il quale dobbiamo prepararci»3.
Piu` diretto, ma e` lo stile dei marines del cui Warfighting Laboratory e` comandante il generale di brigata Julian Alford: «Mi sono addestrato in ogni ambiente, la giungla, il deserto, le montagne, il freddo, ma non mi sono mai davvero addestrato bene in un ambiente urbano»4.
A preoccupare i militari a stelle e strisce non e` tanto la scarsa attenzione rivolta alle grandi citta` nell’ultimo quindicennio di guerre alle metastasi jihadiste fra le gole dell’Hindu Kush e le sabbie mesopotamiche quanto una mentalita` di rifiuto dell’Esercito nei confronti del combattimento urbano. Riscontrabile in due precisi tratti. Primo, una dottrina fondata sull’assedio, sul controllo della citta`, sulla recisione dei flussi in entrata e uscita dal centro abitato, in altre parole su un urbicidio inapplicabile su una scala cosi` ampia e in un’epoca in cui la connessione e` tutto. Secondo, una cronica preferenza per evitare il conflitto urbano quando possibile. Tant’e` vero che, nonostante una storia di guerra per le strade – Aachen e Cassino nella seconda guerra mondiale, Hu? in Vietnam e Falluuga o Madinat al-?adr per fare due recenti esempi iracheni – oggi all’avanguardia in questo settore bellico non sono gli americani, ma Israele, la Russia, in virtu` di due guerre a Groznyi in Cecenia, e la Gran Bretagna, grazie al lascito del decennio contro l’Ira.

Inoltre, il tema delle megacitta` fornisce all’Esercito una causa per lottare per la sua rilevanza. Se lo chiede con candore lo stesso rapporto dell’Ssg: «Puo` la megacitta` servire come futura sfida rilevante per la narrazione della forza terrestre strategica?». Certo, non nell’immediato – per minacce impellenti da esibire citofonare «Russia nel Baltico» o «capacita` d’interdizione d’area di Mosca e Pechino» – ma e` quantomeno utile a dare nuovo senso alla pianificazione e al dibattito militare interno. Piu` che altro, dopo anni passati a fare controinsurrezione e a focalizzarsi sull’estremo dei conflitti a bassa intensita`, si sono fatti grossi passi avanti nella guerra ibrida5 e il mainstream geopolitico d’Oltreoceano e` tutto preso dal mantenimento della supremazia sulle linee di comunicazione globali, materia per Aeronautica, Marina e cibernetica.

Demography goes to town

«Cio` che e` stata un’opzione in passato – evitare di combattere in citta` – ora non lo e` piu`», dice a Limes David E. Johnson, oggi alla Rand Corporation ma direttore dell’Ssg quando usci` il rapporto sulle megacitta`. «Un giorno saremo chiamati a operare nell’ambiente urbano: dobbiamo tenerlo in considerazione quando sviluppiamo dottrine, piani operativi e capacita` future».

Le tendenze demografiche ed economiche sembrano dargli ragione. Entro il 2030, l’Onu stima che il 60% degli abitanti del globo risiedera` nelle citta`. Tra 1950 e 2014, la popolazione urbana mondiale e` cresciuta da 746 milioni a 3,9 miliardi di persone, cui se ne aggiungeranno altri 2,5 entro il 2050, il 90% dei quali concentrati in Asia e in Africa (212 milioni solo in Nigeria)6. Secondo un’altra proiezione, entro il 2050 una media di 1,4 milioni di persone a settimana si spostera` verso le citta` asiatiche, africane e latinoamericane7. La geografia e la velocita` dell’aumento demografico genereranno un’enorme pressione su agglomerati gia` oggi in difficolta` nel gestire l’inurbamento sregolato e l’erogazione di servizi – a parte casi virtuosi come la Cina – perche´ pensati e progettati per ospitare qualche ordine di grandezza in meno di persone. Sempre le Nazioni Unite stimano infatti che la popolazione degli slums potrebbe arrivare a 2 miliardi nel 2030. Entro il 2050 i cittadini senza adeguato accesso all’acqua passeranno dagli attuali 150 milioni a 1 miliardo8. E non si tratta solo di megacitta`, che comunque cresceranno dalle odierne 28 alle 41 del 2030: le metropoli di media grandezza (fra 1 e 5 milioni di abitanti) passeranno da 417 a 558 e conterranno il 13,4% della popolazione mondiale contro l’8,7% delle megacitta`. Soprattutto, secondo McKinsey, questa categoria piu` raccolta di agglomerato deterra` entro il 2025 il 45% del pil del pianeta, contro il 15% attuale9.

