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Pubblicato il 19/06/2024

106 ANNI DALLA MORTE DI FRANCESCO BARACCA

di Carlo Migliavacca

Come oggi 106 anni fa cadeva sul Montello il Magg. Pil. Francesco Baracca, Medaglia d’Oro al Valor Militare, definito l’”Asso degli Assi”. La qualifica di “Asso” si attribuiva a chi aveva ottenuto almeno 5 vittorie nei combattimenti aerei. “Asso degli Assi” in quanto con i suoi 34 abbattimenti accertati, per qualche storico addirittura sono 36, Baracca si colloca al primo posto assoluto della speciale classifica dei piloti che hanno ottenuto il maggior numero di vittorie, un record tutt’ora imbattuto.
E che, per ovvie ragioni, speriamo non debba mai essere superato. Un primato che ha resistito anche ai combattimenti aerei della Seconda Guerra Mondiale ed è arrivato fino a noi. Baracca nasce a Lugo di Romagna il 9 maggio 1888 da una famiglia benestante. Il padre Enrico è un uomo d’affari e proprietario terriero, la madre, Paolina De Biancoli, è una contessa. I genitori avrebbero voluto per il figliolo una laurea che gli consentisse di portare avanti gli affari di famiglia, ma, per il piccolo Francesco, pur avendo dimostrato una mente brillante ed intelligente, la scuola non è un priorità, preso com’era a dare sfogo alla sua naturale esuberanza negli sport all’aria aperta e nell’equitazione, specialità in cui eccelleva. A seguito di queste sue attitudini, dopo il Liceo, decide di arruolarsi nell’Esercito frequentando l’Accademia Militare di Modena, dalla quale esce nel 1909 con il grado di Sottotenente.
La sua destinazione è la Scuola di Cavalleria di Pinerolo, la sua specialità preferita. Alla fine del corso è assegnato al prestigioso 2° Reggimento di Cavalleria “Piemonte Reale” di stanza a Roma, dove può coltivare con profitto le sue passioni arrivando a vincere il trofeo ippico di Tor di Quinto. Nel corso della sua permanenza a Roma ha modo di assistere ad uno dei primi spettacoli aviatori. L’aeronautica è ancora una neonata, una specialità che aveva visto la sua nascita solo pochi anni prima, esattamente nel 1903 con i primi voli dei f.lli Wright a Kitty Hawk, nella Carolina del Nord. Il giovane Baracca, un ragazzo dal carattere avventuroso ed intraprendente, rimane subito affascinato da quei “pazzi sulle macchine volanti”, e immediatamente decide di offrirsi volontario per entrare nel “Battaglione Aviatori”, un reparto militare, per il momento ancora inquadrato nell’Esercito, appositamente creato per accogliere quella nuova arma. La sua richiesta viene accolta e quindi mandato alla Scuola di volo di Bètheny in Francia dove il 9 luglio 1912 ottiene il brevetto di pilota. Alla vigilia della Prima Guerra Mondiale viene inviato di nuovo in Francia, e più precisamente a Parigi, per addestrarsi al passaggio sul velivolo Nieuport 10.
Nel luglio del 1915, a conflitto iniziato, rientra in Italia e cominciano per lui le missioni di guerra. Nonostante l’Italia fosse stata la prima nazione al mondo ad utilizzare l’aeroplano in combattimento durante la guerra italo-turca del 1911/1912, sganciando alcune bombe a mano sul nemico dai velivoli, i primi mesi di guerra per la nuova arma sono interlocutori. Gli aeroplani vengono utilizzati quasi esclusivamente per compiti di ricognizione o per dirigere il tiro delle artiglierie, infatti i voli avvengono con i velivoli disarmati. Non di rado, all’incrociarsi fra aeroplani italiani ed austriaci, i piloti si salutano sbracciandosi amichevolmente. Questa idilliaca quanto surreale situazione naturalmente non può durare e, dopo pochi mesi, i velivoli vengono armati di mitragliatrici. Cominciano i primi veri combattimenti e Baracca è il primo pilota italiano ad abbattere un aeroplano nemico. E’ il 7 aprile del 1916, sopra i cieli di Gorizia, Baracca vince il suo duello con un ricognitore Hansa-Brandenburg e lo costringe all’atterraggio dove il suo equipaggio viene preso prigioniero. Da quel momento per Baracca si apre un periodo di intensi e drammatici combattimenti. La Storia lo ricorda come pilota dalle ineguagliabili qualità, con capacità acrobatiche eccezionali e dal grande coraggio. Coraggio che viene rappresentato al meglio dal Grifone, animale mitologico mezzo leone e mezzo aquila, emblema della sua squadriglia. Ma è sopratutto un soldato dalle rare qualità umane. Non ha mai considerato il nemico un uomo da uccidere, ma semplicemente un aeroplano da abbattere in singolar tenzone, come in un cavalleresco torneo: “è all’apparecchio che io miro non all’uomo”. La pietà nei confronti del nemico non viene mai meno, sinceramente dispiaciuto quando viene a sapere che il pilota da lui abbattuto è morto, come non manca mai di andare a rincuorare i piloti austriaci feriti ricoverati nei nostri ospedali. Spesso, dopo aver abbattuto un aeroplano, se la situazione lo permette, atterra vicino al relitto nemico per sincerarsi della sorte dell’avversario.
Un giorno dopo aver visitato in ospedale un ferito austriaco da lui abbattuto, si prende a cuore della preghiera dell’avversario che avrebbe voluto avvisare e rassicurare gli anziani genitori che lui era ancora vivo. Dopo essersi fatto scrivere un biglietto dall’austriaco il giorno dopo decolla con il suo SPAD per lanciarlo sul campo nemico. Arrivato sul campo avversario viene accolto da scariche di mitragliatrice ma lui, rischiando la vita, lancia il biglietto sul nemico al solo scopo di rincuorare due poveri genitori austriaci in pena per il loro figliolo. Le vittorie si susseguono una dopo l’altra: caccia, ricognitori, bombardieri, tanti cadono sotto i colpi implacabili delle sue mitragliere. Ormai il Cavallino Rampante, lo stemma che si è scelto raffigurato sulla fusoliera del suo caccia, in omaggio al suo passato di cavaliere, è diventato famoso ed è temuto dai suoi avversari. I superiori gli riconoscono le sue grandi qualità e gli affidano il comando di una Squadriglia: la 91^. Addirittura avrà il privilegio di scegliere personalmente i suoi piloti. Con lui voleranno uomini che diventeranno autentiche leggende dell’aria come: Pier Ruggiero Piccio, Folco Ruffo di Calabria, Ferruccio Ranza, Guido Keller e tanti altri. La Squadriglia si coprirà di gloria a suon di vittorie tanto da essere soprannominata la Squadriglia degli Assi. Ma il destino ha in serbo un amaro epilogo per il nostro pilota. Lui non si risparmia, rifiuta le licenze, è sempre in volo, il suo carattere generoso lo porta a strafare. La tragica ritirata di Caporetto incombe, non c’è tempo per il riposo, ormai si combatte per difendere il suolo italiano dall’avanzata degli austriaci. Lui è ben consapevole di questo e sui cieli del Montello va incontro al suo tragico destino. E’ la quarta missione quel giorno, il suo aeroplano è stato danneggiato, potrebbe rimanere a terra, nessuno avrebbe avuto niente da ridire, ha già fatto ampiamente il suo dovere. Ma lui, impavido ed irriducibile come al solito, prende l’aeroplano di riserva e decolla, ancora, di nuovo. Baracca è fatto così, niente potrebbe tenerlo al campo. Durante quell’ennesima missione, nel corso di un mitragliamento delle linee nemiche, arriva la scarica fatale in circostanze misteriose, non si sa se partita da terra o proveniente da un caccia nemico.



