OPINIONI

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Pubblicato il 08/09/2013

8 SETTEMBRE : L’ANALISI DEL GIORNALISTA E STUDIOSO DELLA STORIA D’ITALIA IN QUEL PERIODO


di Paolo Comastri

L’8 settembre 1943

Quella sera dell’8 settembre, dopo che alle 19,45 fu reso noto l’armistizio di Cassibile dando luogo a convulse alternative di coscienza, l’Italia attraversò uno dei momenti più drammatici della sua storia recente.

A Porta San Paolo, a Cefalonia, a Corfù, a Spalato, nelle acque della Sardegna, in cento altri luoghi, la scelta da parte delle Forze Armate Italiane, là dove esisteva un embrione di possibilità di pratica resistenza, là dove si ebbe l’iniziativa di ufficiali che, in assenza di direttive coordinate, volevano salvare l’onore e la dignità della bandiera italiana, fu nei giorni e nelle settimane che seguirono, netta e corale.

Oltre 87mila caduti, fra l’autunno 1943 e la primavera 1945, 365 medaglie d’oro a ufficiali, sottufficiali e soldati, altre medaglie d’oro che fregiano le bandiere di tanti reparti dell’Esercito e i gonfaloni di tante città, danno una nuda, severa immagine di quello che rappresentò per l’Italia tale avvenimento.

Nella vicenda che segue l’8 settembre, la “pianta uomo”, come la chiamava Carlo Cattaneo, risorge vigorosa in Italia.

Nei soldati italiani di ogni grado, dovunque si ritrovasse un minimo di condizioni operative, entro e fuori i confini nazionali, scattò immediato l’impegno della riscossa.

Si reagì anche lì dove non sussisteva ragionevole probabilità di successo, dove la certezza era nel senso dell’annientamento, o di crudeli rappresaglie. Intere unità si dissolsero, è vero, ma in molti casi non perché mancasse lo spirito combattivo, ma per assenza di direttive ai comandi periferici unita a inferiorità schiacciante di armamenti o per decisione di comandanti che preferirono con saggia umanità lasciar liberi i loro uomini, piuttosto che condannarli all’annientamento, ai plotoni di esecuzione, alla deportazione. Non pochi fra quei comandanti si offrirono poi con consapevolezza ai plotoni di esecuzione tedeschi.

Su questo sfondo risalta il semplice eroismo di quanti, singoli e reparti italiani, scelsero di obbedire al comunicato di armistizio che, mentre prevedeva la cessazione ovunque di atti d’ostilità contro le forze anglo-americane, imponeva però alle nostre Forze armate di “reagire a eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza”.

Non cedere le armi: questo era l’ultimo ridotto dell’onore italiano.

Ecco, fra le tante pagine ancora poco conosciute, la risposta del comandante della divisione “Acqui” all’intimazione di resa: “La divisione intende rimanere sulle sue posizioni fino a quando non ottiene assicurazioni, con garanzie che escludano ogni ambiguità, che essa possa mantenere le sue armi e le sue munizioni, e che solo al momento dell’imbarco essa possa consegnare le sue artiglierie […] Se ciò non accadrà, la divisione preferirà combattere piuttosto che subire l’onta della cessione delle armi ed io, sia pure con rincrescimento, rinuncerò definitivamente a trattare con la parte tedesca, finché rimango a capo della mia divisione. Prego darmi risposta entro le ore 16”.

Chi firma è il generale Antonio Gandin, passato dieci giorni dopo per le armi con tutti i suoi ufficiali superstiti: 186.

Dalle ceneri di un esercito distrutto, sorgono dopo l’8 settembre:

il raggruppamento motorizzato ( in pratica una brigata su quattro battaglioni di fanteria, quattro gruppi di artiglieria, una compagnia controcarri e la 39^ e 51^ sezione comando e servizi ), inviato in linea il 7 dicembre sul fronte di Cassino (Montelungo);

il “Corpo italiano di liberazione” (Cil) della forza di un corpo d’armata, che combatté con valore risalendo la penisola sino alla linea Gotica;

nell’ultima fase, i quattro gruppi di combattimento “Cremona”, “Friuli”, “Folgore” e “Legnano”, oltre a due gruppi approntati “Mantova” con forza di divisioni.

