FLASH DI GUERRA 2°
CRONACA SPICCIOLA QUOTIDIANA DA  EL ALAMEIN
(14.11.00) 

Vuole essere chiamato solo Tino, e non ci ha mai rivelato l'origine di tale diminutivo. Ha trentadue anni, e li porta in modo stupendo. Una testa da antico romano su un corpo da pentatleta. 

Ha fatto tutte le guerre in calendario: Africa Orientale e Spagna. Sa tutto della guerra. 

Il capitano lo usa come jolly della compagnia. Se qualcuno si trova in difficoltà e non sa come 

venirne fuori, il capo manda Tino e quello mette a posto tutto. La sua onniscienza è conosciuta in tutta la Folgore. Se un mortaio o un cannone non funzionano a dovere, se qualche arma si inceppa ed è difficile riadattarla, se qualche motore di jeep o di camionetta fa i capricci, Tino va e sistema tutto. E' l'unico della compagnia che sappia guidare un automezzo. Sa anche usare la radio, ma ne ha una conoscenza molto limitata perché ha sempre avuto troppo da fare per altre cose o poco tempo da dedicare all'apprendimento del Morse. Per entrare nei paracadutisti credo abbia dovuto fare carte false. All'inizio della guerra chiese ed ottenne di essere arruolato nel suo vecchio battaglione. Appena seppe che era in formazione un reparto di paracadutisti, sia per amore dell'avventura, sia perché era l'unica cosa che in guerra non aveva provato, si dette da fare per arrivare a Tarquinia. Alla visita medica non lo volevano nemmeno prendere in considerazione. Per essere sano, sì, era sano. Ma come si poteva far coesistere un trentaduenne senza un grado fra ventenni carichi di vitalità e non certo portati al rispetto che si deve a chi ha più anni?. E poi perché dopo due guerre fatte dal primo giorno all'ultimo uno non aveva nemmeno una strisciolina di grado?. Io ho provato a chiederglielo e lui, con malagrazia, mi ha risposto che a lui le lasagne piacciono condite con il pomodoro e non appiccicate al braccio. Dovette elencare tutte le sue esperienze per trovare qualcuno che gli concedesse fiducia e accettasse il suo arruolamento. Me lo trovo fra i piedi il 24 ottobre, accompagnato da Carlo. Spero tanto che i due non mi siano stati mandati in sostituzione del tipo che avevo appena rimandato in compagnia. Per fortuna devono controllare la linea telefonica che collega il comando raggruppamento al VII battaglione, che era stata interrotta. Sono passati a trovarmi e, poiché è noto che io non posso sorbire alcolici per via dell'intercolite, (tutti sanno che ne sono affetto perché, dicono, sono stato tanto stupido da aver rifiutato il rimpatrio) sono venuti a bere un bicchierino. Non ho bicchierini e passo a Tino, che aveva già preso possesso della tanica del cognac, il mio gavettino. Dice che è sporco, e beve a canna. Impressionante! Era un cognac abbastanza buono, ma, data la sua alta alcoolicità, lo chiamiamo acido muriatico. Butto là che ne lasci un goccio anche a Carlo. Si stacca con riluttanza dalla tanica e la passa a Carlo che se ne versa una razione normale nel gavettino. Tino è seduto sull'orlo della buca, Carlo è dentro. Gli inglesi sparano come dannati. Vedo che Tino ogni tanto si mette al riparo, poi torna fuori. Quando rientra i colpi d'artiglieria scoppiano nei pressi della buca. Gli chiedo qual'è il Santo che lo protegge o se si è messo d'accordo con gli inglesi. 

"San Tino", mi risponde, e spiega:" Levati dalle orecchie i colpi che arrivano. Hanno un suono aspro, cattivo. Sono quelli che fanno male. Ascolta questi piccoli botti, lontani, un pò ovattati. Sono i colpi in partenza. Sembrano tutti uguali, ma se stai attento, ogni tanto senti un botto particolare, leggermente più forte e deciso. E' quello prodotto dal cannone che ti spedisce una pillola personale. Prova ad ascoltare". Silenzio nella buca. :"Ecco hai sentito?". E si butta giù.:"Questo è nostro". Non ha nemmeno finito di dirlo che una granata scoppia a dieci metri circa dalla buca. :" Me lo merito un altro goccetto", è il commento. Una sorsata poi :" Andiamo Carlo è ora di andare a vedere che cosa hanno combinato quei bastardi. Io prendo in mano il filo, tu vienimi dietro. Quando ti dico buttati, tu ti butti senza aspettare un secondo. Intesi?. Entro un'ora siamo di ritorno. Se non hai più cognac berremo anice". Se ne vanno a carponi, per non beccare qualche scheggia che sfarfalla nei dintorni. Poco più in là passa il filo del telefono interrotto. Non devono far altro che seguirlo. Ma sotto quella gragnola di schegge, e con i piedi che affondano nella sabbia, camminare non è semplice. Io me ne torno alle solite mansioni: ogni mezz'ora un dispaccio in uscita ed uno in entrata.: Sostituisco la dormitina di un quarto d'ora con l'allenamento ai botti. 

