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Pubblicato il 27/01/2014

BIZZARRE ED OSTILI ESTERNAZIONI DI FALCO ACCAME : I DUE FUCILIERI SONO COLPEVOLI MA NON ERANO IN GRADO DI FAR BENE IL LORO LAVORO.

PARMA- Per puro dovere di cronaca riportiamo un intervento di Falco Accame, già ammiraglio di marina , ex onorevole del PSI presidente di alcune associazioni. Ci dissociamo da ogni singola riga di quanto scrive.

Accame scrive parole infamanti sulle qualità militari dei due Fucilieri trattenuti illegalmente in India ed identifica in coloro che hanno voluto la convivenza a bordo di navi civili di personale militare i responsabili del problema giuridico che riguarda la linea di comando cui dovrebbero essere sottoposti i Militari italiani.

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Rinascita

Marò: si muovano Letta e Napolitano
Un invito-denuncia di Falco Accame

A.C.

“Credo – così l’incipit di un articolo di Falco Accame, l’ammiraglio-socialista presidente dell’Anavafaf ( associazione di tutela delle vittime militari della politica italiana a sovranità limitata (dell’Associazione le più dure denuncie sull’uranio impoverito) – che dobbiamo cercare di far capire agli indiani che i marò, che hanno purtroppo sparato sul peschereccio, scambiandolo per una barca di pirati (le fotografie riprodotte in allegato danno l’idea di che cosa consisteva il peschereccio, qualcosa di completamente diverso da una lancia di attacco) sono stati purtroppo impiegati in un compito per cui erano solo molto limitatamente addestrati. Infatti un occhio esperto di cose di mare avrebbe sicuramente evitato il fatale errore.
Ai marò, che svolgevano un compito di “contractors a rovescio” (ciò in quanto i contractors sono dei civili impegnati in compiti militari, mentre i marò erano dei militari impiegati in compiti che dovrebbero spettare a civili), sono state impropriamente affidate delle grandissime responsabilità (come la decisione di far fuoco) che invece avrebbero dovuto restare di pertinenza del Comandante della nave.
Ed a questo proposito dovremmo anche riconoscere gli errori intrinseci contenuti nella L. 230/01 sull’antipirateria (una legge interamente da rivedere) che sgrava in modo indebito comandanti e armatori da responsabilità che loro competono.
Ritengo che l’Italia debba farsi carico di compiti che invece sono stati assegnati ai due marò, rendendo così meno gravi i capi d’accusa nei loro confronti. E sotto questo riguardo chieda esplicitamente scusa alle Autorità Indiane proponendo dei gesti riparativi, quanto meno di altro significato simbolico, per la comunità indiana e, prima di tutto, per le famiglie dei due poveri pescatori totalmente innocenti. Un gesto di questo tipo potrebbe essere la realizzazione di una stele a ricordo dei pescatori, con un’appropriata dedica.
L’Italia dovrebbe anche farsi un esame di coscienza circa quale sarebbe stato il suo comportamento nel caso che, ad esempio, un nostro peschereccio si fosse venuto a trovare in acque tunisine e una motovedetta tunisina gli avesse imposto con la forza, con un’azione dissuasiva armata, di rientrare in acque italiane. Un’azione dissuasiva che. non volutamente, avrebbe potuto provocare la morte di due marinai italiani.
Se l’Italia in varie circostanze, in passato, ha fortemente cercato di esercitare la propria giustizia nei riguardi di vittime italiane, la cui morte era stata causata da stranieri (vedi ad esempio il caso del Cermis e il caso Calipari) è più facile comprendere come anche la giustizia indiana cerca di farsi valere in situazioni come quelle più sopra indicate.
Quanto alla polemica circa la restituzione all’India dei due marò dopo il secondo periodo di licenza (che ritengo un gesto di grande umanità da parte dell’India) è mio parere che l’Italia ha fatto benissimo, sia pure dopo troppe esitazioni, a rimandare in India i due marò perché la parola d’onore di uno Stato è, e deve restare, la parola d’onore di uno Stato.
