FLASH DI GUERRA 3°
QUALCHE INGLESE  BUONO C'E'
(27.11.00) 

Un avvertimento per coloro che hanno il coraggio di leggermi. Colui che si è arrogato il diritto di eleggersi capo, mi dice che devo lavorare di più. Solo che, data la mia non più tenera età, non riesco ad imbrigliare i ricordi. Li devo lasciar scorrazzare nella prateria della memoria, e là dove si fermano, là li devo lasciar brucare. Tutto questo per giustificare la non esatta sequenza cronologica di ciò che racconto. 
 

ANCHE QUALCHE INGLESE E' BUONO 
 
 

Qualcuno dei miei amici potrà anche dire " Cucinato come?". Lo dimostro. La mia compagnia non vuole sottostare alla resa ordinata dai nostri capi. Ci carichiamo tutti sul camioncino che già contiene la radio e che potrebbe contenere altre dieci persone e non 

cinquanta come quelle che pretendono e riescono a farsi caricare, giriamo dietro ad una duna, attraversiamo una specie di laghetto formato dalla pioggia miracolosamente caduta dal cielo e, malgrado le cannonate, per fortuna non giunte a segno, che gli inglesi rabbiosamente e generosamente ci mandano, riusciamo a squagliarcela. La nostra é una libertà provvisoria perché dopo venti ore circa siamo di nuovo catturati. Solita procedura: malati e feriti da una parte, perquisizione per tutti, alleggerimento dei souvenir 

che gli inglesi ti chiedono gentilmente, qualche volta strappandoteli di dosso. Infine l'ingiunzione, per coloro che possono camminare, di andare verso nord, dove ci sapranno dire cosa fare, ed a gruppetti, così come ci mollano, senza nessuna scorta, andiamo alla ricerca del campo di concentramento. Io vado con Ferrari e Conti. Siamo tre sottufficiali e sempre siamo stati assieme. Ci hanno diviso le sole esigenze della guerra. Ora ci siamo riuniti. Finché gli inglesi ci vedono, andiamo a nord, poi giriamo decisamente ad ovest. 

Mondo cane, le nostre linee sono da quella parte, e là dobbiamo andare. Camminiamo di buona lena in un deserto che sa proprio di deserto. Non sembra neanche di essere in guerra. 

Ogni tanto qualche relitto di carro armato o di autocarro ci ricorda che anche lì c'è stato qualcosa. Ma il fatto di non trovare traccia di nessuno, né inglesi né italiani né tedeschi, ci fa pensare che o siamo stati completamente dimenticati, o ci hanno tenuti là con la speranza che, dati i precedenti, potessimo vincere la guerra da soli. Alla sera ci fermiamo stremati. La carcassa di un grosso carro armato scingolato ci attira. Entriamo e giudichiamo sufficiente lo spazio per sdraiarci comodamente. Abbiamo un paio di borracce d'acqua mista a sabbia raccolta nelle pozzanghere dopo la pioggia. Come cena può bastare. Un sonno di piombo suggella il nostro primo giorno di ritirata supplementare e beatamente possiamo sognare marmitte di fumanti e profumate pastasciutte e mastodontiche bistecche al sangue, servite da dolci fanciulle che, guarda un pò, hanno tutte il viso delle ultime prostitute frequentate. 

( Continua) 
 

Emilio Camozzi


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