Finalmente li distinguo con esattezza. Ora devo usare il sistema che ho già sperimentato per 

non tener conto dei colpi delle granate quando ricevo i segnali Morse. Basta memorizzare bene il tipo di suono e imporre alle orecchie di sentire solo quello e non gli altri. Non è difficile. Solo che ci vuole una guerra per sperimentarlo. E' passata un'ora e mezza, e i due non sono ancora tornati. 

Comincio ad essere in pensiero. Approfitto di un appuntamento senza alcun dispaccio da spedire 

e mi auguro che non ce ne siano nemmeno in arrivo, e vado a cercarli. La linea non è molto popolata, sia perché il fronte è molto lungo, sia perché la Divisione è ormai ridotta alla metà per morti, feriti, malati e prigionieri. C'è la possibilità di essere colpiti, e nessuno se ne accorge. 

Infatti a trecento metri circa dalla mia postazione, passo vicino ad una buca. Sento dei lamenti. 

Vado a vedere. Ci sono tre paracadutisti. Due sono morti. Uno si lamenta. Ha una gamba quasi completamente staccata dal corpo, piegata in modo tale che uno stivaletto gli tocca il viso. 

Mi chiede dell'acqua. Non l'avevo portata e cerco nella buca una borraccia. La trovo a tracolla di uno dei morti. L'aiuto a bere. Mi ringrazia e mi chiede di staccargli la gamba. Non so cosa fare. 

Prendo una cinghia, gliela stringo sul troncone e levo lo stivaletto dal viso.. Una granata doveva essere scoppiata in buca due o tre minuti prima. Continua a supplicare di tagliargli la gamba. 

Mi meraviglio come, in quelle condizioni, non sia svenuto ed abbia ancora la forza di parlare. La gamba é ridotta ad un ammasso sanguinolente. Il comando del VII battaglione non deve essere molto distante. Tento di tirarlo fuori dalla buca per poterlo portare, ma tutto il movimento che 

gli faccio fare lo fanno urlare per il dolore. Mi decido. Prendo il mio pugnale affilatissimo per sopperire alle varie necessità e dò un taglio netto ai brandelli di muscolo che ancora tengono attaccata la gamba. Finalmente sviene. Riesco a tirarlo fuori dalla buca e tento di caricarmelo in spalla . Quasi ci riesco, ma poi cado lungo disteso. Niente da fare. L'intercolite mi ha ridotto ad uno straccio. Lo copro, poi di corsa, incurante delle bombe e delle schegge, seguendo il solito filo arrivo al comando. Ho la testa e la giacca inzuppate di sangue, e pensano che il ferito sia io. Spiego la situazione e due portaferiti corrono a prendere il povero ragazzo. Intanto una fila di feriti esce dal posto di medicazione. Su una barella c'è anche Carlo. Non sembra grave e quando mi vede mi sorride:" Ti sei salvato l'anice. Cosa diavolo ti è successo?". " Niente, è il sangue di un altro. E a te?". "Una scheggia mi ha portato via una fetta di culo"." Come e successo?". " Tino continuava a gridarmi :buttati giù, buttati giù, e mi sono stufato. Mi sono sdraiato con calma ed una scheggia mi 

ha affettato il sedere. Tino mi ha caricato in spalla bestemmiando come un turco e maledicendomi in tutte le lingue mi ha portato al posto di medicazione. La linea è stata riparata. Tino è tornato in compagnia" Intanto arriva anche il ragazzo che avevo mandato a prendere. E' sempre svenuto, e, per quanto ne so io, può anche essere morto. A me piace pensare che ce l'abbia fatta. Il suo sangue è ancora in parte visibile sulla mia giacca esposta al museo della Nembo a Pistoia. Forse, dopo tanti anni, non si vedrà quasi più. Ho a che fare con Tino durante la ritirata. Guida il camioncino che trasporta la mia trasmittente. Ogni relitto di carro armato o di vettura che vede, si ferma e va a vedere se può ricuperare un pò di benzina. Qualche volta ce la fa, ed allora fa una carezza al relitto. La maggior parte hanno già ricevuto altre visite, ed allora da un calcio e bestemmiando vien via. Quando il generale ordina la resa, lui non ci sta. Carica sul camioncino tutti quelli della compagnia che trova e fila via. Esce dalla piana girando dietro ad una duna e si trova davanti un lago di circa due chilometri. Aveva piovuto. Uno di quegli acquazzoni improvvisi, non molto frequenti ma abbondanti, usuali nel deserto. Ai lati del lago ci sono due camionette inglesi, forse ferme per fare rifornimento di acqua. Non ci pensa un momento; prende la rincorsa e si getta nell'acqua. Questa lambisce il cassone ed il motore. Gli inglesi sventagliano pallottole dai lati del lago, ma sembra non ci vogliano colpire. Passano tutte sopra di noi. Sembrano volerci dire : "Tanto vi prendiamo lo stesso". Tino ce la fa a passare e prosegue . Passiamo una notte all'addiaccio, cercando di riposare il più possibile. Due tedeschi, trovati sulla nostra strada, ci avvisano che davanti a noi c'è un grande campo minato. Loro conoscono il varco, ma con l'oscurità non riescono a vedere i segnali che lo delimitano. Quindi tutti a nanna. La mattina dopo quattro carri armati inglesi ci circondano. 

Comincia qui la prigionia. 
 

Emilio Camozzi


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