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Pubblicato il 18/05/2017

QUESTA NON E’ PIU’ LA FESTA DEGLI ALPINI . MARESCIALLO MORTO SENZA BOLLINO: NIENTE LABARO ANA

di Sergio Noto

alpino in congedo e
Professore di storia contemporanea alla Università di Verona

Lo scorso fine settimana si è tenuta a Treviso la 90a adunata nazionale degli Alpini, senza dubbio la più grande festa popolare italiana, che ha visto calare nella piccola città veneta più o meno 500 mila persone, tra penne nere (così si chiamano gli alpini), parenti, amici e sostenitori di varia natura. Nell’epoca di Facebook e dell’individualismo uno di quegli appuntamenti collettivi, che solo per il fatto di esistere – a prescindere dai contenuti – andrebbero protetti, come antidoto alla de-socializzazione imperante.

Purtroppo la realtà è un po’ più complessa, e molte delle caratteristiche che rendevano bella e unica la festa annuale degli alpini sono cambiate e meriterebbero qualche correzione di rotta, per evitare che la finzione prenda il sopravvento sulla realtà e che certi valori siano sbandierati senza molta rispondenza. Infatti da quando è stato abolito il servizio militare obbligatorio, da quando le reclute alpine sono «volontari» che spesso non appartengono alle zone di tradizionale reclutamento alpino, da quando – brutalmente ma sinceramente – di fatto gli Alpini come Corpo per come li conoscevamo sono stati aboliti, è cambiata anche la loro festa, che non è più la festa degli Alpini (di tutti gli alpini quelli in armi e quelli in congedo), ma è diventata la festa dell’ANA (Associazione Nazionale Alpini), una lodevole organizzazione, ma che è solo una parte e non rappresenta la meravigliosa sintesi dello spirito alpino.

L’identità degli alpini era ricca e variegata, ma molto semplice. Il Corpo degli Alpini era quello che più di ogni altro aveva sublimato il principio della coscrizione obbligatoria. Era un esercito di popolo, fatto dal popolo, non dai generali. Era lo spirito, l’educazione, la cultura dei ragazzi dalle guance rubizze, scesi dalle valli bergamasche, friulane e trentine che formavano gli Alpini, non quello degli ufficiali formati a Modena e a Torino. Ragazzi disciplinati, taciturni, mai servili. Non grande cultura, ma cuori forti. Grandi lavoratori, poche parole, resistenti nel fisico non meno che nel carattere, pacifici, riluttanti a qualsiasi atto di violenza, contrari all’uso di ogni forza che non fosse quello della fatica individuale.

Facili da guidare, impossibili da comandare contro la loro volontà. Tra gli alpini non c’era molto spazio per i “furbi”, si sgobbava in silenzio, anche quando non se ne aveva voglia. Non dico che il dovere coincidesse con il piacere, ma certamente nessuno (o quasi) era lì per una speciale attitudine militare, che magari caratterizza altri corpi apparentemente più “guerrieri”. Eravamo lì perché ce lo avevano ordinato, ma questo non avrebbe cambiato le nostre abitudini, la nostra testa. Erano gli alpini che avevano costruito lo spirito alpino, non l’Esercito Italiano che aveva fatto gli Alpini.

L’ignoranza della nostra classe politica e dirigente, nonché l’interesse dei militari di carriera come categoria sociale retribuita, ci hanno convinti in anni recenti che fosse necessario un esercito di “professionisti” (sia detto per inciso, un alpino di leva ben addestrato è militarmente preferibile a qualsiasi “professionista”), che l’epoca del servizio militare obbligatorio – che certamente in molti casi era una farsa – fosse tramontata, mentre avrebbe potuto e forse dovuto essere riformato, almeno per continuare ad alimentare quella finalità civili importantissime di formare cittadini in grado di praticare il concetto di “servizio” in una collettività ben ordinata, e magari di impartire anche alcuni insegnamenti pratici, come ad esempio la capacità intelligente di rapportarsi con le armi, scongiurando la formazione di pistoleros, dei quali ogni giorno abbiamo fin troppi tristi esempi.

L’Associazione Nazionale Alpini, che in epoca di leva faceva per così dire da supporto alle Truppe Alpine, ha certamente moltissimi meriti, ma come tale non è in grado di raccogliere ed esaurire lo spirito alpino. L’ANA senza Alpini di leva non esiste, non numericamente, ma qualitativamente. Così le feste che organizza assomigliano e assomiglieranno sempre più a un ricordo (generoso) dello spirito alpino, a una rievocazione del passato con spazio crescente alle tristezze del presente: le promesse dei ministri; la parata dei politici in campagna elettorale; la rassegna dei generali in cerca di appoggi e di mezzi; le degenerazioni più simili a quelle di un rave party che non di una festa alpina; la propensione commerciale; tutto questo ha poco a che vedere con lo spirito alpino, anche se diventa tollerabile all’interno della logica di un’associazione.

Così non possiamo dimenticare che l’ANA è quella stessa Associazione che ha varato un piano straordinario di rafforzamento degli iscritti, con l’inclusione degli “amici degli alpini“, uomini e donne che non hanno ovviamente svolto il servizio militare nel corpo degli alpini, ma che sono necessari a rinfoltire i ranghi. È la stessa Associazione, che proprio mentre a Treviso si celebrava la sua apoteosi, riteneva in quel di Novara di non dover partecipare con il labaro ai funerali di un maresciallo degli Alpini per il solo fatto che il defunto non era in regola il bollino associativo 2017. E lo spirito alpino certamente è molto di più di un semplice bollino o di una ancorché grande festa sociale.

 

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