OPINIONI

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Pubblicato il 02/03/2015

1945: 15 CADUTI IN BATTAGLIA A FABBRICO (REGGIO EMILIA) . SOLO 4 QUELLI RICORDATI

di Paolo Comastri

Il 27 Febbraio 2015 si è commemorato a Fabbrico in provincia di Reggio Emilia il 70.o anniversario della così detta “battaglia”.

Ancora una volta, attraverso le colonne del quotidiano locale Gazzetta di Reggio del gruppo L’Espresso, se ne da, se ne vuole dare, una versione distorta, celebrando oltre tutto le 4 vittime partigiane e sottacendo completamente le 11, undici, di parte avversa, militi della Guardia Nazionale Repubblicana.

Come se esistessero morti di seria “A” e di serie “B”; gli uni martiri santificati e gli altri gentaglia da avvolgere nel più infame oblio……..Storia vecchia questa nelle terre reggiane, fulcro ed epicentro di quell’orrendo e tragico territorio denominato triangolo della morte.

Ma tant’è.

Occorre allora raccontarla seriamente quella vicenda, facendo ricorso non ad una discutibile vulgata resistenziale, ma a documenti e testimonianze inoppugnabili, e per comprendere cosa davvero avvenne a Fabbrico occorre sottolineare che ogni 27 Febbraio in questo comune, caso davvero più unico che raro, la festa del patrono, San Genesio, è stata sostituita con la commemorazione della battaglia partigiana.

Ecco dunque i fatti.

Il 26 febbraio 1945 uno sgangherato camioncino della Brigata Nera di Novellara, alla ricerca di mezzi e vetture da requisire per quella che si preannunciava una prossima ritirata, cade in un agguato a Villa Ferretti di Fabbrico.

Nello scontro i fascisti hanno la peggio ed il Milite Lino Luppi di 19 anni rimane ucciso.

Peggior sorte tocca ai prigionieri; Domenico Cocchi di 22 anni, viene quasi decapitato da una raffica di mitra sparata a bruciapelo, il Capitano Ianni, 38 anni, ha il ventre squarciato da una bomba a mano e mentre gli viene sparato il colpo di grazia ineggia al Duce. I partigiani infieriscono poi con inaudita crudeltà sul giovanissimo Sanferino, 18 anni di Novellara, che ancora in vita viene annegato in un pozzo nero tra urla strazianti udite dai vicini..

A questa violenza partigiana risponde una follia tutta “repubblichina”; nella notte nebbiosa il portone della caserma della Brigata Nera di Reggio Emilia si spalanca e ne esce una squadra composta di giovanissimi militi; a vendicare Sanferino il comando della Brigata Nera invia la “Giovanile” composta da ragazzi poco più che adolescenti con in testa il berretto “alla sciatora” ed il simbolo della morte. Sono senza alcuna esperienza di guerra, ancora inesperti all’uso delle armi, tanto che vengono accompagnati da una squadra della Guardia Nazionale Repubblicana, esperti reduci dal fronte Jugoslavo. Tutti insieme si incamminano quindi a piedi nella notte alla volta di Fabbrico. Arrivati all’alba sul luogo dello scontro estraggono dal pozzo nero il corpo di Sanferino, lo trasportano nella piazza del paese, lo appoggiano nudo sul selciato con a fianco una mitragliatrice e chiamano in strada gli abitanti esigendo nel contempo la restituzione del corpo del Capitano Ianni.

Purtroppo non giunge nessuna risposta.

Arrestano allora 21 persone come ostaggi e partono alla volta del vicino paese di Novellara indicando un termine di 14 giorni per la restituzione delle salme di Ianni e Cocchi, pena la rappresaglia.

Nel campo ribelle gli uomini del partito comunista preferiscono lasciare che la terribile spirale attentato / rappresaglia compia il suo corso mentre i partigiani chiedono di attaccare la colonna per liberare gli ostaggi; a questa “discussione” è presente anche un non meglio identificato consigliere militare alleato che traccia persino su di un foglio di carta il piano di attacco.

In questo duro confronto prevale la linea partigiana.

