LA STORIA DEI PARACADUTISTI E NON SOLO

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Pubblicato il 25/01/2022

26 GENNAIO 1943 NIKOLJEWSKA: PIU’ DELLA TATTICA CONTARONO GLI UOMINI ( di Giorgio Battisti)

79° ANNIVERSARIO DELLA BATTAGLIA DI NIKOLAJEWKA

Ricorre quest’anno, il 26 gennaio, il 79° Anniversario della Battaglia di Nikolajewka.
Nikolajewka, in Russia, non esiste più assorbita dall’abitato di Livinka.
Eppure il nome di Nikolajewka risuona ancora. Questo nome è il ricordo di una battaglia, quella combattuta da migliaia di “penne nere” per aprirsi quel varco verso le nuove posizioni dell’asse.

“Ricordare” è molto più che un dovere morale. Ricordare significa mantenere viva una parte della nostra storia e della nostra stessa coscienza nazionale. Significa onorare quanti seppero agire con iniziativa, determinazione e coraggio sino all’estremo sacrificio.
Ma, più di ogni altra cosa, è importante non dimenticare… affinché i nostri figli sappiano, conoscano e tramandino il sacrificio dei loro padri alle generazioni future.

Il mio commosso pensiero e la mia profonda ammirazione vanno agli Alpini, Bersaglieri, Artiglieri, Carabinieri, a tutti i militari italiani che in quei difficilissimi giorni, in condizioni estreme, seppero scrivere storie costellate di esempi luminosi, di atti eroici, di abnegazione, di senso del dovere.

Nikolajewka è stata una battaglia indubbiamente minore se confrontata ad altre della Seconda Guerra Mondiale. Minore in termini di uomini e mezzi impiegati, per la manovra condotta, per i risvolti operativi e strategici assunti ma non per il valore dimostrato dai soldati italiani.

Privazioni, disperazione e sofferenza caratterizzarono quelle lunghe giornate invernali degli Alpini nel 1943… Eppure proseguirono senza mai arrendersi. Lo fecero contro un avversario forte determinato e insidioso, nella fredda steppa russa battuta dal respiro polare della Siberia – il buran – in compagnia del gelo, della fame, della sete, del sonno e della stanchezza.

Nei libri di storia questa impresa la troviamo sotto la dicitura di ritirata o ripiegamento. Ebbene… permettetemi di avere un diverso punto di vista.

Fin dai primi momenti, la marcia condotta dal Corpo d’Armata Alpino assunse i connotati di una vera e propria avanzata all’indietro di 250 chilometri.
Si rivelò un’offensiva senza tregua, aspramente contrastata dai reparti nemici e dalle bande partigiane, che vide quei Soldati battersi senza sosta per 15 interminabili giorni, fino a raggiungere il piccolo abitato di Nikolajewka.

Il Corpo d’Armata Alpino, con le sue tre Divisioni, Julia, Tridentina e Cuneense, dovette sostenere in quei terribili giorni 25 combattimenti per uscire dalla sacca del Don; 11 furono sostenuti dalla sola Divisione Tridentina.

I numeri di quella tragica pagina di storia li conosciamo tutti.
Solo 13.000 uomini degli oltre 60.000 che costituivano il Corpo d’Armata Alpino uscirono dalla sacca del Don; 7.500 furono i feriti o congelati; circa 40.000 uomini rimasero indietro, morti nella neve, dispersi o catturati.
La sola Cuneense perse quasi tutti i suoi 16.000 uomini; solo 1.400 tornarono in Italia.

Le unità furono protagoniste di gesta memorabili e l’eroico comportamento degli Alpini delle tre Divisioni rimarrà per sempre scolpito nella memoria.
Tra questi voglio ricordare le “penne nere” dei battaglioni e dei gruppi di artiglieria da montagna della Tridentina impiegati come “apripista” nelle azioni di combattimento.

Il Tenente Lino Moroni del Gruppo Udine, scriveva nel suo diario (il diario del gruppo Udine “Tasi e Tira”): “22 gennaio, passa il 6° Alpini della Tridentina con il Col. Signorini in testa che fiero, sorridente e spavaldo come sempre, conduce i suoi uomini con spirito indomabile”.

Seppur decimate, dal piombo e dal freddo, gruppi superstiti di queste Divisioni riuscirono, con ineguagliabile forza d’animo, a raggiungere e a combattere a Nikolajewka, immolandosi negli attacchi alle posizioni sovietiche, meritando il rispetto di alleati e nemici.
Questo è lo spirito alpino.
Un misto di professionalità, efficienza, abnegazione, altruismo, amore per il prossimo. Un insieme di valori che accomuna tutte le genti di montagna, di ogni latitudine e quota, e che sin dalle origini del 1872 (di cui quest’anno ricorrono 1 150 anni), sono stati interiorizzati, coltivati e arricchiti in seno alle unità alpine italiane: il più antico corpo di fanteria da montagna attivo nel mondo.

Più della tattica contarono gli uomini, il loro spirito d’iniziativa, la loro tempra, l’abnegazione ma soprattutto la loro esemplare dignità che spesso si sublimò in gesta di grande solidarietà ed in episodi di grande valore.

Valori e ideali militari che hanno caratterizzato gli Alpini sul Don ma che continuano, ancora oggi, ad ispirare e animare l’operato delle giovani “penne nere” e, più in generale, di tutti i Soldati di ogni grado, arma e specialità dell’Esercito e delle altre Forze Armate.
Basti pensare che lo spirito di corpo, il senso di responsabilità, lo slancio e il coraggio dimostrati dai sul Don sono le stesse preziose virtù umane e militari che hanno spinto il Maggiore Giuseppe La Rosa – l’ultimo dei nostri Caduti in ordine di tempo – a “fare scudo” nel 2013 con il proprio corpo al suo equipaggio per limitare gli effetti di un’esplosione in Afghanistan.
Egli prestava servizio al 3° Bersaglieri, lo stesso reggimento che ha combattuto sul Don nelle fila dell’ARMIR, nell’operazione “Piccolo Saturno” del dicembre 1942.
Nikolajewska è stata sicuramente, come ha affermato Nuto Revelli, la vittoria della disperazione, ma è stata anche e soprattutto la vittoria della volontà di reagire ad ogni costo e contro ogni sofferenza.

Nikolajewska ha dimostrato, come nei momenti di crisi, quali quelli del gennaio 1943, la disciplina, la compattezza, la determinazione e l’esempio dei comandanti siano le condizioni indispensabili per tenere uniti i reparti e portarli al combattimento, anche quando tutto sembra perso e appare più semplice cedere alle lusinghe di arrendersi.
“…Come possiamo presentarci in Italia con le mani vuote!…” Disse il Tenente Bruno Galarotti, comandante della 33^ batteria del gruppo “Bergamo” ai propri uomini. Ebbene, quegli artiglieri da montagna tornarono indietro, recuperarono i propri pezzi e fecero il loro ingresso al Brennero con gli obici.
Questi Alpini combatterono in situazioni estremamente difficili, e con riconosciuto valore, per tenere fede al giuramento prestato, alle tradizioni del proprio reparto o semplicemente per la scelta di essere Soldati o per la propria dignità di uomini.
Mario Rigoni Stern, ne “il Sergente nella neve” (1953), scriveva: questo è stato il 26 gennaio 1943. I miei più cari amici mi hanno lasciato quel giorno”.


Generale di Corpo d’Armata (R)
Giorgio Battisti
Artigliere da Montagna

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