CRONACA AGGIORNATA OGNI ORA

Condividi:

Pubblicato il 10/05/2016

TENENTE ALPINO CONDANNATO PER MINACCE AD UN INTERPRETE IN AFGANISTAN

Condannato tenente Alpino ritenuto colpevole di minacce durante una missione in Afghanistan. Decisive la testimonianza di un “collega” e un pezzo di carta scritto a mano dalla “vittima”

Il 21 settembre 2010 il tenente degli alpini G C ha minacciato con la pistola un interprete ed è stato considerato colpevole di minaccia aggravata e condannato a tre mesi con la sospensione condizionale.
IL FATTO
Alcuni alpini si sono affrettati a testimoniare contro il proprio ufficiale. «Lavoravo nell’ufficio personale del campo militare insieme a C- spiefga soddisfatto il testimone -. Lui arrivò alle 9 e, siccome il suo ufficiale corrispettivo afghano non era ancora arrivato, si è messo a parlare con il giovane che mi faceva da interprete. Discutevano spesso, si prendevano in giro a vicenda quasi quotidianamente. Quella volta immagino che ci sia stata una presa in giro più pesante». «Appena ho visto la scena della pistola sono intervenuto anche se non aveva intenzione di sparare, perché non era armata ( non c’era stato scarrellamento, ndr) ha aggiunto -. Penso sia stato un gesto goliardico. Ho detto a C di non fare stupidaggini. Lui ha riposto l’arma». Otre ad essere a processo, il militare subì provvedimenti disciplinari. «Gli vennero tolte armi e munizioni e poi venne spostato ad Herat», ha concluso il testimone.
Il difensore
L’avvocato difensore aveva chiesto l’assoluzione: «In un campo militare le armi sono di uso quotidiano, occorre tenere conto di questo ambiente. E poi non è stato chiarito perché i due avessero litigato». In aula non è andata a testimoniare la vittima della minacce, cioè l’interprete che traduceva dall’afghano all’inglese. In sostituzione alla sua versione è stato acquisito dal giudice un foglio scritto a mano in inglese in cui il giovane racconta sommariamente l’episodio. Il legale del tenente: «Non si può condannare qualcuno in base a questo foglio. Oltretutto non sappiamo chi l’abbia tradotto e se sia persona competente. Tutto ciò considerando che l’indagine è stata avviata dalla Procura di Cuneo solo in base a questa dichiarazione manoscritta». «In quei posti, oltretutto, c’è un problema di diversità della lingua – ha concluso -: il collega che ha testimoniato ha detto di aver sentito discutere l’imputato con l’interprete in inglese e, siccome stava facendo altro, di non aver nemmeno fatto caso al senso del discorso».

Leggi anche