AVEVO 22 ANNI ED ERO UFFICIALE  DEL RGT FOLGORE R.S.I.
         ( a cura del COMANDANTE TOMASINA .Intervento al Rotary Monza del
13.02.01)

Io comandavo una Compagnia del Rgt. Paracadutisti “Folgore” dell’Aeronautica della R.S.I.. 

Il Reggimento, nel maggio del 1944, ha combattuto, sul fronte di Roma, una disperata battaglia per la difesa della Capitale. A causa delle forti perdite subite il Reggimento dovette ripiegare al Nord per riorganizzare i Reparti con l’afflusso dei rincalzi e prese poi posizione sui confini delle Alpi Occidentali dislocando alcuni reparti nelle valli piemontesi per garantire la sicurezza del territorio. Nel febbraio di quell’anno I Paracadutisti del Raggruppamento “Nembo”, poi divenuto 2° Btg. del Reggimento, erano stati i primi, dopo l’otto settembre, a riprendere le armi schierandosi alla testa di ponte di Anzio e pagando un alto tributo di sangue.

Nel mese di luglio del 1943, dopo l’arresto di Mussolini, avevo ascoltato alla radio la voce di Badoglio, nominato primo ministro, che proclamava al popolo italiano, testualmente: “La guerra continua. L’Italia mantiene fede alla parola data, gelosa custode delle sue tradizioni nazionali…” ed ancora oggi provo vergogna per quella falsa ed indegna affermazione. In settembre, quando fu annunciato il tragico armistizio, mi trovavo a Santa Severa, un piccolo paese sul litorale laziale, con il X° Rgt. Arditi, un Reparto particolarmente addestrato per colpire obiettivi dietro le linee del nemico. Vennero ad avvertirmi che una tradotta militare, proveniente dalla Francia, era ferma alla stazione con i fanti del 79° Rgt. “Lupi di Toscana” il Reggimento dove, nell’estate del 1941, mi ero presentato da recluta. Gli Ufficiali non conoscevano la loro destinazione e non avevano ricevuto istruzioni ma da loro seppi, con incredulità e l’animo angosciato, che Badoglio ed il Re erano fuggiti da Roma rifugiandosi nell’Italia meridionale lasciando un intero esercito senza ordini ed una nazione allo sbando.

Allora avevo 22 anni, ero un Ufficiale che sentiva l’orgoglio d’indossare la divisa e l’impegno a compiere il proprio dovere, fino in fondo, anelando al combattimento, con l’entusiasmo e la purezza, lasciate che lo dica, della mia giovinezza. Mi venne di ricordare, in quei drammatici giorni, che alla Scuola Allievi Ufficiali di Salerno, essendomi classificato tra i primi del Corso, avevo avuto l’onore di ricevere, direttamente dalle mani del Principe Umberto di Savoia, allora Generale Ispettore della Fanteria, la sciarpa azzurra della nomina ad Ufficiale, un gesto che mi aveva esaltato ma il rievocare quel momento mi procurò una profonda indignazione. Mi resi conto che quell’annunciato e tragico armistizio infangava l’onore militare e dell’Italia ed il primo pensiero, pur con la consapevolezza che la guerra era ormai perduta, fu di riscattare la vergogna del tradimento rifiutando la resa incondizionata e riprendendo le armi al fianco dell’alleato tedesco. Era una decisione dettata dalla mia coscienza e dalla mia dignità d’Ufficiale dell’Esercito Italiano. 

Raggiunsi poi Tradate dove si era trasferita la Scuola Militare di paracadutismo ed era stato costituito il Raggruppamento Arditi Paracadutisti dell’Aeronautica Repubblicana al comando del Ten. Colonnello Dalmas, un valoroso Ufficiale già Comandante in Africa del Battaglione Paracadutisti incursori della Regia Aeronautica. A Tradate arrivarono da tutta Italia i volontari che si erano presentati ai Centri di reclutamento e davvero straordinario fu il numero di reduci, studenti, operai ed uomini d’ogni condizione professionale e sociale che chiesero di arruolarsi. A Tradate, dove ora esiste il nostro Sacrario Militare, nacque il Btg. “Azzurro”, incorporato poi nel Rgt. “Folgore”, e da lì il Btg. partì per il fronte di Roma.  Alla fine del 1944, dopo aver rimpiazzato le perdite subite, la forza del Reggimento era di 2704 Paracadutisti (più otto Ausiliarie) e quasi il 51% aveva un’età compresa tra i 17 ed i vent’anni: io ne avevo solo 22 e mi consideravano già un anziano. Ma erano giovani che seppero battersi eroicamente e morire da veri soldati. Molti di loro, in modo vile ed indiscriminato, pagarono con la vita la fierezza d’indossare la divisa grigio-azzurra dell’Aeronautica Repubblicana.

Voglio ricordare un Paracadutista della mia Compagnia: si chiamava Umberto Scaglianti ed era un reduce di El Alamein. Nel dicembre 1944 fu catturato dai partigiani nella valle di Lanzo e tradotto in montagna. Gli promisero salva la vita se avesse disertato ma alle reiterate profferte egli rispose con fermezza: “Un Paracadutista della “Folgore” non tradisce” ed affrontò la fucilazione con sereno coraggio. Era della classe 1922, un generoso “ragazzo” di quella leggendaria Divisione diventata un simbolo che entrò nella Storia. Non è retorica: quegli Eroi hanno sublimato il valore dei soldati italiani e suscitato l’ammirazione del nemico che, nel deserto africano, rese agli ultimi superstiti, a quei leoni, come li chiamò Churchill, l’onore delle armi.  La memoria della loro epopea è rimasta scolpita nei nostri cuori.