E infatti mentre i fascisti incolonnati hanno da poco ripreso la strada verso Reggio Emilia a Villa Ferretti, nello stesso posto del giorno prima, cadono in una nuova imboscata.

Una mitragliatrice partigiana spazza il lungo rettilineo della strada, gli ostaggi vengono tutti liberati eccetto uno solo che purtroppo viene colpito da una sventagliata.

I militi sono in campo scoperto tanto che sono costretti a g5irare il berretto perchè il sole non si rifletta sul fregio e quindi non favorisca ai nemici l’identificazione dei bersagli. Ad ogni buon conto l’unica possibilità per loro è rifugiarsi all’interno di Villa Ferretti.

É in questa fase che il veterano Dante Scolari mostra ai ragazzi della “Giovanile” come aspettare l’attimo del cambio delle munizioni per attraversare la strada. Ma per questi ragazzini inesperti, non è cosa facile tanto che il primo, Franco Volpato di 17 anni, indeciso nell’azione, viene falciato.

Un altro giovane si ferma ad aiutarlo e cade anche lui, poi ancora un altro finchè sulla strada si forma un tragico mucchio di cadaveri; muoiono lo studente di medicina Giancarlo Angelici di 20 anni, Ugo Fringuelli di 18, Giuseppe Ghisi di 16 e Corinto Baiello di 19.

Dalla rabbia e dalla disperazione il loro Ufficiale, il tenente Ostilio Casotti, muore caricando i partigiani letteralmente all’arma bianca.

Anche i fascisti hanno una mitragliatrice, una Breda ma il milite che porta il treppiede viene colpito e cade nel canale adiacente la strada. I partigiani si fanno avanti, conquistano terreno e raccolgono sterpaglie per incendiare Villa Ferretti, trasformata frettolosamente in un ridotto nemico, ma il vento cambia.

Proveniente da Rolo entra in scena un reparto di fanteria germanico a bordo di autoblinde: i tedeschi erano in allerta e decisi a vendicare due loro staffette cadute della prima imboscata del 26 febbraio e passate per le armi.

Con il materializzarsi dei tedeschi i partigiani letteralmente svaniscono lasciando sul campo la loro mitragliatrice e tre caduti: Pietro Foroni di 23 anni, Leo Morellini di 31 e il milanese Luigi Bosatelli. Viene anche trovato il foglio sul quale il consigliere militare inglese aveva tracciato il piano d’attacco. L’unico ostaggio ucciso, Genesio Corgini, è suocero di un fratello di un milite che stava accorrendo per aiutarlo. Nelle tasche del milite Luigi Spoto, eroicamente morto con il treppiede, viene persino ritrovata una tessera partigiana.

Il corpo del Capitano ianni, davvero “omerico” motivo di questa terribile contesa, non verrà mai ritrovato, probabilmente disciolto negli acidi dei liquami o dato in pasto ai maiali di una vicina casa colonica.

É solo sul finire degli anni 80 che in tanti contribuirono a ricostruire questa vicenda; reduci di quello scontro, uomini di chiesa, abitanti del posto, parenti delle vittime, semplici cittadini alla ricerca di quelle verità che la vulgata resistenziale vergognosamente sottace e mistifica anni.

Da allora gli ex combattenti dell’Unione Combattenti della RSI, famigliari, giovani, cittadini, la mattina del 27 febbraio di ogni anno sostano in silenzio a Villa Ferretti di Fabbrico a ricordo e memoria dei Caduti.

Arriva anche il corteo proveniente da Fabbrico e diretto al cippo partigiano eretto pochi metri dopo Villa Ferretti.

Il parroco si ferma dinnanzi all’elenco dei Caduti della RSI e lo benedice, così come fa, poco più avanti, con quello dei partigiani.

La banda, ferma davanti al monumento partigiano, intona l’Inno Nazionale e TUTTI lo cantano.

Qualche politico ogni anno non rinuncia a cadere nella tentazione di augurarsi atti estremistici e provocatori, ma rimane sempre deluso.

Il tutto si svolge con severa ed austera serenità tanto che dal corteo si stacca sempre qualcuno che rende omaggio anche agli “altri” Caduti perchè, comunque, TUTTI ITALIANI

 

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