FLASH DI GUERRA
CRONACA SPICCIOLA QUOTIDIANA DA  EL ALAMEIN
(13.11.00) 

Lo chiamerò solo Enrico, perché penso sia ancora vivo e felicemente sposato. Il nome é vero, la moglie supposta ma molto probabile, la mia prudenza doverosa per evitare di danneggiare un rapporto coniugale. Era il più brutto della compagnia. Di una bruttezza pari a quella dei protagonisti maschili cattivi nei film americani, dove lo spettatore deve rendersi conto per l'apparenza e non per l'azione che
il tipo é uno di quelli che se siedono a tavola senza avere prima ammazzato qualcuno, nemmeno mangiano. La loro grinta, denotante tra l'altro una mascolinità prorompente, affascina in maniera particolare le donne, che suppongono che il viso sia antesignano di future prestazioni  ottimali. Avete presente l'immagine del paracadutista in Africa fatta da Paolo Caccia Dominioni? Tanto per dare un'idea!.Aveva qualche anno più di noi, e confessava di essere venuto nei paracadutisti per avere la possibilità di mantenere la moglie. La sua grinta non era solo fisica, ma anche caratteriale. Partimmo per la Grecia  da Brindisi in treno, salendo per tutta l'Italia  e scendendo per l'Yugoslavia, e parte della Romania.Prima di arrivare in Grecia, un nostro ufficiale raccolse i soldi per effettuare il cambio al cambiavalute di Salonicco ed ottenere,con una grossa cifra, condizioni migliori.Il cambio ottenuto fu di sette dracme per una lira. A Salonicco, subito dopo il cambio, distribuì le dracme. Uscimmo dalla stazione e fummo assaliti da un nuvolo di gente. C'erano prostitute, venditori ambulanti, ragazzini che chiedevano da mangiare, chi ti offriva scatole di sigarette, chi uva, fichi freschi o secchi e soldi, tanti tanti soldi. Io che avevo pochi soldi avendo perso tutto lo stipendio in treno giocando a poker, dovevo accontentarmi di acquistare una fetta di anguria. Avevo venti dracme, pari a tre lire . In Italia una fetta di anguria fresca si poteva avere per una lira. Avutala, le diedi un robusto morso. Diedi poi un biglietto da dieci dracme al venditore. Si mise a ridere ed a gesti mi fece capire che i soldi non bastavano. Gli diedi a malincuore anche l'altro biglietto da dieci dracme, sicuro di essere stato truffato. Il tizio rise ancora e con le dita mi indicò quanti soldi voleva: 200 dracme. Trasecolai e stavo per prendere il tizio per il collo ma fui trattenuto da un mio amico. Aveva appena saputo che il cambio ufficiale era sì di sette dracme ogni lira, ma l'effettivo era di centodieci dracme. Restituii l'anguria già iniziata al legittimo proprietario che mi guardava indignato, gli lasciai le venti dracme a saldo del boccone d'anguria che mi era rimasto nel gozzo, e con un passo piuttosto celere per evitare contestazioni, me ne ritornai sul treno.Rinunciai alla libera uscita. Dopo poco però vidi tornare con facce adatte alla circostanza tutti i miei camerati che avevano subito lo stesso inconveniente. Enrico non aveva cambiato le lire perché doveva mandare i soldi a casa.Arrivammo a Tatoi, un aereoporto a venti chilometri da Atene, la mattina dopo.Sistemate le tende, ci diedero il permesso di andare ad Atene in libera uscita. I soldi rimasti erano pochini, quasi insufficenti per pagarci il treno. La curiosità di conoscere un città così onusta di storia e di arte era tale che sacrificammo le nostre misere sostanze. Arrivati ad Atene, ci circondò il solito gruppo di venditori e di contrabbandieri. Ci allontanammo. Uno di loro non ci mollava. Voleva ad ogni costo che cambiassimo quattrini. Eravamo una decina, quasi tutti della stessa città ed amici per la pelle. Domenico, uno dei nostri che si dichiarava di professione ladro di automobili (in quell'epoca le automobili erano pochissime, eppure, a quanto ci raccontava, lui riusciva a rubarle ed a venderle), ci schiacciò l'occhio e si avvicinò al