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Pubblicato il 22/01/2018

RIFLESSIONI DI UN INCURSORE IN CONGEDO SULLE MISSIONI

mattarella-missioni-co1di Corrado Corradi

E’ dai tempi del Libano (1982-84), la prima missione delle nostre FF.AA. fuori dal territorio nazionale, che ogni volta che i nostri soldati si accingono a partire (proprio in questi giorni si preparano per il Niger), che ci tocca sorbire le considerazioni più disparate di carattere etico, morale, costituzionale, etc sull’opportunità o meno di far fronte a un impegno militare ; la maggior parte di quelle considerazioni puzza di un insopportabile pacifismo di facciata che culmina con la solita trita e ritrita frase: perché mandare i nostri soldati a uccidere e morire laggiù ?

Quelle che seguono sono considerazioni di un ex soldato su guerra e pace ma soprattutto sulla bandiera.

La guerra é sicuramente una brutta cosa e non c’é uomo di guerra che la ritenga piacevole, tuttavia non ci sono dubbi: ESISTE.
E che faccia parte del patrimonio, ancorché negativo, dell’umanità, é un dato di fatto incontrovertibile, com’é un dato altrettanto incontrovertibile il fatto che mai si sia riusciti a estirparla.
La guerra é un po’ come il tumore: c’é.
E qualcuno che la combatta ci deve essere: il soldato, o il militare che dir si voglia… il termine guerriero, di per sé desueto, purtroppo non é più aderente alla guerra che si é iniziato a combattere a partire dalla rivoluzione francese in poi (Giovanni dalle bande Nere era un guerriero, Napoleone no).
La differenza tra l’oncologo (il soldato che combatte il tumore) e il militar-soldato che combatte la guerra é che il primo ha ragione di sperare che il tumore possa essere debellato mentre il secondo non si pone la domanda se la guerra sia estirpabile o meno perché sa che si tratta di una domanda oziosa perché la guerra non é estirpabile.

Non mi addentro in considerazioni etiche su pace e guerra, lascio queste riflessioni a chi mai ha combattuto e mai combatterà preferendo l’ozioso bla bla: i pacifisti di professione che confondono la PAX cristiana del cuore con un melenso cataplasma di pacifismo il cui principale ingrediente é l’ ignavia (ma centra anche l’ideologismo, padre della disonestà intellettuale).

Personalmente ritengo che la pace abbia un senso solo se si é preparati a contrastare il primo prepotente armato di Kalashnikov che, in barba al disarmo e al pacifismo proclamato da quel pacifista di professione di cui sopra (i pacifisti sanno essere prepotenti), dopo aver ribaltato un autobus all’entrata di un quartiere decreti che lui, li’, é il padrone, e che coloro i quali non la pensano pacificamente come lui, li’ non ci possono entrare e quelli che ci sono devono andarsene.

Non é il pacifista con la sua bandierina arcobaleno e il suo vuoto argomentare che pone rimedio a questa scena (anzi, spesso ne é l’autore indiretto), ma il soldato.

Pertanto, penso che l’unica pace vera sia quella che prepara alla guerra; é il buon vecchio adagio del «si vis pacem para bellum»… non esiste una frase cosi’ banale ma cosi’ tanto densa di realtà quotidiana.

Per il soldato é difficile orientarsi nella guerra moderna dove il nemico oltre ad essere distante dai nostri confini é spesso dipinto con tinte che rischiano di stingere subito non reggendo alla più superficiale delle riflessioni.
Ma il nemico é il nemico e se non ci fossero le istituzioni (governo, parlamento, etc) a indicarlo, il soldato manco ci penserebbe a considerarlo nemico.
E quando il nemico é stato designato e l’ordine di combatterlo é stato diramato, il soldato non puo’ né rifiutarsi di combattere, né fare il pesce in barile… non ci sono storie: DEVE combattere.
E giustamente lo fa.

Questa logica stringente fa intuire che i soldati, essendo uomini pensanti, possono anche andare alla guerra con qualche dubbio (e mi sembra una cosa naturale), tuttavia, c’é un elemento che catalizza e giustifica la «vis» di coloro che hanno scelto di fare il soldato: la Bandiera di Guerra del Reparto.
Essa da un senso al suo sacrificio e unisce ogni combattente… al diavolo se la guerra é giusta o sbagliata (posso anche affermare che ogni guerra che non sia di difesa é sbagliata), ma la bandiera del reparto giustifica l’azione del combattente… al mio fianco ho i commilitoni e di ritorno da una missione é intorno alla bandiera che ci riuniamo, comunque vincitori e comunque dalla parte giusta, per onorare i caduti e festeggiare la vittoria perché non esiste la sconfitta per i commilitoni che hanno combattuto fianco a fianco per Lei, la bandiera del reparto.

Qualcuno, pur non essendo pacifista nell’accesso militante «arcobalenesco» del termine, ma non avendo dimestichezza con lo spirito del soldato, avanza forti ma giustificate perplessità sulla leceità di rischiar la vita e accoppare altre persone per una guerra lontana geograficamente le cui ragioni si perdono nei meandri della politica internazionale.
Ebbene:
• dando per scontato che il soldato non gode a rischiar la pelle lontano da casa e a condividere disagio, pane e morte con il commilitone, e nemmeno nell’uccidere a tutti i costi un nemico, specie per ragioni oscure, come invece vorrebbe Zarathustra del nichilista Nietzsche nel capitolo «della guerra e degli uomini di guerra»;
• E dando altresi’ per scontato che il soldato non va in guerra per conto proprio ma ci va mandato dalle istituzioni che rappresentano (che lo si voglia o no, bene o male) la Patria;
le sue perplessità sulla liceità di quella guerra che sta combattendo, il disagio fisico, tutto il suo bagaglio di sofferenza per il commilitone appena morto in combattimento o per gli affetti lontani, i suoi rimorsi per i nemici accoppati per una ragione che sfugge ad un suo ragionamento diretto; tutto questo, dicevo, trova la juxta giustificazione nella Bandiera del Reparto a cui il soldato non puo’ non far riferimento pena lo smarrimento.

Senza la Bandiera egli sarebbe solo uno di quegli uomini di guerra di quel capitolo di cui sopra che recita: «voi dovete essere per me quelli il cui occhio cerca sempre un nemico, il vostro nemico, e presso alcuni di voi l’occhio si deve accendere d’odio al primo sguardo, il vostro nemico, ecco quello che dovete cercare…».
E il soldato, quello vero, non é cosi’.

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