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Pubblicato il 24/06/2014

ANESTESISTI MILITARI DI PRIMA LINEA : LINEE GUIDA DELLA CROCEROSSA

CAGLIARI- Nasce all’interno della Società italiana di anestesia analgesia, rianimazione e terapia intensiva (Siaarti) un nuovo gruppo di studio che comprende anestesisti di ospedali e strutture sanitarie militari ed anestesisti che lavorano in ospedali civili e che, essendo appartenenti al Corpo Militare della C.R.I. o alla “Riserva selezionata” delle varie componenti delle Forze Armate, partecipano a missioni nazionali ed internazionali.

Primo obiettivo del nuovo team di anestesisti sarà quello di dar vita allo sviluppo di linee guida applicabili all’anestesia e rianimazione in “teatro operativo” ed utilizzabili anche durante i soccorsi in occasione di calamità naturali e maxiemergenze. Il maggiore medico del Corpo militare della Croce Rossa Italiana ha risposto ad alcuni interrogativi sul tema. Quali sono le maggiori difficoltà che incontra un anestesista in zona di guerra? “Le maggiori difficoltà – risponde Paolo Marin – sono legate alle condizioni ambientali ed ostili nelle quali ci si trova a lavorare. Rispetto al lavoro in sala operatoria le risorse sono limitate nella quantità e nella qualità.”

”Il protocollo internazionalmente utilizzato in ambito bellico per la rianimazione del ferito e’ il TCCC – Tactical Combat Casualty Care, formulato per la prima volta nel 1996 e sottoposto a continue revisioni semestrali”, spiega Paolo Marin,coordinatore degli Anestesisti-rianimatori del Corpo Militare della Croce Rossa Italiana.


Ma al di la’ degli ostacoli linguistici come ci si relaziona con i pazienti che sono in aree di guerra?

”Fortunatamente – riferisce l’esperto – la lingua inglese e’ molto diffusa soprattutto nelle zone dove sono piu’ frequenti i conflitti o dove c’e’ la necessita’ di intervenire per gravi emergenze umanitarie. Nei casi in cui esistono difficolta’ linguistiche, si riescono spesso a reperire degli interpreti locali”.

Cosa manca agli attuali ospedali da campo?

”Con gli elettromedicali, esistenti oggi in commercio, si e’ raggiunto un livello di efficienza paragonabile a quello degli ospedali operanti in ambito civile. Questo discorso e’ sicuramente inconfutabile quando prendiamo in considerazione gli ospedali da campo ”shelterizzati”, cioe’ costituiti da unita’ modulabili simili a container collegati tra di loro a formare un vero e proprio ospedale.

I progressi in questo campo sono enormi – ribadisce Paolo Marin – basti solo pensare a elettromedicali che in uno spazio di pochi decimetri cubi riescono a performare l’attivita’ di una Intensive care unit (ICU) combinando un concentratore di ossigeno, un ventilatore da anestesia e da rianimazione, un sistema di aspirazione ed un monitor multiparametrico. Negli ultimi decenni di storia della medicina (soprattutto in ambito anestesiologico-rianimatorio) farmaci, elettromedicali e linee guida usate in ambito militare sono poi state applicate allo scenario civile ”

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