Noi che ci arruolammo nell’Aeronautica Repubblicana e scegliemmo di continuare a combattere nei ranghi del nuovo Rgt. “Folgore” sentivamo l’orgoglio di aver raccolto quella tradizione di nobiltà e d’eroismo della quale dovevamo essere degni: e ne furono degni i “ragazzi” che sacrificarono la vita ad Anzio, a Roma, sulle Alpi occidentali e nelle valli piemontesi, i “ragazzi” del Comandante Edoardo Sala.

Questa continuità ideale, unita all’eccezionale spirito d’appartenenza, è stata esaltata da uno straordinario episodio.  Era il 5 maggio del 1945, la guerra era finita ed il nostro Reggimento si era arreso in Valle d’Aosta, con l’onore delle armi, alla 1a Divisione corazzata Americana. Con una commovente, indimenticabile cerimonia ogni Paracadutista, davanti ad un nemico vincitore che assisteva con rispetto, aveva consegnato la propria arma nelle mani del Comandante del Reggimento e molti occhi erano umidi di pianto. Tutte le armi erano state ordinate e chiuse in un locale dell’Hotel Billia di Saint Vincent e la chiave consegnata al Comandante americano. Il giorno successivo i Paracadutisti furono avviati verso il campo di concentramento di Coltano, vicino a Pisa, e la colonna degli autocarri, nei pressi del ponte di barche sul Po a Piacenza, incrociò un’altra colonna, diretta al Nord, che trasportava i Paracadutisti che avevano combattuto contro i tedeschi con i Reparti del Regio Esercito del Sud. Si riconobbero, i commilitoni che la guerra aveva diviso, e scesero dagli autocarri per abbracciarsi e fu allora un generale istintivo abbraccio mentre i soldati americani della scorta e gli inglesi guardavano sbalorditi e senza capire. Quando le colonne ripresero a muoversi verso opposte direzioni si alzò forte il canto di battaglia dei Paracadutisti italiani “Come Folgore dal cielo…”.

Passarono gli anni, e i Paracadutisti reduci dalla guerra si ritrovarono nelle Associazioni d’Arma unendosi ai nuovi giovani che, con immutato entusiasmo, affluivano ai corsi di paracadutismo ed a quelli che avevano prestato il servizio di leva nella Brigata. Quel rinnovato spirito di solidarietà esaltava le tradizioni della ”Folgore” raccogliendone il glorioso retaggio. Essere Paracadutista in pace è un titolo di coraggio, di passione per il cielo e l’ebbrezza del lancio, ed è anche e soprattutto una distinzione che impone, sempre ed in ogni circostanza, non l’esibizione ma un comportamento civile ed esemplare. 

Oggi ricordiamo con ammirazione e gratitudine anche i Paracadutisti militari delle ultime generazioni che, rischiando ancora la vita, hanno compiuto valorosamente, inquadrati nei contingenti della NATO, le umanitarie ma difficili missioni di pace e sono tuttora impegnati senza alcun risparmio dimostrando al mondo valore ed efficienza.

Nel 1984, quasi quarant’anni dopo la fine delle ostilità e della guerra civile, il Maggiore Edoardo Sala, ultimo Comandante del Rgt.“Folgore” della R.S.I. e Presidente onorario dell’Associazione Nazionale Paracadutisti d’Italia, nella ricorrenza dell’anniversario della battaglia per la difesa di Roma, pronunciò queste nobili parole: “Inchiniamoci a tutti coloro che credettero nei destini della loro Patria, che combatterono per difenderla, non importa se al di qua o al di là di artificiose barriere ideologiche che possono aver diviso i corpi ma che mai divisero i Paracadutisti d’Italia”. Sono le parole incise nel marmo del monumento che sarà collocato, grazie alla meritoria iniziativa della Sezione di Monza, nel locale cimitero ad imperitura memoria di tutti i Paracadutisti che, in guerra ed in pace, ci hanno indicato la giusta via del dovere e dell’amore per la Patria. Il Maggiore Edoardo Sala è scomparso nel 1998, all’età di 85 anni, e riposa, per sua espressa volontà, nel Famedio Militare del Cimitero del Verano a Roma accanto ai suoi “ragazzi” caduti “Per l’Onore d’Italia”.

Io ho scritto e letto queste righe senza alcuna presunzione e vi ringrazio per avermi ascoltato. Sapete che nella vita d’ogni uomo arrivano sempre i momenti cruciali delle decisioni importanti ed anche estreme. Nel settembre del 1943 io non sono fuggito ed ho preso, senza esitare, la decisione che credevo giusta: una decisione che ha dato un significato alla mia giovinezza e lo posso dire ora che sono alla soglia del mio 80° compleanno. 

Lasciatemi allora terminare con il grido della nostra indistruttibile identità: Paracadutisti, “Folgore”!





Rotary Club Monza Nord - Lissone, 13 febbraio 2001
Incontro organizzato dalla Sezione A.N.P.d’I. di Monza 

Una testimonianza di FrancescoTomasina (Tom) 



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