L’accenno alla fetta di ricchezza mondiale permette di chiarire perche´ l’urbanizzazione stia iniziando a diventare un dato della pianificazione strategica10. Di rilievo non e` tanto la mera dimensione della popolazione urbana o la magnitudine del suo aumento, quanto la combinazione fra questi e altri tre fattori. Primo, la connessione, ossia la natura delle citta` di magnete. Maggiori i flussi di persone, merci (lecite e illecite) e informazioni, maggiore la competizione tra una miriade di attori statali e non, pacifici e violenti, per controllarli e sfruttarli per i propri scopi (affari, influenza, terrorismo). Secondo, la complessita` – derivante dal groviglio delle infrastrutture, dalla pluralita` di attori sociali, dall’informalita` e occasionalita` dell’inurbamento o dalla scarsa integrazione degli elementi di cui si compone il singolo sistema cittadino – che fa di interi quartieri sottratti al controllo centrale vere e proprie giungle inaccessibili a una forza militare regolare, tantomeno straniera. Terzo, e di conseguenza, la presenza di minacce che vanno dalla semplice esposizione al rischio di disastro ambientale – il 75% delle citta` del globo per esempio si situa a tiro di costa – alla forte probabilita` che le giungle urbane siano elette da nemici, potenziali o conclamati, a nascondiglio quando non a fulcro di un sistema di esercizio del potere e di gestione delle lealta` della popolazione alternativo a quello statuale.

In altre parole, i militari statunitensi considerano che il rischio della rottura della capacita` di portata di una megacitta` accrescera` la possibilita` che in futuro le Forze armate statunitensi siano chiamate a intervenire in enormi e complesse aree urbane spesso fuori dalla portata dello Stato. A fornire un utile compendio del valore strategico assegnato negli Stati Uniti a queste zone e` la Commissione nazionale sul futuro dell’Esercito, organismo super partes composto da ex deputati e generali in pensione, che nel suo rapporto al Congresso e al presidente del 28 gennaio scorso stabilisce: «Le megacitta` sono di frequente collocate in regioni litoranee, aumentando la probabilita` e la scala di futuri disastri naturali. Le megacitta` offrono il potenziale per sostenere crescita economica e stabilita`, ma forniscono anche rifugi e opportunita` di reclutamento per network criminali, signori della guerra e terroristi, soprattutto in slums poco governati e ben connessi. Queste dense aree urbane possono creare entita` governative uniche che trascendono i governi statali tradizionali o esistenti e possono complicare il coinvolgimento statunitense a vari livelli. Inoltre, e` probabile che alcuni Stati deboli o falliti diventeranno piu` vulnerabili nei confronti di reti criminali e terroristiche sempre piu` sofisticate, ponendo serie minacce alla stabilita` e alla sicurezza interna e, in alcuni casi, internazionale»11.

Le sfide delle operazioni in citta`

Alla luce di queste considerazioni, quella della megacitta` e` essenzialmente una questione di scala, anche se una peculiarita` la si riscontra nella connessione dei suoi flussi di risorse e finanze ai mercati globali. Tuttavia, i militari americani dichiarano di aver un problema in generale con le operazioni urbane in presenza di qualche milione di abitanti. Anche perche´ non esiste un solo tipo di operazione urbana: l’attenzione non e` rivolta a un particolare rivale, ma alla «minaccia senza nemici» tipica dell’eventualita` del collasso cittadino. Si va dall’assistenza umanitaria al raid antiterroristico, dalla risposta al disastro naturale all’evacuazione di connazionali in citta` straniere, dall’antiproliferazione di armi di distruzione di massa all’assistenza a Forze armate partner. Senza dimenticare la guerra interstatale, motivo per cui Seoul e` sempre il primo esempio cui il militare statunitense ricorre per illustrare la salienza strategica delle megacitta`. Tuttavia, l’ambiente urbano pone sfide uniche, su cui le Forze armate a stelle e strisce hanno iniziato a ragionare.

