OPINIONI

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Pubblicato il 18/07/2016

Stragi terroristiche e insegnamenti islamici

di Vincenzo Di Guida

Negli ultimi decenni si è accostato al termine di jihad il concetto di guerra santa perpetrata con ogni mezzo, anche terroristico, al fine di diffondere l’islamismo nelle comunità di tutto il mondo di differenti credo religiosi.
In realtà tale significato è solo uno dei possibili concetti che si associano a tale termine. Anzi, originariamente, tale locuzione indicava solo lo sforzo, per lo più interiore, che ogni musulmano doveva compiere per essere un buon musulmano.
Nella buona sostanza, e semplificando parecchio, il rispetto dei cinque pilastri della religione islamica ossia la testimonianza della fede, preghiera, l’elemosina, il digiuno nel periodo del Ramadan, il pellegrinaggio nei luoghi sacri dell’Islam.
Nulla, quindi, a che vedere con l’aspetto militante ed aggressivo testimoniato dagli attentati terroristici.
Ed è la stessa Comunità islamica, nella sua maggioranza più qualificata, che condanna questi atti.
L’Imam Al-Tayyib, professore alla prestigiosa università del Cairo Al-Azhar, ha dichiarato che l’Islam non ha niente a che vedere con questo terrorismo.
Gli fa eco l’Imam fiorentino Izzedine Elzir presidente dell’UCOII, l’Unione delle Comunità e Organizzazioni Islamiche in Italia, che ai microfoni di Radio Vaticana, ha detto nelle ore immediatamente a valle dell’attentato di Nizza che non riesce a pensare che quest’orrore sia stato compiuto da qualcuno che si dichiara musulmano.
E, d’altronde, le radici più antiche dei precetti musulmani sostengono che “Chiunque uccida una persona, a meno che essa non stia per uccidere una persona o per creare disordine sulla Terra, sarà come se avesse ucciso l’intera umanità” (Corano 5:32).
E, d’altra parte, l’Islam arriva a contemplare anche la presenza di altre religioni sulle sue terre, come ad es. il Cristianesimo, sia pure a determinate condizioni.
Nella buona sostanza, dunque, la interpretazione classica dell’Islam porta a concepire la guerra, intesa come concreti e cruenti atti bellici, praticamente giustificati solo per ragioni difensive interne. In tale caso, è dovere di ogni musulmano della terra intervenire sul suolo teatro dell’occupazione ed opporsi con ogni mezzo all’invasione straniera.
C’è però una diversa visione, fortunatamente minoritaria (ma non per questo meno pericolosa), che vuole il jihad come pratica di aggressione armata perpetrata in territorio straniero, anche attraverso il martirio personale.
Per raggiungere tale obiettivo, a differenza del jihad difensivo, non c’è necessità che l’intera Comunità islamica (ossia ciascun musulmano) sia impegnata nella guerra agli infedeli ma ciascun individuo può prendere iniziative secondo il suo personale sentire (il che significa secondo l’indottrinamento che ha ricevuto).
Ecco, quindi, che si rendono possibili azioni isolate da parte di singoli gruppi, o anche di singoli terroristi, come parrebbe essere stato il caso dell’attacco di Nizza.
Ed ecco perché sembra notevolmente presente il rischio che singole cellule dormienti, o singoli individui entrati in Europa nascosti nei grandi flussi dei migranti, possano attivarsi senza che vi siano particolari segnali premonitori.
Ciò, piuttosto che pensare alle fiaccolate del giorno dopo, pone un accento particolare alle azioni preventive da porre in essere che, sostanzialmente, consistono nella necessità di limitare gli accessi il più possibile e alle attività di monitoraggio, controllo e repressione delle centrali che conducono, anche tramite il la parte occulta del web, reclutamenti e indottrinamenti di foreign fighters e di cellule dormienti.

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