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Pubblicato il 13/01/2015

13 GENNAIO 1842: IL SANGUE GIA’ SCORREVA A FIUMI IN AFGANISTAN. CARNEFICINA DI INGLESI

PARMA- Il 13 gennaio 1842 un ufficiale medico dell’esercito britannico raggiungeva il posto di guardia inglese a Jalalabad, nell’Afghanistan orintale, unico sopravvissuto di un corpo di spedizione anglo-indiano formato da 16.000 uomini, donne e bambini, la maggior parte dei quali era morta durante la ritirata da Kabul.
Il superstite raccontò di una terribile carneficina avvenuta al passo di Khyber, in cui gli afgani, dopo aver sconfitto le forze britanniche, non avevano dato scampo ai superstiti.


Molti furono anche coloro che morirono di freddo, o per mancanza di cibo durante la marcia. L’ultima resistenza compiuta dai superstiti del 44° Reggimento di Fanteria East Essex avvenne a Gandamak, dove su una collinetta ghiacciata 20 ufficiali e 45 soldati Inglesi si rifiutarono di arrendersi e furono travolti dal nemico.
Nel XIX secolo la Gran Bretagna, con l’obiettivo di proteggere dalla Russia i propri possedimenti coloniali in India, aveva cercato di instaurare in Afghanistan un governo vicino agli interessi di Londra tentando di sostituire l’emiro Amir Dost Mohammad con Shuja Shah, noto per essere favorevole agli Inglesi. Questa palese interferenza negli affari interni dell’Afghanistan aveva innescato nel 1839 lo scoppio della prima guerra anglo-afghana.

Dost Mohammad si arrese alla forze britanniche nel 1840 dopo l’occupazione inglese di Kabul. Tuttavia dopo una rivolta scoppiata nella capitale, agli Inglesi, impossibilitati a rimanere a Kabul, non rimase altra scelta che quella di ritirarsi. Il ripiegamento iniziò il 6 gennaio 1842, e avrebbe dovuto portare la colonna a coprire 140 chilometri per raggiungere Jalalabad, ma il cattivo tempo lungo le montagne dell’Hindu Kush ritardò la marcia. Una volta partita la colonna, nonostante le promesse di pace di Akbar Khan, fu ripetutamente attaccata da torme di guerrieri afgani, e molti di coloro che non caddero in combattimento e furono presi prigionieri furono successivamente uccisi. Circa 4.500 soldati – di cui 700 Inglesi e 3.800 Sepoy indiani – e 12.000 tra attendenti di campo e famigliari delle truppe persero la vita. Il comandante inglese, Sir William Elphinstone, abbandonò vergognosamente l’esercito e si consegnò agli Afgani per aver salva la vita; morirà in prigionia pochi mesi dopo.

Un gruppo di cavalieri britannici si recò nel villaggio di Futtehabad, a soli 25 chilometri da Jalalabad, in cerca di cibo; caddero in un’imboscata e furono tutti massacrati, ad accezione dell’ufficiale medico William Brydon, il cui drammatico arrivo a Jalalabad Elizabeth Butler immortalò anni più tardi in un famoso dipinto intitolato Remnants of an Army, I Resti di un Esercito. Alla domanda su dove si trovasse il resto dell’esercito, Brydon rispose semplicemente: “ Io sono l’esercito”. Per diverse notti le trombe furono fatte squillare dalle mura di Jalalabad, nella speranza di guidare eventuali sopravvissuti alla salvezza, ma inutilmente. Solo alcuni Sepoy nascostisi fra le montagne riuscirono a rientrare alla piazzaforte nelle settimane successive.
La Gran Bretagna fu letteralmente scioccata nell’apprendere della disfatta. Alcuni prigionieri Inglesi, fra cui 32 ufficiali, un cinquantina di soldati, 12 donne e 21 bambini sopravvissuti furono rilasciati nel Settembre del 1842.
Un numero imprecisato di sepoy e altri prigionieri indiani furono venduti come schiavi a Kabul o nei villaggi di montagna. Uno di loro, Havildar Sita Ram, riuscirà a fuggire dall’Afghanistan dopo 21 mesi e farà ritorno al suo reggimento a Delhi. La rappresaglia Inglese non si fece attendere e nel 1843 un nuovo corpo di spedizione invase l’Afghanistan e bruciò una parte di Kabul, riuscendo anche a liberare circa 2.000 sepoy e altri civili che saranno riportati in India.
Sarà solo nel 1878 al termine della seconda guerra anglo-afghana che la Gran Bretagna riuscì ad ottenere il controllo degli affari esteri dell’Afghanistan.

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