Un primo gruppo di interrogativi si aggruma attorno all’intelligence. Come dice Johnson, «ogni citta` ha le sue caratteristiche, c’e` New York, c’e` Lagos, ma non c’e` un modello unico. Bisogna capire profondamente le citta` in cui si pensa che potremmo dover operare. Per esempio, il momento in cui capire come stabilizzare Baghdad non e` quando sei la`, ma prima di andarci». Occorre dunque elevare la citta` al rango di unita` d’analisi, cosa al momento assente nella comunita` dell’intelligence militare12. Nonche´ pensare le potenziali minacce a partire dalla geografia e da uno studio caso per caso, in cui i rischi d’intervento emergono dalla demografia, dalla fragilita` degli Stati e dalla sovrapposizione con interessi nazionali americani (carta). Per la filiera dell’informazione strategica statunitense, ultimamente abituata a inseguire il nemico a prescindere dall’ambiente, si tratta di una rivoluzione copernicana. O quasi: la struttura in comandi regionali delle Forze armate e` un ottimo punto di partenza per sviluppare la situational awareness dei singoli teatri.

A un livello di analisi inferiore si colloca la conoscenza degli attori e delle dinamiche cittadine. Evitare di essere espulsi dal sistema immunitario urbano implica allacciare contatti con (e prima ancora conoscere) tutti gli attori potenzialmente in grado di fornire ordine e quindi di esercitare potere: quasi mai infatti un intervento armato e` di per se´ una soluzione al problema, tantomeno in dense zone urbane. Non solo dunque soggetti formali, come le autorita` politiche o i partner militari e di polizia, ma anche economici, dell’informazione, attivisti e, perche´ no?, criminali. Diventa fondamentale la mappatura dei vari criteri attorno cui e` organizzata la citta`, per esempio le lingue, da cui la proposta di usare social network come Twitter o simili per indagare ai raggi X l’ossatura delle odierne Babele13. Senza considerare che, nell’e`ra della caccia ai potenziali terroristi, il gigantesco apparato dell’intelligence statunitense e` attrezzato piu` per la ricerca dei nodi all’interno dei flussi di dati monitorati che non per apprezzare il flusso stesso. Conoscere il funzionamento della citta` impone invece di ribaltare la prospettiva14.

Un secondo insieme di sfide riguarda la logistica, che richiede per prima cosa ai soldati statunitensi di passare da una mentalita` di guarnigione – maturata in 15 anni di grandi basi-villaggio in Iraq o in Afghanistan dalle quali uscire ogni tanto per una pattuglia – a una di spedizione. Nell’impossibilita`, finanziaria prima ancora che concettuale, di riversare brigate su brigate in una grande citta`, un ambiente urbano conflittuale difficilmente consentira` lo sviluppo di adeguate linee di rifornimento e basi accessibili. Obbligando le Forze armate a immaginare soluzioni ad hoc di generazione di corrente, purificazione dell’acqua, supporto medico, approvvigionamento alimentare, produzione di munizioni – in questo aiutate in futuro dallo sviluppo della manifattura additiva, le cosiddette stampanti 3D. Anche perche´ appoggiarsi a fornitori locali inondandoli di valuta pregiata rischia di alterare fragili equilibri, creando piu` problemi (leggi: nemici) di quanti non se ne risolvano.

In terzo luogo, operare in citta` esige mutamenti nell’organizzazione e nella protezione delle forze. Per questo il capo dell’Army Capabilities Integration Center, l’influente tenente generale H.R. McMaster, sta focalizzando gli sforzi dell’addestramento urbano sulla squadra di fanteria, cercando di dotarla di piu` autonomia, accesso al supporto aereo e video, potere letale (sotto forma di armi a spalla, lanciagranate o piattaforme mobili dotate di fuoco di precisione). Sinora, infatti, la modularita` dell’Esercito statunitense arrivava solo al livello della brigata, ma l’ambiente urbano agevola sciami di squadre di pochi elementi autonomi che si uniscono e separano alla bisogna, piuttosto che lo schieramento di grandi formazioni compatte. Tuttavia, questo tentativo non risolve un importante vulnus: la predilezione delle Forze armate a stelle e strisce per una protezione indiretta delle unita` (supremazia del fuoco, che in citta` causa enormi danni) rispetto a una diretta, resa peraltro indispensabile dalla totale (e strategica) indisponibilita` delle opinioni pubbliche occidentali a tollerare le perdite di propri uomini.

