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Pubblicato il 21/08/2017

UN ITALIANO IN MAROCCO CI SCRIVE : ATTENZIONE A DIRE TUTTA LA VERITA’ SUI CLANDESTINI E SUI MIGRANTI PERBENE

Caro CongedatiFolgore,
Da emigrato, ringrazio per le immagini in cui si evidenzia la differenza tra l’emigrato italiano e i, chiamiamoli con il loro nome: clandestini.

Nel gennaio del 1965, io avevo nove anni non ancora compiuti, a bordo di una Simca 1100 Montlery, la mia famiglia si è trasferita in Marocco.
La mia esperienza di giovane migrante e poi adulto che ritornava spesso sulla terra di emigrazione per trovare i suoi genitori che vi erano rimasti, mi fa provare fastidio e rabbia per quelle affermazioni intellettualmente disoneste del parallelo tra i clandestini che atterrano sulle nostre coste e i nostri migranti che partivano per altre con preoccupazioni correlate esclusivamente alla necessità di lavorare per campare la famiglia, e angosce e nostalgie per niente mediatizzate.

Nel mio schema mentale il paragone è presto fatto: i miei genitori, anch’essi dopo una sofferta decisione, hanno caricato baracca e burattini e sono partiti verso l’incognito senza volersi sottrarre a nessun controllo, forti della loro onestà e con l’intenzione di lavorare sodo… nessun’altra fregola!
Poveri ma ricchi della loro buona volontà, della loro dignità e delle loro capacità.
Consci che entravano in casa d’altri, hanno bussato educatamente alla porta, non hanno forzato la serratura per intrufolarsi come ladri, si sono presentati e hanno manifestato la loro disposizione al rispetto delle regole del padrone di casa.
E cosi’ è stato fino alla loro morte.

Come, d’altronde, hanno fatto tanti marocchini, tunisini, algerini, indiani, egiziani che sono giunti regolarmente in Italia e pian piano si sono inseriti nel rispetto delle regole, forti della loro buona volontà, mantenendosi musulmani in un mondo di cristiani nel rispetto della religione e delle tradizioni dei loro ospiti.
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E il diritto di questi migrati, che per giungere in Italia si sono sottomessi e tuttora si sottomettono a estenuanti procedure di presentazione di documenti necessari all’espatrio per ottenere il visto d’ingresso nel nostro paese e che spesso se lo vedono negato per un minimo vizio di forma, dove lo mettiamo??


Analogo ragionamento vale per gli italiani che hanno raggiunto l’America; i quali, se é vero che non viaggiavano su gommoni ma più comodamente alloggiati nelle terze classi dei transatlantici (praticamente stive per animali) ed erano meno esposti ai pericoli del mare, é altrettanto vero che in entrata negli States, oltre all’aleatorietà della contingentazione (della quale spesso avevano notizia solo nel momento in cui venivano rispediti indietro), hanno dovuto sopportare “quarantene” ben più opprimenti di quelle a cui sono sottoposti i clandestini nei nostri centri per l’identificazione, quando non sono stati addirittura oggetto di oltraggiosa intolleranza razziale.

Ma… (ed é il figlio di un emigrante che pone questa domanda), dannazione!: Qual’è la “ratio” che autorizza a paragonare gli emigranti “in regola” a quelli “non in regola”, quelli di frodo, ossia clandestini? Quelli che, per premessa sono propensi a delinquere.
Quelli che dicono di fuggire la miseria ma impegnano dai 4 ai 5 mila dollari affidandosi scientemente a bande mafiose ben più sanguinarie del tiranno che dicono di fuggire, pagando cifre che nel loro paese sarebbero ampiamente sufficienti ad avviare un’attività di micro-impresa!


E mi preme un sospetto: stipati a decine su un barcone alla mercé di uno, dico un solo, scafista, ma è mai possibile che nessuno di quei baldi giovani, forti del coraggio della disperazione che li spinge ad affrontare un’avventura pericolosa e senza certezza di riuscita, è mai possibile, dicevo, che non abbiano mai trovato la forza e la coesione per scaraventare a mare quell’uomo di merda!? È mai possibile che, una volta giunti a destinazione nel centro di accoglienza non provvedano a dargli una scarica di legnate, anzi spesso tentennano nel denunciarlo?

Quando si affronta la questione emigranti clandestini, un po’ per superficialità, un po’ per mal interpretato umanesimo, ma molto per disonestà intellettuale, si tende a considerarli tutti profughi e la considerazione che va per la maggiore é di una banalità e di una superficialità che disarmano (oltre che far incazzare): «inseguono la speranza di una vita migliore» …ma, benedett’Iddio, come si fa sparare una frase cosi’ banalmente idiota riguardo ad un sentimento cosi’ nobile come la “speranza” (che, guarda caso è un sentimento profondamente cristiano), glissando su domande tipo: la speranza affidata a un racket mortifero? é questa la loro speranza di vita migliore? loro la speranza la alimentano cosi’? Chi o cosa ha instillato in loro quella speranza (che spesso contrasta con le loro intime aspirazioni) e perché?

Per dirla cruda: perché i clandestini, che provengono per la maggior parte da paesi morigerati quanto a costume femminile, anelano (cosi’ forte, tanto da sopportare gravi disagi e rischiare la vita) a venire nei paesi dove impera la deboscia?
Perché non si mettono in fila per emigrare nei paesi musulmani del golfo? In quei paesi dove accettano di emigrare invece i veri disperati (le popolazioni indigenti del Bangla Desh e aree circostanti) ai quali viene riservato un trattamento da schiavi da quelle nazioni che con la gran parte dei migranti che giungono da noi hanno in comune la regola religiosa.

Francamente, a me, quel tipo di speranza sembra dettata più da un’illusoria e perniciosa fregola che dalla disperazione! Altro che profughi (almeno la maggior parte di chi sbarca da noi)!
La disperazione è la juxta giustificazione del siriano, del pachistano o del sudanese CRISTIANI (ove sono orrendamente perseguitati) e meglio ancora con famiglia al seguito, non del giovanotto single e che magari ha lasciato nel suo paese madre anziana e sorelle minori indifese, perché prima di essere un povero migrante clandestino e magari anche profugo è solo un vigliacco.

Grazie ancora per evidenziare queste sostanziali differenze e la pericolosità del fenomeno.
Corrado C.

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