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Pubblicato il 08/11/2021

50 ANNI DALLA TRAGEDIA DELLA MELORIA: UN GIOVANISSIMO GRIFO RICORDA I “SUOI” ANZIANI SCOMPARSI

Lo scritto che  pubblichiamo viene  da un giovanissimo VFP1,  paracadutista  del 187mo Reggimento,  della “Sesta  Grifi”.

Anche Lui è stato  positivamente  “contagiato” dallo spirito di quei paracadutisti , tutt’ora fortemente presente in quelle Camerate,  tra i suoi commilitoni e tra gli Ufficiali e Sottufficiali,  ed ha voluto  scrivere  alcune righe  in  ricordo ed in onore dei   “suoi” Anziani,  morti  quel  maledetto giorno  a bordo del C130 Gesso 4  il  9 Novembre 1971.

 

 

 

 

PER UN CINQUANTENARIO

« Grappoli di fiori bianchi
nell’ arricciarsi dell’onda
segnano la rotta del silenzio.
Guarda il sonnolento gabbiano
accovacciato sulla torre di Meloria »

FRANCO GALLERINI, poesia n. 7, vv. 3-7  (1)

La figura del paracadutista, per grazia intrinseca, dovrebbe, sempre e comunque, adattarsi e raggiungere lo scopo, in ogni tipo di situazione. Forza di volontà e piacere dell’imprevisto sono solo due delle qualità tipiche della specialità, come riportava una dottrina ormai datata, ma eterna in certe sue prescrizioni. (2)

Oggi come allora, la necessità e il dovere di una memoria storica costituiscono una tra le tante sfide a cui il paracadutista in primis non può e soprattutto non deve venir meno.

L’occasione è delle migliori e, di nuovo, si avverte il bisogno di chiamare spiritualmente a raccolta, come ogni anno da quel fatidico 9 novembre 1971, il Reggimento tutto per rendere i giusti onori e ringraziamenti ai Nostri caduti della Meloria.All’indomani della tragedia avvenuta nel mare di Livorno, scriveva a caldo Dino Buzzati sul Corriere della Sera: «Stavolta sono quarantasei soldati nostri, di una delle specialità più avventurose, pericolose e brillanti, tutti insomma di una stessa famiglia. Soldati che come tali si allenavano a sfidare anche la morte». L’uso della parola «famiglia», tuttora accomuna tutti noi paracadutisti del 187°, a distanza di cinquant’anni dall’accaduto. E la potenza di tale parola non si consuma soltanto nella comune appartenenza ad un reparto di fanteria paracadutista come altri in Brigata, essa perdura nell’insegnamento a lungo termine, perpetuo, datoci dai Nostri quarantasei.

«Troppi piagnistei e lamentazioni sarebbero una stonatura, loro stessi ne sarebbero irritati»(3)  aggiungeva Buzzati, non esimendosi dall’obbligo intellettuale di tacciare il «grande pubblico» di «relativa indifferenza». Indifferenza che noi odierni confratelli non potremo mai permetterci, affinché non si perdano il ricordo e la tradizione, collante delle unità paracadutiste.


Celebrare il cinquantenario della tragedia della Meloria non deve essere soltanto un momento solenne, che rischia di cristallizzarsi nella fredda procedura del cerimoniale, quanto piuttosto un’opportunità di riscoperta del senso comune. Sul C-130 «Hercules» precipitato nelle acque di Livorno c’era parte d’Italia, una sorta di rappresentanza dell’intera penisola, dall’estremo meridione salentino e calabrese alla Lombardia e il Veneto, passando dal “mezzo” campano, marchigiano, laziale, toscano, ligure ed emiliano romagnolo, senza dimenticarsi degli isolani.
Risiede in questo il maggiore insegnamento lasciatoci dalla sciagura, in un concreto senso comune appartenente solo a noi, che allarga il concetto di famiglia.


Concepire la squadra, il plotone, la compagnia come nuclei di persone unite da identici doveri costituisce piena realizzazione del nostro spirito di corpo, unico in tutta la Forza Armata.
Lo stesso spirito di corpo, che fu fermo legante dei Nostri caduti anche dinanzi alla morte, deve alimentare il nostro fare quotidiano, dal perpetrare la tradizione alla ripetuta attività addestrativa, sino all’impiego operativo, affinché non sia stato vano l’inaspettato sacrificio di cinquantatre vite.


Perciò, in questo 9 novembre 2021, nel cinquantesimo anniversario del disastro della Meloria, l’appello fondamentale rivolto a tutti noi paracadutisti d’oggi è ad onorare l’uniforme ed il basco amaranto, con instancabile senso comune del dovere, pronti ad affrontare qualsiasi evenienza, a qualsiasi costo.
Le righe apparse sul “Il Telegrafo”, che ben sintetizzano gli ultimi istanti di “Gesso 4”, ci servano da monito, raccogliendoci nella memoria per il cinquantesimo anniversario della Meloria:

Si può morire così, a vent’anni: in assetto di lancio col pensiero rivolto all’imminente esercitazione e il fremito che ti prende ogni volta, anche se non è la prima, quando sai di doverti affidare, nell’aria, a quel fungo di seta che ti si aprirà sulla testa pochi secondi dopo esserti gettato dal portello spalancato dell’aereo. Si può morire così, senza il tempo di pensare a nulla, mentre il velivolo perde quota all’improvviso e s’inabissa fra le onde del mare in burrasca ( 4)

 

Bibliografia

1: Questi versi sono recuperati dalle poesie inedite di Franco Gallerini, conosciuto col soprannome de “Il Guardiano della Meloria”, scritte per i compagni caduti. I testi dei componimenti sono, ad oggi, preziosamente custoditi nella 6^ Cp “Grifi”.

2: La pubblicazione n. 772, riferendosi alle unità paracadutiste, dice: « […] per esse l’imprevisto è la regola, mentre il prevedibile deve essere considerato, al limite, l’eccezione ». Per una più dettagliata descrizione del momento storico in cui fu pubblicata la n. 772 ed avvenne l’esercitazione cfr. A. Falciglia, Speciale Meloria in «Folgore», n. 11-12, novembre/dicembre 2011, pp. I-VIII.

3: D. Buzzati, Oltre il dolore, in «Corriere della Sera», 10 novembre 1971, p. 1.

4:  C. A. Di Grazia, L’addio ai vent’anni in una tragica alba …, in «Il Telegrafo», 10 novembre 1971.

 

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