Un quarto gruppo di sfide viene dalla multidimensionalita` del teatro urbano. Accanto alle consuete dimensioni terrestre, aerea, marittima e cibernetica, le grandi citta` esigono anche altre capacita` strutturate. Da una parte, il combattimento in interni; basti pensare alla complessita` di operare nei grattacieli, che ha portato il gia` citato generale dei marines Alford a parafrasare la three-block war del suo predecessore Charles Krulak, coniando l’espressione four-floor war15. Dall’altra, le operazioni sotterranee, visto il labirinto di reti fognarie e delle metropolitane che scava come un groviera ogni metropoli e che ha spinto il Rapid Reaction Technology Office del Pentagono a emettere un bando pubblico per raccogliere entro il 23 marzo scorso idee di sviluppo di capacita` per condurre operazioni sotto terra16. In quest’ambito, potrebbe non essere un’eresia il recupero di mezzi di spostamento e di tecniche di combattimento fluviali, negli Stati Uniti solitamente appannaggio delle forze speciali.

Scienziati pazzi e buchi dottrinari

Negli ultimi due anni, nessun vertice del Pentagono ha menzionato la parola «urban» in discorsi ufficiali. La latitanza della questione al livello politico non deve trarre in inganno, perche´ nel sottobosco dell’Esercito il tema delle megacitta` e del combattimento urbano e` molto discusso.

Gli attori della (ri)presa di coscienza si situano soprattutto a livello di strateghi e di custodi della dottrina, dal menzionato Ssg al fondamentale Army Training and Doctrine Command (Tradoc), che veglia sull’addestramento e sulla manualistica e pertanto influisce sulla preparazione dei soldati alle guerre del futuro, come in occasione di Unified Quest, l’annuale esercitazione dell’Esercito, nel 2014 dedicata alle megacitta`. Lo Ussocom, il comando delle forze speciali, ha iniziato una partnership con Caerus, societa` di consulenza di David Kilcullen che sviluppa soluzioni di sicurezza per le citta`.

Sulle piu` importanti riviste ufficiali come Parameters o Military Review il dibattito prosegue, anche se non vivacissimo17, segno che quello delle megacitta` non e` un tema su cui si gioca la rilevanza immediata dell’Esercito, ma e` relativamente consensuale. L’eco inizia ad arrivare pure in documenti politici. Come il gia` menzionato rapporto della Commissione nazionale sul futuro dell’Esercito, che fra le raccomandazioni recita: «Per mantenere un vantaggio competitivo, l’Esercito dovrebbe enfatizzare (…) l’espansione delle capacita` per operare in ambienti urbani alla luce della crescente urbanizzazione»18. E le iniziative travalicano le caserme: JP Morgan Chase e Brookings hanno lanciato Securing Global Cities, progetto di studio annuale guidato dall’ex generale Ray Odierno.

Alle megacitta` il Tradoc ha inoltre dedicato ad aprile una delle sue tre sessioni annuali del Mad Scientist (letteralmente: scienziato pazzo). L’iniziativa raduna accademici, militari, imprenditori e futuristi per selezionare concetti che plasmeranno l’ambito militare e «influenzare il modo in cui l’Esercito pensa a come investire i suoi fondi per la scienza e la tecnologia», come sostiene il colonnello Lee Grubbs, vice G-2 del Tradoc. In particolare, questo convegno ambiva a raccogliere idee su quattro aree tematiche relative alle operazioni nelle megacitta`: intelligence; liberta` di manovra e protezione; operazioni di spedizione e gestione e influenza di grandi centri abitati; tecnologie da adottare per un addestramento realistico. Per chi ha innovazioni da proporre ai militari, e` il momento di farsi avanti.