Credo ad ogni modo che occorra un’attenta riconsiderazione da parte dell’Italia di quanto accaduto e ritengo che sarebbe un gesto di grande valore, da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri, di recarsi esso stesso in India facendo presente l’auspicabile ripensamento del governo italiano su tutta la situazione”.
Che questo invito Falco Accame resterà tuttavia inevaso, è purtroppo evidente. L’attuale presidente del Consiglio ha già la sua agenda folta di “impegni irrinunciabili” nei quattro angoli del globo, impegni tutti calendarizzati per evitare la sua presenza alla guida di un governo che governi in Italia e anche nei suoi rapporti con i Paesi terzi…
Ben conoscendo tale stato di codarda inerzia dell’esecutivo, l’ammiraglio Accame ha comunque voluto richiedere espressamente al capo dello Stato, Napolitano, una riunione urgente del Consiglio supremo di Difesa perché in quella sede sia affrontato il caso dei nostri due fucilieri di marina.
“Di fronte alle molto preoccupanti notizie che vengono dall’India circa lo stato giuridico dei due fucilieri del S. Marco, per i quali non sono stati ancora definiti esattamente i capi di accusa, ma per i quali, comunque, possono essere applicate pene di grande rilevanza – così ha scritto Falco Accame nella sua lettera al Quirinale – come Presidente di due Associazioni che tutelano da una parte le vittime militari e dall’altra i diritti dei naviganti, esprimo il parere che sia auspicabile una riunione del Consiglio Supremo Difesa per chiarire numerosi aspetti controversi della situazione che si è creata. In tutta la vicenda una cosa è certa: sono stati privati dell’esistenza due pescatori indiani, certamente del tutto innocenti e si è creato un gravissimo lutto a due famiglie. E dunque dobbiamo ammettere che vi è stato da parte nostra un errore nell’identificazione del bersaglio. Un traballante peschereccio, come il St. Anthony, non poteva essere scambiato per una lancia d’attacco dei pirati, un errore forse dovuto ad un “complesso di attesa del nemico” (come quello descritto da Dino Buzzati). Certamente una giustificazione di quanto è accaduto è connessa al fatto che ai fucilieri è stato affidato un compito di polizia militare marittima, che non rientra tra i compiti del S. Marco, precipuamente costituiti da operazioni di sbarco in situazioni belliche. Purtroppo anche le nostre disposizioni legislative antipirateria consentono di utilizzare dei militari (in affitto agli armatori) al posto di “contractors” civili, specificamente esperti in materia. Ma l’utilizzo di militari al posto di civili fa sì che all’atto di un intervento armato la nave mercantile si “militarizzi” e per via della presenza di personale delle Forze Armate finisca con coinvolgere la responsabilità dello Stato Italiano. La nostra normativa fa sì che tutte le responsabilità della decisione possano finire per ricadere su due giovani inesperti (di comando) sottufficiali, sottraendo tali responsabilità al comandante della nave e all’armatore. Il che sembra improprio e anche in contrasto con il Codice della Navigazione. Lo scrivente ritiene che ogni sforzo debba essere compiuto per un’attenuazione delle responsabilità dei marò. In questo senso la tesi formulata dal Comandante Diego Abbo, secondo cui la morte dei pescatori potrebbe essere stata provocata dal rimbalzo sull’acqua (spiattellamento) dei proiettili mi sembra debba essere presa nella dovuta considerazione. Lo scrivente ritiene anche che, per incidere sull’atmosfera processuale, potrebbe essere giovevole far pervenire al governo Indiano il più sentito cordoglio per quanto accaduto, un cordoglio espresso al più alto livello politico possibile. Ciò tenuto conto anche dell’umanità dimostrata dall’India nell’aver consentito per due volte l’invio in Italia dei marò, ed in considerazione dei forti vincoli che all’India ci legano”.
Così Accame, presidente di Anavafaf e del Comitato Seagull

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