Alla vigilia dell’8 settembre la difesa di Roma era così articolata.

A Roma città e nella cinta di sicurezza perimetrale a ridosso di essa, le forze del corpo d’armata di Roma (divisione “Sassari”, elementi delle scuole, truppe ai depositi e polizia Africa italiana). Intorno alla città, il corpo d’armata motocorazzato con: le divisioni “Piave” e “Granatieri” in posizione idonea per lo sbarramento delle comunicazioni adducenti a Roma da nord, a sud e da occidente; la divisione “Ariete” schierata più avanti, unitamente a elementi della “Piave”, in previsione di atti di forza di colonne motocorazzate tedesche della 3a divisione Panzergrenadieren, dislocata tra Orvieto e Montefiascone; la divisione “Centauro” in riserva nella zona di Tivoli.

La divisione “Piacenza” fu invece dislocata in posizione d’arresto a sud del Tevere fra Genzano e Velletri, con un gruppo tattico a Osteria Malafede, avanzata rispetto allo schieramento della “Granatieri “, contro possibili minacce provenienti da un raggruppamento corazzato tedesco dislocato a Frascati.

Era stato deciso inoltre, allo scopo di irrobustire ulteriormente la difesa, di creare una massa mobile di manovra, disponendo di concentrare a Roma le divisioni “Re”, proveniente dalla Croazia, e “Lupi di Toscana”, proveniente dalla Francia, e disposto che il 181° reggimento bersaglieri (Reco, reggimento esplorante corazzato), arrivato dalla Francia e giunto a Torino, fosse dirottato verso Roma.

Nessun concorso potevano dare alla difesa della capitale le forze costiere dislocate sul litorale tirrenico direttamente interessato, divisioni 220^ e 221^, frazionate in 150 postazioni e ancorate sulle loro posizioni. Violenti combattimenti si svolsero a partire dalla sera dell’8 settembre fino a tutto il 10, a cavaliere delle vie consolari e – nelle vicinanze della città – alla Cecchignola, alla Magliana, nella zona delle Tre Fontane e lungo l’allineamento Garbatella -San Paolo -Testaccio. I combattimenti attorno a Roma impedirono che accorressero a Salerno, proprio nel momento di maggiore crisi delle forze da sbarco americane, due divisioni tedesche: la 3a Panzergrenadieren e la 2a Paracadutisti, il cui intervento avrebbe potuto essere determinante.

Fonte: Stato Maggiore Esercito

Fin qui la “versione” dello SME, storicamente esatta e documentalmente inoppugnabile.
Ma quel giorno, tra i più tristi, lugubri e tragici della storia patria, segnato dal vigliacco ed abietto tradimento di casa Savoia e dei suoi lacchè, anzi triplo tradimento in quanto si riuscì nella fantasmagorica “impresa”, peraltro tutta italiana, di ingannare ben tre volte,

1 gli -fino a quel momento- alleati tedeschi,

2 gli anglo-americani e

3 soprattutto gli italiani,

rappresenta il punto in cui la Storia si è fermata, la linea oltre la quale si è dato inizio ad una informazione volutamente distorta che da 70 anni, in totale malafede, dimentica le migliaia di giovani e giovanissimi, innamorati della loro terra e fieri della loro italianità, esenti peraltro da qualsivoglia responsabilità, vera o presunta, sui guasti del regime fascista avutisi fino a quel momento, che raccolsero le armi abbandonate, in molti casi anche da molti loro maestri ed indottrinatori, per affermare un principio solo : l’ONORE.

A differenza dei tanti altri che passarono subito dalla parte del nemico, solo perché vincente, con l’obiettivo di rifarsi una verginità, versando con le loro stesse mani quel giovane sangue.

Quasi come gli antichi immolavano il vitello sacrificale per propiziarsi la divinità, questi novelli Maramaldo si ingraziarono i nuovi padroni del mondo, e quindi dell’Italia, ottenendo in cambio il privilegio di servirli e soprattutto la concessione di scrivere la storia.

Ma il tempo è galantuomo.

Quella generazione, unica nella storia dell’umanità, sta fortunatamente scomparendo.

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