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Pubblicato il 01/12/2014

500 ITALIANI IN AFGANISTAN

CORRIERE DELLA SERA
1 Dicembre 2014

di Franco Venturini

Dodici anni di presenza militare e civile, 54 soldati morti e decine di feriti, costi altissimi per le nostre traballanti finanze, nulla è riuscito a rompere il muro della disattenzione nei confronti della guerra che l’Italia sta ancora combattendo in Afghanistan.

Purtroppo non c’è da esserne sorpresi, in un Paese che non ha una cultura della sicurezza e che non vede come i tempi della «delega» (agli Usa) siano terminati con la fine della Guerra fredda.

In un Paese, peggio ancora, che conserva un riflesso di sospettoso distacco da tutto quel che è militare, anche se sono state le «missioni di pace», per molti anni, a tenere a galla la nostra presenza internazionale.

Oggi l’indifferenza si ripete, senza quel minimo di dibattito (anche polemico) che rivelerebbe comunque una forma di partecipazione nazionale. Manca un mese esatto alla fine della guerra in Afghanistan come l’abbiamo conosciuta sin qui, perché a Capodanno gran parte delle truppe straniere avrà lasciato l’orgogliosa «tomba degli imperi» (inglesi, russi, ora americani?). Ma qualcuno, lo si era deciso da tempo, resterà per addestrare le forze afghane che combattono con alterna fortuna contro i talebani. Washington vuole evitare che prima del 2016 (data del ritiro totale fissata da Obama con qualche evidente pensiero elettorale) la sindrome Vietnam torni a colpire, e la mancata vittoria non possa più essere dissimulata.

Per l’Italia il governo Letta aveva previsto l’invio di 850 uomini, come la Germania e altri Paesi occidentali. Poi è arrivato Matteo Renzi, e si sono anche rafforzate priorità diverse: la Libia, il Mediterraneo in generale, la sfida dell’Isis con l’invio di uomini e mezzi italiani in Iraq. Il ministro della Difesa Pinotti ha proposto di scendere a 400 uomini, c’è stato da battagliare dietro le quinte, e alla fine si è stabilito che gli italiani saranno 500 senza alcuna modifica nei loro compiti soltanto addestrativi.
Già, perché con una svolta che ha provocato molti equivoci i 10.000 militari Usa destinati a rimanere potranno, dopo il primo gennaio, anche continuare a combattere con l’appoggio di aerei e droni. Nessun alleato ha seguito l’esempio americano, ma di fatto è l’intera missione «Appoggio determinato» ( Resolute Support ) a cambiare volto e a diventare più pericolosa. Non è giusto, se non altro per rispetto verso quei 54 che hanno perso la vita, che l’Italia guardi dall’altra parte e che i decisori non sollecitino la sua consapevolezza. Speriamo che almeno il Parlamento sappia che dovrà votare, prima di Natale se non vogliamo arrivare in ritardo a Kabul e dintorni

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