Tuttavia, nella dottrina i buchi non mancano. Esercito e marines – piu` attrezzati, in quanto dotati di un manuale sulle spedizioni in litorali urbani – si stanno coordinando per aggiornare la manualistica. La questione principale e` l’eredita` delle tecniche d’assedio, pilastro dell’Fm 3-06 «Urban Operations» dell’Esercito, la cui ultima edizione del 2006 e` ancora impregnata dell’emergenza di dotare le truppe in Iraq di linee guida per operare a Baghdad e dintorni. Il manuale e` imperniato sui rigidi concetti di accerchiamento e isolamento e benche´ la versione congiunta con gli altri servizi sfumi leggermente – si parla di «isolamento selettivo di porzioni chiave dell’ambiente urbano»19 – la sostanza e` sempre quella. Per non parlare delle necessita` di rivedere la distribuzione delle informazioni in un parterre di attori cosi` ampio come la citta`. E del silenzio che avvolge pubblicazioni come il Jp 3-18 «Joint Forcible Entry Operations», che non menziona nemmeno una volta la parola «urban», o il Jp 3-02 «Amphibious Operations», che lo fa una volta sola. D’altronde, chi ha mai cinto d’assedio una giungla?

BIBLIOGRAFIA

1. R. PETERS, «Our Soldiers, Their Cities», Parameters, vol. XXVI, n. 1, primavera 1996, pp. 43-50. 2. «Megacities and the United States Army: Preparing for a Complex and Uncertain Future», Chief of Staff of the Army, Strategic Studies Group, giugno 2014, p. 21. 3. Ibidem, p. 2 4. Cit. in «US Troops Need Training to Battle in Future Megacities, Marine General Warns», Defense News, 4/1/2016, goo.gl/S2gxQR 5. D.E. JOHNSON, «The Challenges of the “Now” and Their Implications for the U.S. Army», Perspective, Rand Corporation, 2016. 6. «World Urbanization Prospects: The 2014 Revision», United Nations, 2014. 7. Cit. in D. KILCULLEN, Out of the Mountains: The Coming Age of the Urban Guerrilla, London 2013, C. Hurst & Co., p. 29. 8. «Urban Slum Dwellers Could Double to 2 Billion by 2030, UN Agency Says», UN News Centre, 1/10/2003; R.I. MCDONALD, P. GREEN, D. BALK, B.M. FEKETE, C. REVENGA, M. TODD, M. MONTGOMERY, «Urban Growth, Climate Change, and Freshwater Availability», Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America, vol. 108, n. 15, 2011, pp. 6312-6317, goo.gl/6ZMYcs 9. «Urban World: Mapping the Economic Power of Cities», McKinsey Global Institute, marzo 2011, 14-17; 28-31. 10. L’urbanizzazione e` costantemente citata dai militari Usa fra le forze che stanno plasmando l’am- biente strategico, si veda «Future Trends Watch», Tradoc G2, 11/3/2016; C. SOKOLOSKY JR, «The Future of War: How Globalization Is Changing the Security Paradigm», Military Review, gennaio-febbraio 2016, pp. 8-15. 11. «Report to the President and the Congress of the United States», National Commission on the Fu- ture of the Army, 28/1/2016, p. 33. 12. «Megacities and the United States Army», cit., p. 9. 13. J.R. WATSON, «Military Operations in Megacities: A Linguistic Perspective», Military Review, gen- naio-febbraio 2016, pp. 108-114. 14. R. DIXON, «Bringing Big Data to War in Mega-Cities», War on the Rocks, 19/1/2016, goo.gl/s9LwEA 15. Defense News, 4/1/2016, cit. 16. «Thunderstorm Spiral 16-3: Megacities and Subterranean Military Operations», Rapid Reaction Te- chnology Office, RRTO-16-3-RFI-01, 26/2/2016, goo.gl/kxZUQd 17. Si vedano per esempio K.M. FELIX, F.D. WONG, «The Case for Megacities», Parameters, primavera 2015, pp. 19-32; M. EVANS, «The Case against Megacities», Parameters, primavera 2015, pp. 33-44; W.G. ADAMSON, «Megacities and the U.S. Army», Parameters, primavera 2015, pp. 45-54; C.O. BOWEN, «Future Megacity Operations – Lessons from Sadr City», Military Review, maggio-giugno 2015, 8-16; E.A. CLAESSEN, «The Urban Individual: Unassailable Source of Power in Twenty-First Century Armed Conflicts», Military Review, novembre-dicembre 2015, pp. 8-15. 18. «Report to the President and the Congress of the United States», cit., p. 35. 19. «Joint Urban Operations», Jp 3-06, pp. I-11.

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