Qualcuno ha anche arrischiato l’ipotesi che, avendo preso fuoco il suo velivolo, vistosi spacciato, piuttosto che morire orrendamente bruciato si sia suicidato con la sua pistola d’ordinanza. Più volte aveva dichiarato che piuttosto di morire tra le fiamme si sarebbe sparato. Ecco perché volava armato, e come lui tanti altri piloti di quel conflitto, volare su quei trabiccoli fatti di legno e tela era come stare seduti su di un cerino. Nel caso meglio il suicidio, infatti i piloti non disponevano di paracadute, nonostante fosse già stato inventato, in quanto portarlo in volo è considerato, per la mentalità dell’epoca, poco onorevole. Comunque sia andata quel giorno l’Italia perde il suo Campione, il suo pilota migliore, un autentico esempio di coraggio ed abnegazione per tutti i suoi uomini. Anche per i Fanti italiani che avevano imparato a riconoscere ed ammirare quel Cavallino che galoppava sopra le loro teste. Temuto e rispettato anche dai nemici.
E’ il 19 giugno del 1918.
Alcuni anni dopo la sua scomparsa la madre di Baracca incontra Enzo Ferrari, amico di famiglia, ad una gara automobilistica. Ferrari ha già una sua scuderia che gareggia su automobili Alfa Romeo. La mamma si avvicina ad Enzo, vittorioso quel giorno, tra le mani ha un gagliardetto raffigurante il Cavallino Rampante, simbolo di Baracca che lui voleva sempre disegnato sui suoi aeroplani, e gli dice:” Tenga Ferrari, prenda il Cavallino del mio figliolo. Lo metta sulle sue automobili vedrà che le porterà fortuna.”

La leggenda del Magg. Pil. Francesco Baracca è bruciata insieme al suo biplano SPAD VII ma dalle sue ceneri un altra leggenda nascerà. Una rossa leggenda che arriverà fino a noi ed è più viva che mai. Una leggenda nata nei cieli infuocati della Prima Guerra Mondiale.

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