contrabbandiere.Quello capiva solo le parole essenziali per poter esercitare meglio. Domenico gli fece capire che noi eravamo un gruppo speciale per la caccia ai contabbandieri di valuta e che lo dichiarava in arresto. Gli  mise a fianco i due più alti della compagnia per accompagnarlo al nostro posto di polizia. Il povero diavolo cominciò a protestare, a lagnarsi, a piangere. Domenico non si faceva intenerire e quando il tizio tirò fuori tutti i soldi che aveva in tasca e glieli offrì, andò su tutte le furie e minacciò di denunciarlo per tentata corruzione. Gli disse poi che se diceva chi erano i suoi fornitori di denaro e dove teneva le scorte, avrebbe forse ottenuto la denuncia a piede libero.Ci accompagnò a casa sua. Viveva solo e la moglie ed i figli citati nelle sue lamentazioni non esistevano.
Saltò fuori una borsa abbastanza grossa di dracme. Gli raccomandò di non muoversi di casa fino all'arrivo della scientifica e disse che avrebbe piazzato due guardie davanti al portone. Dopo di che ce ne andammo ricchi abbastanza per spassarcela per quindici giorni ad Atene. Devo far notare che, pur se noi non lo sapevamo,  i soldati avevano il dovere di fermare e segnalare alla polizia i contrabbandieri di valuta. La sola differenza tra crimine e legge stà nel fatto che i soldi hanno fatto divertire noi e non loro. Infatti alla sera eravamo già in uno dei più esclusivi night. Enrico ci aveva preceduto.Aveva cambiato i soldi. Penso che avesse già delineato una linea di condotta.Era seduto ad un tavolino con una bella signora carica di gioielli, di venti anni più vecchia di lui. I due sembravano immersi in teneri colloqui. Ci sedemmo non molto lontano. Ci guardò quasi ignorandoci. Rispettammo la sua privacy.
Dopo un po' si avvicinò e ci chiese se qualcuno di noi se la sentisse di fargli da testimone per il matrimonio. Ci guardammo stupiti, sapendo che era già sposato. In effetti non aveva più la fede nuziale
al dito.Ci fece segno di stare zitti,e rinnovò la richiesta. Due accettarono di fare da testimoni ad un matrimonio che aveva tutto il sapore di una burla.La cerimonia doveva avvenire la mattina dopo. Il nostro comandante di compagnia ci aveva concesso una specie di licenza settimanale, purché uno di noi andasse giornalmente in compagnia a sentire se c'erano novità. La prosperosa signora era la regina di una tribù di zingari, e si diceva che avesse uno zampino anche nell'attività del contrabbando greco. Il giorno dopo fu celebrato, con il cerimoniale gitano,un sontuoso matrimonio. Enrico si comportò da felice novello sposino, e la sua grinta sprizzava gioia e soddisfazione da ogni poro. Tredici giorni dopo partimmo per l'Africa, dall'aereoporto di Corinto. Dietro la recinzione la sposina si struggeva in lacrime.
Enrico non aveva voluto rimanere. Avrebbe potuto divenire il re della mala di Atene. Ma la sua compagnia lo aspettava e non ebbe esitazioni. Passò attraverso  l'inferno di El Alamein, fu fatto prigioniero, come tutti i superstiti, e rinchiuso nel campo 309. Conobbi il seguito della sua storia da uno della mia compagnia che, come me, non aveva accettato la collaborazione con gli inglesi ed era stato trasferito al 305 P.O.W Criminal Camp. Era stato pochi giorni nel campo ed era poi riuscito a fuggire. 
Aveva raggiunto il Cairo ed in pochi giorni era riuscito a circuire e sposare la figlia anzianotta di un ricco mercante. Riuscì ad avere tutti i documenti necessari per poter vivere fra gli inglesi con una certa tranquillità. Penso che alla fine delle ostilità sia tornato in Italia. Ho tentato di rintracciarlo, ma il suo cognome é troppo comune nella zona da cui proveniva. Ciao, Enrico. Se ci sei ancora e ti riconosci 
in queste righe, cerca di farti sentire. Ti ricordo con tanta simpatia.
 
Emilio Camozzi


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